La nozione di musica contemporanea meriterebbe una sistemazione definitiva: oggi ne pratichiamo ambiguamente due, una che si riferisce a quella nicchia di composizione che proviene dagli studi classici, un’altra che è decisamente più onnicomprensiva, riferita ad una nozione temporale. In quest’ultima ci troveremmo davanti a ciò che la musica ha servito negli ultimi cinquant’anni almeno: la musica classica per intero, il jazz e la libera improvvisazione (anche elettroacustica), l’elettronica nelle sue molteplici sfaccettature (dall’ambient music alla I.D.M, dall’uso dei modulatori ai più sofisticati laptop per la composizione), il rock e la pop music (soprattutto quelli più progressivi) e le sperimentazioni di ogni tipo.
Quest’ultima definizione, una popolare accondiscendenza a larghe maglie, ha costituito supporto per una rivalutazione globale della musica in tempi di crisi, lavorando come schema di riferimento soprattutto in quei paesi che non possedevano una tradizione pluri-millenaria in termini musicali. Il caso dei paesi del Nord Europeo è emblematico in tal senso e ancora più specifico si è presentata la situazione in posti geograficamente isolati come l’Islanda, dove i pionieri nazionali dei generi sono rimasti dei perfetti sconosciuti oltre i loro confini, fintanto che non è intervenuta la rivoluzione della rete e l’allargamento delle informazioni.
L’esperienza in Islanda di Luca Brembilla, chitarrista bergamasco, fatta nel 2012 nell’ambito di un progetto di ricerca sulla musica contemporanea di quel paese, si presenta come testimonianza diretta di un diverso e, oramai, affermato modo di compensare le visuali più differenti. L’incontro con il compositore Arni Bergur Zoega lo ha immediatamente proiettato in una realtà a più gradini, dove poter trovare il conforto di una trasversalità musicale, perfetta persino per dare concretezza ai concetti in cerca di persuasione di un improvvisatore libero. L’interesse in Zoega e nella sua opera ha incoraggiato le basi concettuali di Brembilla: senza nessuna denigrazione per quei ceppi musicali che avevano fatto fortuna anche fuori dall’Islanda (Sigur Ros, Sugarcubes, i compositori del modern classical, tra cui il compianto Johannsson), era possibile trovare riscontri in un’ampia gamma di sentimenti esprimibili dalla musica; in tale contesto, mi sembra emblematico e quasi necessario sottolineare come Zoega abbia scritto un’ideale colonna sonora per Hrimland, il romanzo dello scrittore islandese Alexander Dan, modulando la musica tra inserti orchestrali senza proprietà stilistiche e musica elettronica con tante virate in sub-generi; il rapporto tra fantastico e l’horror, la voglia di denunciare in forme aggressive governi ed abitudini della società, l’approfondimento delle relazioni tra arte, natura e logiche para-spirituali, sono le direttive sulle quali si basa anche l’attività di Brembilla.
Il chitarrista italiano ha convinto molti musicisti/compositori del posto ad imbastire una performance compo-improv destinata al tema dell'”estremo”, ricomponendo lo spirito dei temi prima enunciati. Il lavoro prende il nome di Riding the extremes e sarà pubblicato ufficialmente il 10 aprile prossimo per gli stores musicali; naturalmente è già possibile l’ascolto presso il sito dell’etichetta discografica di Brembilla e Marco Ghezzi, la Easy Finger Records (puoi trovarlo qui)*.
Zoega costruisce la partitura grafica in quattro movimenti di Incubation within the Aethochroic Osseous Vault, quattro ossessivi disegni che sviluppano in improvvisazione la pratica della necromanzia, lavorando ad un forte simbolismo che nella musica si riconosce in un clima tetro ma attualissimo, dove la profezia viene trattata con forme tessiturali adeguate: c’è una cantante d’opera che sembra sfuggita alle grinfie della Callas di Medea, corde allentate e glissate alla stregua di un’orchestra contemporanea, urti contro protuberanze di suoni elettrici, cacofonie, passaggi concreti ed elettronici, arrivando anche al loop dalla qualità implacabile. Molto lontano dalle operazioni di Xenakis o di Rihm, queste improvvisazioni rifiutano qualsiasi aggancio con la dottrina greca o comunque delle antichità, permettendo invece l’ingresso di una zona performativa ampia, di difficile definizione, ma che può certamente comprendere la realizzazione teatrale, quella cinematografica e persino una connessione con gli esoterismi del metal.
