D. N’y a-t-il pas un compositeur que vous détestez au point de ne pouvoir l’entendre?
R. Je n’aime pas ne pas aimer. Mais puisque vous me le demandez: par exemple, oui, je ne parviens pas à aimer (à comprendre?) la musique de Rachmaninov ni celle de Prokofiev.
tratto da Le Monde culture, 10.09.2008, intervista a Gérard Pesson di Renaud Machart
Quella di Gérard Pesson può considerarsi una sfida del tutto condivisibile: in un posto come quello della musica, in cui si cercano emulazioni o ci si cimenta in una ricerca subdola dello spirito di un compositore, riesce difficile imporre il proprio punto di vista attraverso una partitura che vuole guardare più a fondo della musica, svelando cosa c’è dietro proprio tramite la relazione sonora; non si tratta solamente di trasformazioni attualissime della musica di periodi ed artisti particolarmente graditi (Pesson se ne è costruito uno su misura, partendo dal classicismo di Mozart e Beethoven, passando da Bruckner e Mahler ed arrivando a Webern e Ravel), ma anche di scorrere sull’operato di un pittore, di un letterato, di uno scultore e così via. Da uomo colto, l’ottica intrapresa da Pesson per dimostrare che esiste un personale modo di connettere eventi e sentimenti di arti diverse, parla ambiguamente di rivoluzione (soprattutto quella aperta da Lachenmann) e ti mette enormemente alla prova, perchè di fronte a degli abiti non convenzionali (salti, glissati, armonici, etc.) resta sempre una sensazione di “confronto” con un passato, accuratamente selezionato.
Per quanto mi riguarda, l’approccio con l’ascolto della musica di Pesson non è stato uno dei più fertili e sono sincero nel dirvi che le partiture da camera o per ensembles del francese (che hanno dominato la sua produzione fin dalla fine degli ottanta) non riuscivano a creare un ponte efficace tra la tecnica, i temi e la mia immaginazione; ma la mia istintiva ricerca di contenuti emotivi si è smentita quando nel 2009 il pianista italiano Alfonso Alberti pubblicò per Col-legno l’opera completa al pianoforte del francese: uno splendido ed autonomo scrigno da cui allontanare quella non corretta idea appiccicata da alcuni critici a Pesson, che lo vedevano come l’equivalente francese di un Lachenmann, soprattutto per le insidiose tecniche estese utilizzate nelle partiture; sebbene nelle composizioni di Disposition furtives si ripresentassero alcune tecniche non convenzionali del compositore tedesco, era palese la diversità di vedute dei due compositori: dove Lachenmann accentua il senso distruttivo della costruzione complessiva, Pesson lo recupera, non perdendo (mai e completamente) i contatti con il passato. Dove Lachenmann è cenere, Pesson è discorso, relazione, pensiero in movimento, in taluni momenti persino ironia. Si può perciò affermare che Pesson sviluppa una particolare anatomia di suoni, con nessuna intenzione di mineralizzare il contesto. Con molta onestà devo dire che dalla scoperta di Alfonsi in poi, l’impressione è che quel gap aperto con la musica non pianistica e che io avvertivo, si sia chiuso.
La recente monografia pubblicata dalla Aeon è conferma di questo diligente quadro da me appena costruito: Blanc Merité racchiude innanzitutto un tris di composizioni contemporanee tra le migliori del francese, che si gioca sull’attenzione che Pesson dà al pittore Roman Opalka (Blanc Merité), sul bellissimo trattamento inferto alla carmagnole (il celebre canto popolare con danza della Rivoluzione francese) e su una modulazione articolata in musica della lettura frammentata di Proust (Ne pas oublier coq rouge dans jour craquelé); poi ancora una serie di brevi ritratti pianistici (6 miniature dei Musica Ficta, un ciclo di insegnamenti al pianoforte) e le Six Transformations du menuet K. 355 di Mozart (strutturate in movimenti da camera e nutrite dell’umorismo che molti riconoscono nel tratto del classicista austriaco). Ogni composizione ha una storia minuziosa e le note interne del libretto del cd sono corredate del super dettaglio fornito dal compositore stesso, che spiega con chiarezza i procedimenti che hanno portato a compimento le composizioni, per cui troverete ampie soddisfazioni in merito. In questa sede mi preme solo sottolineare l’eccellente livello di interpretazione degli esecutori, ossia l’Ensemble Cairn diretto da Guillaume Bourgogne; in particolare spicca il lavoro del sassofonista Clément Himbert in Blanc Merité, dove il numero sette acquista valenza per più motivi: è il risultato di sette anni di lavoro per una tesi di dottorato e scandisce i sette “moments” che compongono il pezzo; multifonia, calligrafia ritmica, pulsazioni irregolari si mettono al servizio di quella ricerca di convergenze tra le tesi di Opalka e la musica di Pesson.