Perelman and Shipp’s last legacy: Oneness

0
471
Oneness si presenta come l’ultimo sforzo musicale del duo Perelman-Shipp. I due si erano accordati per un very best di una serie di improvvisazioni registrate in studio, quando poi si sono accorti che la bontà delle loro esecuzioni non permetteva nessuna selezione. Ne è nato un triplo cd, un’altro tentativo di porre in vita un monumento sonoro, al pari di quelli che periodicamente frequentiamo per contemplare le costruzioni dell’arte (le chiese, le sculture, i dipinti, etc.). Per Oneness, titolo che allude ad una forma gestaltica della musica, si riafferma il criterio principale che ci fa amare le illustrazioni musicali di Perelman e Shipp; è la vibrazione musicale che ci accompagna, come in un racconto o una poesia dai caratteri più o meno astratti, capace di sfogliare vicende e realizzare scenari attraverso l’uso specifico della musica. Qui ci sono due protagonisti: uno è scaltro e profondo, l’altro è impertinente e lirico.
La riaffermazione del carattere musicale di questo benemerito tandem dell’enfasi improvvisativa produce ancora qualche novità rispetto al passato: in un nucleo ampio di relazioni subliminali, irrimediabilmente sondate in uno stile, Oneness smorza quasi i toni, poiché l’improvvisazione sembra che non voglia fare troppo chiasso e gradualmente sostituire una sensazione astratta di jazz (comunque plurima di pensieri a supporto) con un’immagine neurale recitativa, di quelle che probabilmente si potrebbero vivere ad un teatrino di burattini del vostro paese; mi permetto di sottolineare la valenza di questa esperienza, soprattutto in età fanciullesca, perché si imparano un sacco di cose. Mio padre fece questo con me e mi fu molto chiaro, sin da bambino, di cosa significasse la vita e i suoi percorsi: una commedia che scorre indisturbata nel tempo e che ad un certo punto fornisce reazioni/rivoluzioni contrarie ad un flusso normalizzato di eventi; con Oneness, Perelman e Shipp puntano alla reazione massima della vita, ossia al suo dissolvimento e alla ricostituzione ciclica della materia, così come insinuato dallo ouroboros, la raffigurazione pittorica del serpente in copertina che, in una posizione circolare carica di significati, si mangia la coda.
Shipp e Perelman esprimono queste relazioni dell’esistenza con una chiarezza proverbiale, una facilità del gesto e della trasmissione emotiva che è il frutto di due strumenti appena; in quel teatrino meraviglioso delle impressioni, con molta probabilità Shipp è il dispensatore di eventi e il paesaggio della narrazione, mentre Perelman è colui che li vive in prima persona; tanto è quanto si percepisce nell’ascolto graduale dal disco 1 ai successivi, dove l’1 è quasi etereo, mentre il 2 e il 3 accettano la recitazione ed un certo grado di spigolosità. E Perelman, grazie al suo speciale bocchino e ai suoi indomiti polmoni carichi di fiato, riesce a sviluppare in molti frangenti una voce dal timbro umano, lamentosa ma vitale, dall’ottica musicale antica, quella in cui l’espressione era il fulcro della riuscita della musica.
E’ meravigliosa la capacità di lasciarsi ed incontrarsi dei due. E gli incontri, quando arrivano, generano climax incredibili. Il merito è quello di sottomettere alla musica una creatività cocente, la stessa che ha assistito molti protagonisti dell’improvvisazione. E’ qualcosa che vi porta in posti sonori mai sperimentati delle sensazioni. Un regno speciale delle obliquità e delle stranezze, di cui restiamo affascinati.
La dichiarazione programmatica di Perelman, fatta nelle note interne, di porre fine alla collaborazione con Matthew Shipp, ha solo valore di interruzione di uno stadio prolungato di virtuosità espressiva dei due musicisti; sebbene sia quasi convinto di una riassociazione dei due nel tempo, il patrimonio musicale reso disponibile fino a Oneness è comunque qualcosa che ha arricchito il free jazz e la libera improvvisazione degli ultimi venti anni, un corpo sonoro facilmente disponibile per l’osservazione e per l’ammirazione in un’epoca distratta e mistificatoria.