Zoega costruisce la partitura grafica in quattro movimenti di Incubation within the Aethochroic Osseous Vault, quattro ossessivi disegni che sviluppano in improvvisazione la pratica della necromanzia, lavorando ad un forte simbolismo che nella musica si riconosce in un clima tetro ma attualissimo, dove la profezia viene trattata con forme tessiturali adeguate: c’è una cantante d’opera che sembra sfuggita alle grinfie della Callas di Medea, corde allentate e glissate alla stregua di un’orchestra contemporanea, urti contro protuberanze di suoni elettrici, cacofonie, passaggi concreti ed elettronici, arrivando anche al loop dalla qualità implacabile. Molto lontano dalle operazioni di Xenakis o di Rihm, queste improvvisazioni rifiutano qualsiasi aggancio con la dottrina greca o comunque delle antichità, permettendo invece l’ingresso di una zona performativa ampia, di difficile definizione, ma che può certamente comprendere la realizzazione teatrale, quella cinematografica e persino una connessione con gli esoterismi del metal.
L’altra variabile di rappresentazione voluta da Brembilla è quella del territorio: allo scopo, particolarmente attraente è la partitura grafica offerta dalla compositrice Hafdis Bjarnadòttir, che è il frutto di una trasposizione della visuale del monte Esjan fornita dalla webcam del suo computer, nelle impossibilità di poterla seguire direttamente dalla sua stanza islandese. La compositrice ne vuole cogliere la continua variabilità e pertanto chiede alla partitura una flessibilità in esecuzione del suo impianto visivo, che tanto riproduce le caratteristiche morfologiche della montagna. L’improvvisazione su Esjan segue le linee di un percorso che sta lo stupore e il mistero di un sottofondo di elettronica, una dinamica di micro-eventi che si inserisce in stile ambient, e una chitarra preparata a segnar sentieri.
La conciliazione con l’ispirazione del territorio si completa con Holuhraun, riferibile ai movimenti della lava vulcanica, in quello splendido gioco di colorazioni che assume per il fatto di essere a ridosso di un grosso fiume: interamente suonata da Brembilla e Jòhann Eiriksson, si inerpica in una tessitura cacofonica, che non vuole dare un’idea della potenza del fenomeno, quanto far riflettere sulle implicazioni del fatto geologico: lo strano movimento e le intensità vissute sono portavoci di una frattura cosmica o di una mitologia da decifrare.
Gli estremismi sono comunque decifrabili sin dall’apertura di Riding the extremes, dove un fragore metallico introduce il canto drammatico di Alexandra Chernyshova: Arietta è un estratto di una opera da lei composta, dal titolo The poet and the Bishops daughter; mentre il Prelude di Brembilla, totalmente improvvisato ed acustico, è una via di mezzo tra il primitivismo di John Fahey e il disturbo alla Thurston Moore, tanto da sembrare l’unico episodio che vuol dare più credito alle regole tonali.
Gli estremismi sono comunque decifrabili sin dall’apertura di Riding the extremes, dove un fragore metallico introduce il canto drammatico di Alexandra Chernyshova: Arietta è un estratto di una opera da lei composta, dal titolo The poet and the Bishops daughter; mentre il Prelude di Brembilla, totalmente improvvisato ed acustico, è una via di mezzo tra il primitivismo di John Fahey e il disturbo alla Thurston Moore, tanto da sembrare l’unico episodio che vuol dare più credito alle regole tonali.
Riding the extremes indica in maniera inequivocabile come la nouvelle vague dell’improvvisazione libera e una delle varianti indispensabili per il futuro della musica, sia da decifrare nei caratterizzabili mondi infiniti delle partiture grafiche, della correlazione con le altre arti (si potrebbe benissimo formattare la musica con video proiezioni o costruire riferimento poetico-letterario), condividendo qualsiasi elemento del suono: Brembilla riesce ad andare oltre qualsiasi etichettabile consuntivo musicale (persino il mio), offrendo un prodotto che è espressione di un’esposizione complessa ma necessaria a nutrire la musica di rinnovate allusioni, senza barriere di genere, in cui far confluire le possibili verità dell’inconscio di un popolo.
_________________________________________
*Nota:
Brembilla è organizzatore del progetto e suona chitarra elettrica ed effetti; gran parte dei musicisti coinvolti sono personalità islandesi conosciute e di valore artistico riconosciuto; le partecipazioni sono di:
– Mugison, che suona il Mirstrument, un assemblato di sintetizzatori da lui ideato; Mugison è una rock star islandese;
– Johann Eiriksson suona l’I-pad; è fra i pionieri della musica elettronica, industriale, sperimentale, noise islandese con le band Reptilicus e Gjöll;
– Bjorvin Gislason suona l’organo da chiesa: inusuale per il guitar hero islandese;
– Rikhardur H. Fridriksson alla chitarra elettrica processata, è professore di Computer Music presso l’Iceland Academy of the Arts;
– Úlfar Ingi Haraldsson al contrabbasso; è professore di composizione presso l’Iceland Academy of the Art;
– Alexandra Chernyshova (voce): cantante soprano ucraina, molto attiva nella scena lirica islandese;
– Einar Bjartur Egilsson (piano): è un promettente giovane pianista islandese.