Xiaoyong Chen: Imaginative reflections

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Tra le tante combinazioni possibili tra la musica classica occidentale e quella cinese, quella del prof. Xiaoyong Chen (1955) possiede un elemento in più: quando il compositore decise di trasferirsi in Europa per svolgere la sua missione compositiva, intuì che era possibile proporre uno stile a lui riferibile. Incrociando insegnamento e cultura musicale dei poli opposti, Xiaoyong Chen ha evidenziato le difficoltà di una interposizione tra ovest e musica cinese, dovute ad una congenita mancanza di adeguata comprensione delle tematiche di entrambi i fronti della composizione e dell’esecuzione. Chen si mise in luce molti anni fa, nel periodo in cui ad Amburgo si rese disponibile la cattedra alla Hochschule fur Musik und Theater, ma il tempo ha lavorato a suo favore nella maturazione del pensiero e di un certo suono da ottenere. Ciò che il compositore cinese ha sviluppato è una magnifica compenetrazione sulle capacità dell’immaginazione indotta dalla musica, interamente basata sulle proprietà acustiche e sulla risonanza. Nelle sue parole: “… I had to reflect upon our world, my music and the general problems of the new music scene in depth for a long time: we live in a world in which people are overwhelmed with superficial information. Their attention for important information has thus been weakened. They have become spiritually exhausted and passive, so that they are no longer capable of developing their imaginations freely. It is exactly the same in music….“.
Sebbene per molti si possa considerare un anonimo dispensatore della cultura cinese, Xiaoyong Chen è stato fondamentale per dare appigli alle generazioni successive di compositori cinesi. Non sarebbe nato un Lei Liang se non fosse esistito prima Xiaoyong Chen. Sulla scorta dell’innamoramento interculturale, il professore di Amburgo ha interiorizzato la scrittura del suo mentore (Ligeti) e l’ha fusa con le conoscenze di Beijing, chiedendo ai suoi esecutori una maggiore preparazione per le sue partiture che, diversamente dal solito, imponevano una formazione speciale dei musicisti coinvolti, compresa tra la rigidità degli occidentali e la più libera interpretazione dei cinesi.
La Col legno ha recentemente pubblicato una monografia del compositore cinese dal titolo Imaginative reflections, che colma con parsimonia un vuoto discografico piuttosto evidente: ciò di cui si poteva disporre di Xiaoyong Chen era una rara raccolta di composizioni da camera dal titolo Invisible Landscapes, pubblicata anni fa grazie alla Deutsche Kammerphilarmonie, mentre canali privati della rete accoglievano altre sparute composizioni, apparse a loro tempo su lavori a tiratura limitata (e quindi introvabili).
Imaginative reflections si pone nell’ottica giusta della rappresentazione, presentando una manciata di composizioni da camera che aderiscono al cerchio temporale che va da Evapora del 1996 fino alla recentissima Wandering Illusions del 2016, cerchio che esprime la piena maturità dell’artista. Ci sono momenti intensissimi nei brevi movimenti del pezzo Imaginative reflections, così come succede in Wandering Illusions, composizioni che rientrano in un canovaccio espressivo, che tiene dentro clarinetto, violino, cello, pianoforte (con alcuni tasti preparati) e, solo per Wandering Illusions, lo sheng, tipico strumento a fiato cinese. Pienamente programmatiche nei significati, queste musiche ottengono il loro scopo grazie ad una base mista, che ha nel suo dna in dosi sintetiche la chamber music di Ligeti, la comunicabilità di una immateriale scena di vita o d’opera cinese, l’affondo meravigliosamente esagerato nelle risonanze di Scelsi. La bravura degli esecutori (affidata a l’Ensemble Les Amis Shangai diretti da Jensen Horn-Sin Lam), nonchè una registrazione perfetta, riescono a cogliere la bellezza degli sviluppi degli strumenti, che ad un certo punto, fondono il pensiero e propongono incredibili similitudini acustiche della vita normale (andate a sentire quanto propone il movimento III Vibrations in the air di Wandering Illusions, nell’incontro tra una nota di piano preparato, i colpi degli archetti ed un’amplificazione votata alla saturazione). Quanto a Scelsi, Xiaoyong Chen ce lo fa rivivere a suo modo nel ciclo di Diary V, per pianoforte in quarti di tono: lontano da sperimentalismi alla Wyschnegradsky o Haba, e lontano anche dalle pastoie della ripetizione, è sul timbro che si concentra, fornendo una dimensione psicologica che è nel contempo una trama; un gioiello di astrattezza contemporanea che è tutto nell’universo di Xiaoyong Chen, dove le risonanze sono studiate ad arte per produrre effetti nascosti, reincarnazioni sonore con una propria voce che vogliono confondere l’idea del suono pulito e dare nuove possibilità alla riflessione musicale.
L’idea di un potere musicale immaginativo è sempre ben accolto nella cultura orientale e questo cd lo sottolinea con note interne adeguate e con un riferimento alla pittura di Zushun Chai, un astrattista speciale, fautore della Mental Imaginery Art, dove i dipinti restituiscono una colorazione ed un vissuto torbido, ma incredibilmente nascondono particolari che con una visione d’assieme creano nuove configurazioni visive. Frutto degli abbinamenti tra culture diverse, queste misteriose interpretazioni dell’arte riportano ad una pragmatica ed efficace frase di Laozi, che afferma che “..a great sound is inaudible, a great image is formless…“.