La terza fase del cammino musicale di Luigi Nono si inaugura con la pubblicazione del suo quartetto d’archi nel 1980. Fragmente-Stille, an Diotima è il primo passo di un percorso di approfondimento che tira in ballo particolarissime configurazioni degli elementi di costruzione della musica: è in questo quartetto che il compositore veneziano crea per gli archi una struttura segmentata che va oltre i già riconosciuti interventi profusi dalla letteratura musicale contemporanea (il riferimento va ai quartetti di Lutoslawski o Kurtag), aumentando l’esposizione di alcune tecniche estensive in grado di mettere a dura prova il sistema percettivo per come è noto nella musica. I punti di comprensione si trovano in un telaio a maglie diseguali, come in uno scritto invecchiato su pergamena, in cui ritrovamenti armonici, glissandi e legati sono incredibilmente parti di un progetto sensitivo in cui le capacità richieste ai musicisti (bravura ed impulso) e il valore delle pause e dei silenzi (concepito in maniera differenziale rispetto a Cage od altri compositori) sono fondamentali per l’espressione che si vuole raggiungere; inoltre il frammento si misura anche nell’ambito dello stimolo letterario.
Dopo Fragmente-Stille, Nono continuò l’impresa sviluppando l’idea anche per altre combinazioni strumentali e vocali, avvalendosi anche anche di un minuzioso e faticoso lavoro svolto con elettronica registrata e sopratutto con il live electronics (Nono passò da imperscrutabili capolavori che vanno da Das Almende Klarsein a Quando stanno morendo, da Guai ai gelidi mostri all’Omaggio a Kurtag). Il massimo delle relazioni venne sperimentato e raggiunto con lo scenario di Prometeo, Tragedia dell’ascolto, come punto di arrivo di questa ricerca utopistica sul suono: con l’ausilio di Massimo Cacciari, Nono sorvola Eschilo, Euripide, Goethe, Erodoto, Sofocle o il tanto seguito Holderlin, per cristallizzare gli universi infiniti del suono, carpire le sue risonanze e stabilire un collegamento nuovo con la parola.
Il Prometeo di Luigi Nono è un pezzo rivoluzionario quanto un 4’33” di Cage. Una nuova rappresentazione al Teatro Farnese di Parma è stata l’ennesima sfida che si è cercato di impartire al mondo dell’ascolto musicale e alle sue convenzioni. Nella mia partecipazione alla terza ed ultima serata, ho potuto constatare direttamente il contenuto della rivoluzione dettata dal Prometeo: un ascolto difficilissimo, tale da scardinare qualsiasi difesa immunitaria della pazienza e dell’attenzione; a gente visibilmente distratta, critica o silenziosamente mortificata che lasciava il parterre se ne contrapponeva altra, parzialmente o totalmente affascinata. Ognuno ha vissuto il suo concerto al Farnese, la sua “tragedia d’ascolto”, ma ciò che più è importante è che non è stato scalfito un centimetro dell’importanza di uno spettacolo che non può considerarsi nè opera, né teatro nei sensi tradizionali, qualcosa che richiede sempre una combinazione unica di mezzi e spazi pensati per far muovere il suono e i sentimenti di Nono.