Il jazz di Boston dei settanta e una benvenuta ristampa dei classici del Musra Group

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foto tratte da pagina bandcamp michaelcosmicthephillmusragroup
Una scena probabilmente mutuata dalla fisionomia di quella newyorchese è stata quella del jazz di Boston negli anni settanta. Grazie ad un doppio Lp con annesso libro dal titolo The Boston creative jazz scene 1970-1983, pubblicato a fine 2015, si è potuto riscoprire artisti dimenticati o coperti dall’oblio; raccoglieva gli istinti stilistici di ciò che già le grandi sedi americane del jazz avevano incorporato, con un pizzico di sperimentazione in più: il free jazz, il funk e il fusion jazz senza troppe leccature coinvolgevano alcuni musicisti veramente interessanti come i trombettisti Mark Harvey e Stanton Davis, il chitarrista Baird Hersey e un gruppo lussuoso di sassofonisti tra cui Arni Cheatham, Alan Braufman e i due fratelli gemelli Michael Cosmic e Phill Musra. Riguardo a questi ultimi, era sentita l’esigenza di ristampare un paio di Lp che appassionati di jazz e musicologi avevano segnalato da tempo per il loro valore, una circostanza che è venuta al pettine con l’esecuzione della ristampa cd di Peace in the world (attribuile discograficamente a Cosmic) e Creator spaces (attribuito al Phill Musra Group). L’operazione di revisione è stata condotta aggiungendo ai due cds un terzo live 1972, dal titolo The prayer, suonato da una formazione di musicisti operanti a Boston, tutti attratti dalla calamita dei due sassofonisti (in quell’occasione Cosmic e Musra davano vita al World’s Experience Orchestra). Questa riedizione acquista maggior validità grazie al contributo delle lunghe ed efficacissime note interne di Clifford Allen, a cui va il merito di aver sempre sostenuto (come giornalista e esperto di jazz) questa dimenticata scena: il concentrarsi su Cosmic e Musra permette di ottenere il passpartout per cominciare ad approfondire le caratteristiche somatiche della musica di Boston di quegli anni. Quanto al free jazz, fissare un top critico in Peace in the world e Creator Spaces, significa anche constatare le differenze con quanto accadeva a New York, Chicago o Los Angeles in quegli anni: come mostrato nel racconto di Allen, i due sassofonisti facevano pianta stabile con il percussionista turco Huseyin Ertunc, che nel ’69 si era trasferito a Boston per studiare pittura e musica, ma la comunità di musicisti che si trovava attorno al trio era nutrita (John Jamyll Jones, Eric Jackson, Rene Arlain, Wes Riley, etc.). Lo stile di Huseyin è puro e presente, perciò i due Lp citati mostrano una netta differenza da The prayer che segnala un avvicinamento al fusion jazz, con tanto di flauto e modalità.
Ritornando, dunque, a Peace in the World e Creator spaces, va detto che stilisticamente questo free jazz si originava dalle passioni ed esperienze fatte dai singoli, accusando ricevuta di ciò che era stato fatto in quegli anni, ma cercando di arrivare ad una formula propria; se dovessi stabilire discograficamente delle coordinate di quanto si sente in Peace in the world e Creator Spaces, non potrei fare a meno di stabilire un’asse che parte dal Coltrane del ’66 di Cosmic Music, a cui aggiungere gli “inni” di Ayler, uno stadio percussivo degli Art Ensemble of Chicago, l’interesse etnico come profuso da Don Cherry, nonchè il Tahuid di Pharoah Sanders fino ad arrivare all’Universal Consciouness di Alice Coltrane. In ciò che è diventata storia e patrimonio del jazz, brani come Arabia, Egypt, Space on space o The creator spaces fanno un figurone, proprio perché dei riferimenti citati esiste solo un progetto di appartenenza che lascia spazio alla propria improvvisazione: l’utilizzo della gamma timbrica dei sassofoni è differente da quella di Coltrane o Sanders, così come gli svolgimenti dei pezzi hanno solo una “stanza” nella casa di Ayler o dell’Art Ensemble; l’uso ampio della famiglia dei fiati comprende atteggiamenti specifici della musica grazie a strumenti tradizionali come il zurna, o a flauti liberi ed estroversi, così come differenti sono i tempi delle percussioni (che non nascondono la loro provenienza euroasiatica); non c’è la modalità imperante dei Coltrane, così come diversa è la castratura dell’organo rispetto a quanto fatto da Alice in quegli anni.
Personalmente ringrazio Clifford Allen per avermi inviato questa bellissima ristampa, che con dovizia di particolari riprende un periodo della storia del jazz che, ancora oggi, è coperto da molte incomprensioni: pur avendo una certa datazione, questa musica possiede matrici di modernità, una fortissima impronta progettuale individuabile nella concezione di un filo conduttore tra musica, impegno sociale e mezzo di comunicazione spirituale; nelle parole di Allen “….the music of Phill Musra, Michael Cosmic, Huseyin Ertunc, and their peers is a magnificient testament to ingenuity, spirit, and freedom that deserves a fresh hearing…
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.