Questa tornata di novità della Setola di Maiale è particolarmente gradita per me, perché porta anche il mio contributo scritto, steso in un paio di lavori. Ringrazio pubblicamente Marco Colonna e Alessandro Seravalle per la stima riposta e per avermi consentito di scrivere le mie prime note di copertina. Un risultato che realmente non potevo immaginare quando Percorsi Musicali partì con la sua avventura nel lontano 2010. Avendo espresso un pensiero piuttosto ampio e preciso per loro, vi riporto ciò che ho scritto per Medea di Colonna/Lombardi e per James Frederick Willets del trio A. Seravalle/G. Seravalle/Massaria (sul cd troverete le note in inglese, io ve li riporto in originale in italiano) su testi del filosofo Kirchmayr, professore di estetica all’Università di Trieste e redattore di alcune importanti riviste in tema. In più troverete qualche pensiero sulle altre due novità, le pubblicazioni del duo Rocco/Faraò e Antonio Mastrogiacomo.
Marco Colonna e Cristian Lombardi –Medea –
Nella ricostruzione della figura mitologica di Medea emerge un chiarissimo divisorio esistenziale. Le tante rappresentazioni artistiche che si sono concentrate su una presunzione di giudizio di questa eruttiva creatura antica, consentono di interpretare con certezza che le sue vendette crudeli non sono altro che una risposta al dilagante raziocinio delle nuove società che si impongono nel tempo, confiscando opinioni ed atteggiamenti di quelle precedentemente insediate; nel suo film Pasolini ne diede un’incredibile versione, quasi pronto a giustificare i comportamenti della protagonista, divisa tra gli orrendi riti e le poderose sconfitte dell’animo e delle passioni, ponendola nell’incapacità di porre sollievo all’adattamento.
L’idea di donare un volto musicale alle vicende di Medea ha attratto la creatività del sassofonista Marco Colonna e del percussionista Cristian Lombardi, che in un’esibizione live catturata all’S9 di Latina, reagiscono con risposta multipla (musica, politica, drammaturgia), ed un set di nove movimenti (nove scene) bisognose di un’idea elettronica live a supporto. La storia di Medea si insinua nell’immaginario dei due suonatori, che si orientano verso territori calcolati, che racchiudono da una parte spiriti antichi (nel nostro caso un dialogico accostamento allo spiritual jazz statunitense del post-Coltrane) e dall’altra accorgimenti e sovraesposizioni del suono che tengono in gioco elementi moderni ed improvvisati della musica.
Il riconoscimento di Medea avviene a livello caratteriale: i due musicisti si muovono in un’intensa area di aderenza sensitiva che si spande nella ricerca di suoni appropriati; Colonna trova l’occasione di mostrare il suo gigantismo, con una serie di comportamenti, che vanno dall’assolo forbito a vere e proprie polifonie create suonando doppio con sassofoni di diverso registro (baritoni, soprani) e interagendo con un’elettronica che sta l’inquisizione e il disturbo emotivo (un synth analogico, dei loop e un cellulare rimodulato).
Si parte dal movimento 1, dove percussività rituale, un sax strozzato e un loop tormentoso vi fanno compiere il primo balzo in avanti, per poi proseguire in implacabili rappresentazioni che vanno oltre qualsiasi opinabile parodia; sono assaggi del tempo che si condensano in scenografie musicali, in cui tutte le interazioni sono al servizio del momento pensato: il parossismo vorticoso creato dall’improvvisazione di Colonna, il drumming rituale od ossessivo di Lombardi e i fischi e motivi che sembrano rubati ad un oscillatore di Subotnick, impongono di incrociare lo sguardo verso una gamma di sensazioni che va dalla pienezza della solitudine (l’intro di sax del mov. 8) fino al violento furore (mov. 5). C’è epicità, forza, istinti espliciti e, a tratti, ricordi etnicamente sbilanciati nel medioriente (il mov. 4). In questa rappresentazione di Medea tutto è filtrato, è il luogo indispensabile ed attuale della musica (il migliore disponibile) , dove poter incredibilmente raccontare la tragedia interiore degli uomini.
