Molti appassionati di musica classica castrano la conoscenza del periodo delle composizioni interessanti al clavicembalo subito dopo la sua sostituzione con il pianoforte. Il lasso temporale che caratterizza il vuoto compositivo dell’Ottocento viene praticamente esteso anche al Novecento. Questa inesattezza viene alimentata dalla scarsa visibilità che accompagna gli attori moderni del clavicembalo; eppure, per esso, una nuova storia nel Novecento c’è stata e le sue scie sono ancora in corso.
Christopher D. Lewis è un giovane talento inglese dello strumento che si sta adoperando per recuperare questa scheggia della storia musicale e pesca in una delle tante rotte tracciate dalla musica per clavicembalo nel secolo passato. E’ approdato alla Naxos per alcune registrazioni specifiche, tentando di accrescere l’interesse su quelle poche composizioni che hanno ispirato alcuni compositori europei nel primo novecento (soprattutto francesi ed inglesi); la ripresa della composizione per clavicembalo ha avuto in Poulenc e nel suo Concerte Champitre un suo punto di riferimento; tuttavia, nell’era di una delle più rinomate clavicembaliste del periodo (Wanda Landowska), il sentiment compositivo si adeguò perentoriamente ai rivoli del neo-classicismo. Il rimando, quindi, all’epoca barocca o classica, era ancora molto forte (a Poulenc si possono aggiungere il concerto di Martinu, Howells o di De Falla), in mancanza di una presa di posizione dei dodecafonici in materia. Un primo cambiamento di rotta arrivò nel 1945 con la splendida Petite symphonie concertante del compositore svizzero Frank Martin, ed ancor di più nel ’51 con il suo Concerto per clavicembalo e piccola orchestra; in quelle prove, la parte solistica che riguarda il clavicembalo contiene linee melodiche seriali od atonali che si installano nei temi e derivano la parte armonica. Bach e Pleyel non si erano mai sentiti così introversi, delle gioie di Poulenc nemmeno l’ombra. Sono elementi che passano sostanza al rinnovamento sinfonico e strumentale profuso dai compositori americani della prima parte del novecento. Tra questi c’è ne fu uno che si dedicò al clavicembalo in maniera speciale: Vincent Persichetti trasportò idee e contenuti applicati al pianoforte anche al resto delle tastiere disponibili (organo e naturalmente clavicembalo), elaborando un corpo di sonate che condividevano le accecanti novità sull’armonia, di cui era un teorico. Persichetti cercò di superare l’estetica neo-classica introducendo una serie di accorgimenti in termini di tessitura, costanza ritmica ed atonalità; un costante gioco compositivo nutrito di scherzi elaborati con altra funzione, linee melodiche atonali che si misuravano con la naturalezza delle regole classiche dell’armonia, cercandone altre risoluzioni. Una musica che intriga per le sensazioni che riesce ad esprimere.
Questa organizzazione dei suoni venne tacciata di staticismo e mancanza di direzionalità (in realtà non era né statica né senza direzione), ma pochi si accorgevano che si stava approfondendo la costruzione di nuove strutture armoniche come conseguenza di elaborazione di cellule motiviche di note senza locazione di appartenenza. Se si ascoltano, ad esempio, le sonate al piano (è indispensabile avere le versioni di Geoffrey Burleson) si percepisce nettissimo il tratto distintivo di Persichetti, la particolarità delle soluzioni trovate, poi adottate in molta musica susseguente, anche non classica: il pianismo struggente ed evolutivo di Laura Nyro parte proprio dagli esperimenti di Persichetti.
Le sonate che Lewis propone all’harpsichord (1,3,5,8,9) mantengono intatte tutte le qualità della musica di Persichetti: propongono per quello strumento un regime nuovo, che è qualcosa di diverso dal mero contrappunto barocco o da una sfavillante ripresa di pezzi retoricamente retrodatati; è relazione, sfumature ricercate nelle cavità armoniche dello strumento (con tutte le difficoltà del caso per il clavicembalo)*, è scrittura ad incastro o a specchio (a Vincent viene attribuita l’invenzione dello stile mirror al piano), suggerisce continuamente all’esecutore l’accordo e il cambiamento di ritmo, lasciando il segno nell’eccezionale articolazione delle trame sonore. Il lavoro di Lewis porta ad emersione discografica alcuni tesori del novecento che hanno tutto il diritto di stare nei classici americani, mettendosi in competizione (alla pari ed un attimo prima) con le novità prodotte dal mondo contemporaneo.
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*Nota:
La limitata disponibilità di clavicembali costruiti nel periodo antecedente l’ingresso dei pianoforti, ha spinto ad una nuova produzione di clavicembali che molti hanno definito revivalistica. Ovviamente i nuovi clavicembali hanno interessanti accorgimenti che tendono ad un aumento della loro potenza acustica. Lo stesso Lewis si destreggia su tipologie messe in piedi dal Novecento in poi.