C’è una nicchia dell’odierna elettronica che sta approfondendo la fisicità mastodontica dei sistemi che producono suoni e musica. Si tratta, spesso, di coniugare i procedimenti di raccolta del materiale (suoni o rumori tratti dal quotidiano o dall’ambiente) con i processi e le realizzazioni della manipolazione digitale, allo scopo di creare gigantesche sequenze di musica, che vadano nel senso di una surrealistica esposizione dei soggetti o panorami rappresentati. Il field recordings diventa una delle armi principali o esclusive per impostare questo processo di espansione: qui vi sottopongo due casi recenti che ho particolarmente gradito per l’organizzazione e il livello raggiunto; le ho accomunate quasi naturalmente poiché si riferiscono a quel grande sub-sistema sonoro delle nostre città, che in tal modo viene analizzato con scopi diversi ed aggiuntivi rispetto alle solite motivazioni che ci conducono all’alienazione umana; l’esaltazione dei musicisti agisce su un sistema dei suoni o rumori che lavorano sui trasporti cittadini, mezzi che regolano i nostri frequenti spostamenti (stazioni dei treni o metropolitane), e sui suoni o rumori riferibili a quella parte meccanica o statica che si ritrova nell’inderogabile mondo sonoro del nostro ambiente di vita (dal bagno di casa fino al traffico in strada).
In Terminus Drift (etichetta Subtext), il musicista scozzese Joshua Sabin si è fatto carico dello sfruttamento dei suoni dell’ambiente fisico riferibili alle stazioni: con un field recording ben pensato e ben distribuito, Sabin ha raccolto con pazienza i suoni dei sistemi auditivi di comunicazione presenti nelle stazioni, i rumori potenti delle partenze o arrivi dei treni, differenziandoli anche alla luce di rivelazioni fornite dalla sonicità ricavabile in tunnels, sottopassaggi o in quegli echi provocati dai campi elettro-magnetici; in viaggio tra Edinburgo, Glasgow, Kyoto, Tokyo e Berlino, Sabin si è impossessato di un patrimonio sonoro malleabile, di quelli che fu già utile agli avventori acusmatici franco-canadesi per impostare una teoria affascinante, ma studiare questi suoni ed esaltarli tramite un processo digitale è utile anche per capire qual è il nostro rapporto, la nostra dimensione con l’ambiente che ci circonda e permette all’atto creativo di fornire alla fine un idioma surreale ma estremamente comunicativo, immediato, che non cade in nessuna particolare forma di dissociazione o follia, si fa interprete dell’insegnamento di Stockhausen quando affermava che era necessario farsi aggredire e trasportare dal protagonismo del suono così realizzato. In questo eccellente Terminus Drift quei suoni delle stazioni a cui abbiamo dato una scarsa considerazione, si animano, si esprimono visceralmente conclamando persino la loro materialità (sentire la title-track o magari Memory Trace).
La collezione noise di Evan Caminiti è, invece, imperniata sulle posizioni sonori assunte spesso come responsabili del grado di inquinamento acustico o ambientale delle nostre usuali aggregazioni cittadine; anch’esso concepito come un prodotto di arte scultorea in materia di suoni o rumori, Toxic city music (etichetta Dust Editions) lo potremmo trovare senza poi fare tanti giri per la città, con i suoi elementi radicati già nella nostra area abitativa. Registrato a New York, Caminiti si è procurato i field recordings che solitamente si trovano nel nostro circondario, quello delle nostre case, che va dalle sonorità idrauliche delle tubazioni ai colpi ceramici dei lavelli della cucina, nonché dal parco rumori dei camion della nettezza urbana sino alle frequenze radiofoniche verificabili nell’etere. Data la familiarità di Caminiti con droni e galleggiamenti elettronici liquidi, in Toxic city music si assiste ad un filtraggio post produttivo che trasforma questi suoni/rumori facendo attenzione anche a queste particolarità, conferendo al totale sonoro un umore imperioso ma anche leggermente oscuro (vedi Joaquin con Jefre Cantu Ledesma). Un sapiente processo di sintesi digitale con vari tagli glitch, dissolvimenti, formazioni di detriti di synth e di chitarra, che restituiscono personalità diverse degli oggetti considerati (al limite della riconoscibilità), amplificando la dimensione sonora e soprattutto scavando in quella fase trance della nostra mente, che parte quando siamo obbligati a star fermi e facciamo partire la riflessione. Ma questi suoni, davvero, non procurano nessun inquinamento.