Chi ha seguito nel tempo le vicende artistiche della cantante Lauren Newton sa certamente del suo interesse verso un tipo di canto che va oltre la semplice metodologia della conversazione in musica. Quando nel 1983 la Newton esordì discograficamente con il quartetto di Timbre (ristampato poi anche come Filigree), in un momento in cui il canto jazz ed improvvisativo stava facendo passi da gigante in tutto il mondo, si ebbe l’impressione di aver trovato una figura particolarmente accattivante per somma della parti: un’ottima capacità simulatoria, una riverenza molto forbita allo scat di Ella Fitzgerald, condensazioni delle strutture del canto contemporaneo, ossessionato dalla ricerca di nuove possibilità espressive, che potevano derivare dalle tecniche di estensione della voce e dal porre un rilievo maggiore sulla pletora di suoni spuri, casuali o indesiderati della voce. La Newton si potè fregiare di un orgoglioso tratto stilistico solo a lei ascrivibile, raggiungendo immediatamente altri picchi di valore in collaborazioni di cui oggi se ne sono dimenticati completamente presupposti e risultati: mi fa un notevole piacere ricordare registrazioni come Contrast in un formidabile trio con Kowald e Masahiko Togashi (un LP di edizione giapponese, mai ristampato del 1983), le prestazioni della Newton nell’area musicale di Fritz Hauser e la partecipazione ad una delle prime (e non certamente frequentissime) aggregazioni canore post-moderne del jazz (il Vocal Summit con McFerrin, Lee, Dudziak e Clayton). Già nell’84, però. il progetto di Ernst Jandl permise alla Newton di alzare il livello sperimentale delle sue improvvisazioni canore, cominciando a lavorare su una vera e propria analisi morfologica della parola e della sua corresponsione verbale.*
La progettualità fonetica si coltiva d’altronde anche per le nuove generazioni, poiché essa non è rivolta solo al bagaglio delle cantanti, ma è anche disponibile per un dialogo con i musicisti. Non si tratta solo di simulare strumenti cercandone di fare il verso, ma di stabilire una possibile “movimentazione” delle emissioni vocali in grado di stimolare panorami più ampi; nella libertà del gesto e della soluzione del momento è possibile raccogliere informazioni specifiche sulla musica, anche quelle si trovano nel bel mezzo di un clima non chiaro, non immediatamente visibile nella sua configurazione: una sorta di vicolo cieco in cui ognuno porta la sua esperienza. E’ ciò che succede esattamente con il trio Blindflug, assieme al percussionista Emanuel Kunzi e al sassofonista Sebastian Strinning, due giovani musicisti pronti a prendere in mano il fardello della nuova generazione musicale improvvisativa in Svizzera.
“Without doubt” è quindi un modo per rinnovare la fresca vitalità artistica della Newton (che quasi mai ha accusato sbavature o cambi di rotta) e ci consente di apprezzare più a fondo i due improvvisatori svizzeri che, per l’occasione, cercano di contemperare ad una doppia esigenza: creare un ambiente sonoro idoneo, aria e spazio, e cercare nuove relazioni. Ciò si verifica con Strinning che cerca di canalizzare gli umori stabiliti, lavorando sulla colonna d’aria e su una tombale frammentazione del sax e con Kunzi, invece, disponibile a trovare suoni in linea attraverso uso di preparazioni sulla batteria (vedi qui un’estratto di un’esibizione al JazzGehtBaden, dove copre il rullante con un panno e usa bacchette scanalate). E’ così che è possibile passare dall’istinto chomskiano di Morphing o di Ways alle cavità sonore di Baden. Pur non venendo mai meno la capacità simulatoria, in Without doubt è più a fuoco la volontà di provare a costruire una grammatica del linguaggio, verificarne i limiti e costruirne inflessioni, anche tramite l’ausilio della relazione musicale. E’ un sentiero che possiede un fascino trasversale, che combina le qualità della Newton con l’espressionismo ricercato dai due musicisti ed è capace di esaltare una narrazione (che ognuno può condurre con l’immaginazione verso un evento dislocativo o una problematica dell’anima) con mezzi completamente diversi, volando alto sui sentimenti e facendoci capire che però esistono e sono lì.
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*Nota:
da quel momento è partita una discografia piuttosto omogenea, nella quale mi sento di consigliarvi le collaborazioni con Thomas Hortsmann, i 18 Colors con la Léandre, il campionario di soluzioni del suo unico cd in solo dal titolo Soundsoungs, e più recentemente la collaborazione con Joachim Gies e con Park Je Chun, che vi consentono di scoprire nuovi orizzonti e musicisti.