Kirchmayr/Massaria/A. Seravalle/G. Seravalle –James Frederick Willetts–
L’universo del “mettere insieme” generi, approcci stilistici e pezzi di costruzione filosofica, in un dominio previsto per la scena musicale del futuro, ha bisogno per soddisfarsi della credibilità del messaggio e della buona riuscita dell’accoppiamento degli elementi. Negli spazi appositamente ideati dal trio di chitarre (Andrea Seravalle e Andrea Massaria) ed elettronica (Gianpietro Seravalle), ideologicamente caricati sulla persona di James Frederick Willetts, il primo pirata riconosciuto dalla storia in tema di violazione dei diritti d’autore, è facile cogliere una lodevole eccezione che impone una voce autonoma nel mezzo di qualsiasi situazione di poliedricità.
Si tratta di nuovi concepimenti che cercano di impostare rinnovati corsi dell’improvvisazione, del reading letterario e della scansione ritmica della moderna cultura dance: l’ironia di una chitarra dislessica, l’asettico statement dei testi profusi da Kirchmayr su Willetts e strati variamente configurati di elettronica alienata in beep, si ritrovano a scambiarsi informazioni su uno stesso livello, in equilibrio paritario, creando un’ulteriore prospettiva. E permette di addentrarsi in un percorso immacolato, in un prodotto alternativo in cui gli stimoli al suo egregio funzionamento sono esattamente calcolati e si schierano al servizio del pensiero e della bravura degli artisti che lo compongono.
Enzo Rocco & Ferdinando Faraò –Fields–
Qual è la lezione che si rinviene dalla libertà accordata alla chitarra, non appena essa cessa di funzionare come impianto ritmico? E’ quella di aprire la porta alla creatività completa, con tutti i suoi pregi e rischi connessi. Nel jazz e nella libera improvvisazione questo passaggio è avvenuto da tempo grazie ad alcuni musicisti che hanno compreso la portata innovativa fungendo da modello stilistico e, di fatto, si è aperto un ventaglio di soluzioni ed umori.
In questo duetto con il batterista Ferdinando Faraò dal titolo Fields, il chitarrista Enzo Rocco è una sorpresa, perché abituati come siamo alle sue pantomime o divagazioni esotiche, non riusciamo ad assorbire il carico di gravità che la collaborazione ha profuso; si scorre sulla tastiera con un’ipotesi di bagaglio jazz e free impro alle spalle, ma soprattutto è un’occasione ulteriore per consentirci di scoprire la bravura di Enzo anche in una fase “seria” della sua musica (a mò d’esempio basta sentire l’iniziale Splinters o le frecciate di Flout-off per credere); sono pitture astratte quelle di Fields, sorrette da un Faraò metronomo, mai invasivo, direi accompagnatore libero perfetto, con un drumming che costruisce il solco delle avventure musicali, delineando una rotta di marcia costante.
Antonio Mastrogiacomo –Suonerie–
Primo approccio con la musica di Antonio Mastrogiacomo, un giovane musicista campano che si cimenta con un progetto tutto incentrato sul taglio compositivo al laptop. Lo stimolo arriva dall’interesse per i suoni delle suonerie telefoniche (ne vengono prese in considerazione 726), che teoricamente si pongono come segnali acustici atti ad introdurre parti di brani musicali o di altri eventi presi dal web, addomesticati in collage. 26 brevi pezzi presentati sotto le spoglie dell’alfabeto tradiscono la passione per gli esperimenti-processo alla Curran, tuttavia Mastrogiacomo sceglie di non lanciarsi in una riorganizzazione elettronica diretta dei suoni delle suonerie, quanto piuttosto di utilizzarli come filo conduttore del suo collage. “Suonerie“, pertanto, dovrebbe funzionare come campanello d’allarme filosofico in un oceano di spezzoni sonori che riproducono gli orrori in cui versano gli ascolti della massa. Ecco, quindi, che centinaia di pezzi conosciuti vengono a galla, da Michael Jackson ai Berlin di Top Gun, dagli attacchi di dance music agli anfratti della pubblicità televisiva e dei programmi radiofonici, dalle spiritose gag in lingua inglese agli insopportabili marchingegni sonori di certa musica di consumo. Essi corredano, in un vortice riassuntivo, il patrimonio d’ascolto delle generazioni attuali.
Quella di Mastrogiacomo è un’opera rischiosa, perché è molto difficile ottenere risultati concreti nell’ambito dell’inconscio acustico, riorganizzando solo le fonti sonore (anche se con maestria e dedizione); inoltre la creatività di cui parla Byrne a proposito delle suonerie, come strumento o gadget elaborabile, non sembra poter essere sufficientemente applicabile se non ad esperimenti che guardano più lontano, si catalizzano sui suoni e sulle tecniche, anche se esse sono poco digeribili per l’audience tradizionale.