Clockstop Festival dell’Improvvisazione number 3

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foto Ettore Garzia
 
“….La pratica dell’improvvisazione musicale genera un ampio campo di possibilità, attraverso l’orecchio e la percezione più profonda possono attivarsi meccanismi non solo estetici. La musica improvvisata è quel momento e null’altro. È decisione. È in quel momento decisione comunitaria. Così come altre arti o la filosofia, essa produce adattamento, reazione, dispone eticamente ai differenti giochi del mondo…❞ (Marcello Magliocchi sulla pagina facebook di White Noise Generator).
 
Fasano ha ospitato la terza edizione del Clockstop Festival, la rassegna di sessioni improvvisative ideata dal percussionista Marcello Magliocchi, in collaborazione con l’associazione White Noise Generator. Ho partecipato alla sessione pomeridiana della seconda giornata del festival in un rinnovato chiostro antico che ha praticamente sostituito alla perfezione il chiostro di Noci, che aveva ospitato le prime due edizioni. Torno sempre con piacere a quella che, potenzialmente, potrebbe diventare una vetrina globale dell’improvvisazione libera internazionale fatta in terra pugliese: la prima edizione del festival (che fui tra i pochi a documentare con un articolo dedicato che ha avuto anche l’inaspettata citazione in Wikipedia alla voce Improvvisazione libera, vedi qui) fece subito capire le intenzioni di Magliocchi, che creò un particolare canovaccio improvvisativo per una manifestazione a cui si richiedeva anche uno scopo educativo oltre che musicale. La particolarità del festival sta nel fatto che i connubi e le perfomance si fanno casualmente in real time e non esigono pregressi affiatamenti; Magliocchi si confronta (e frequenta) da tempo un gruppo di improvvisatori storici, a cui è legato anche per ragioni di profonda amicizia: c’è il gruppo dei Belgi (il cantante Michel Van Schouwburg, Jean Demey e Willy Van Buggenhout), quello degli Inglesi, che si divide tra maturi e giovani rappresentanti (da una parte Lawrence Casserley e Adrian Northover e dall’altra Tom Jackson e Daniel Thompson), dei giapponesi (in questa edizione solo Maresuke Okamoto) e naturalmente gli italiani (che, oltre a Magliocchi, vanno dai più navigati Contini, Mayes e Gussoni, fino ai giovani Saccente, Antonazzo, Malasomma, Semeraro); completano il quadro il violinista svizzero Matthias Boss e il sassofonista francese Guy Frank Pellerin ed una serie di incontri propedeutici, in cui alcuni artisti si sono presi il compito di spiegare anche con parole le qualità e le proprietà del loro lavoro.
 
Sulle esibizioni c’è poco da commentare: come di consueto, tanta attenzione per il suono, la gestualità e le mille soluzioni offerte. Se un difetto va evidenziato esso è antico e riguarda l’adeguamento dei musicisti all’ambiente sonoro, un problema purtroppo irrisolvibile per i chiostri storici: in mancanza di equalizzazione o amplificazione, alcuni sets portano con loro la prevalenza acustica di strumenti che hanno già nella loro impostazione dei registri volumetrici più alti (le percussioni e i sax coprono istintivamente chitarre classiche, violini, contrabbassi, etc.). Quando questo non succede, però, risaltano le doti e le particolarità dei musicisti, che si inseriscono in uno spirito improvvisativo che va tutto prefigurato e goduto (dal punto di vista strettamente strumentale le vibrazioni espresse dal trombone con sordina di Contini o quello del lungo corno di Mayes, sono elementi che intercettano una centratura del musicista alla politica del suono contemporaneo). E’ così che è possibile scoprire attimi di conversazioni musicali del tutto uniche, in quello che non resta artificiale del panorama musicale odierno: i monologhi che attingono al teatro (Van Schouwburg è imperioso in questo reiterato gioco che è nobile vocalmente e divertente nelle conclusioni), la ricerca mirata di affinità tra suoni acustici ed elettronici (Casserley usa un proprio software che trasforma in tempo reale i suoni dei musicisti opportunamente microfonati, così come Malasomma con la sua azione tenta di dare un rivestimento all’attività dei musicisti impegnati), le congestioni alla Derek Bailey (da quelle dirette di Daniel Thompson fino alle tante devolute dagli altri artisti con i loro strumenti), la causalità della performance (che non segue nessuna regola, ordine o preconfezionamento). In definitiva, una rara real time improv, per cui si spera che nelle prossime edizioni riesca ad allargare il raggio d’azione della partecipazione. 
 
I presenti hanno avuto anche la possibilità di portarsi un ricordo del festival, acquistando i cds degli artisti menzionati: si tratta (come gli appassionati sanno) di un’ampia materia, di cui si fa fatica a consigliare discograficamente qualcosa al posto di altro, data la notevole omogeneità dei prodotti (che sono nella totalità dei casi prestazioni di concerti dal vivo); per qualcuno di loro ho dato in passato delle preferenze, in questa sede mi piace rimarcare un duo tra Magliocchi e Pellerin (Waterfall per la produzione della White Noise Generator), in cui si può apprezzare la reiterata sonicità delle frequenze tagliate dal sassofonista franco-canadese e il bagliore acustico creato da Marcello, e la britannica formazione di The Runcible Quintet (Adrian Northover al soprano, Daniel Thompson alla chitarra acustica, i non presenti al festival John Edwards al contrab. e Neil Metcalfe al flauto) + la percussione di Magliocchi. “Five” privilegia strutture molecolari, dove la decostruzione del mozzare i suoni dal canale d’aria, tirare le corde o sfrondare piatti con archetti è una chiave per portarvi in territori vergine e sconosciuti ai più, paesaggi del dialogo in cui mai vi sognereste di entrare. Si ricreano quei poteri dell’improvvisazione che è pratica di vita, in cui si aprono porte cigolanti, si osservano oggetti appartandosi, si percepiscono relazioni o percorsi da effettuare (la traccia Two e Four sono particolarmente esplicative al riguardo). Un ambiente a tratti persino bucolico (alcune parti della traccia 3) con tutti i musicisti che istantaneamente si coordinano allo stesso scopo. Un’arte artigianale immensa a cui Magliocchi e i suoi partners europei non hanno mai smesso di infondere importanza.  

 

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.