Una grande finestra vetrata su città possibili

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I segni dell’ideologia musicale di Schoenberg si fecero vivi soprattutto nei paesi nordici, comprendendo anche l’area inglese. Tutte le generazioni di compositori operanti dal post seconda guerra mondiale in poi, furono entusiasti di accogliere a braccia aperte l’atonalità come processo vero e nuovo della musica, pensando ad una grande rivoluzione, al pari della rivoluzione pittorica del cubismo. Scavando nelle stesse basi della musica tonale, quei compositori continuarono a coltivare i temi del concerto, della sinfonia e della musica camerale, distorcendo l’ottica delle gerarchie e degli equilibri così come conosciuti nella grande eredità consegnatagli dalla storia; in più, furono pronti anche a recepire le istanze della composizione per elettronica, prendendo comunque le distanze dai movimenti asfittici di Darmstadt e dal serialismo, ed accogliendo la materia del “processo” compositivo come fondamentale qualità per un esplorazione dei temi.
Nelle fila dell’attuale Norwegian Accademy di Oslo, le concezioni di Olav Anton Thommessen (1946) sembrano ancora molto presenti; Thommessen è stato un convinto asseritore dell’atonalità, del suo valore innovativo, della possibilità di sviluppare i suoi contorni, e penso sia stato anche uno dei pochi compositori a non cambiar idea sul punto anche quando i suoi colleghi cominciarono ad avere forti dubbi sulla valenza esplorativa di quel cambiamento. Un allievo di Thommessen fu il compositore Rolf Wallin (1957), in grado di affinare la sua formazione in California con Reynolds, interessandosi al fattore matematico quanto uno Xenakis, facendo continuo ricorso alla materia dei frattali, del caos e dei suggerimenti pitagorici. Wallin acquisì una certa considerazione negli ambienti solo nel 1990 con Stonewave, una composizione per sole percussioni che traeva sostanza dai frattali impiegati nei processi armonici, ma l’interesse per l'”esperimento” arrivò l’anno dopo con Scratch, una partitura orale pensata per 3 palloni gonfiati che venivano percossi da 3 avventori in cerca di suoni, relazioni e forse persino sensualità dell’esperimento musicale. In Lobster Soup, un’articolo redatto sul magazine Nordic Sounds nel ’98, Wallin rivelò in poche parole il suo perfetto intendimento “… So what did I bring with me from the fractal years? Above all the love for simple procedures that yield complex material. And when I say complex, I do not mean the complicated, the cumbersome and the difficult, but rather something that has a manyfaceted quality, a world within the world to explore…..”.
Peter Herresthal, eccelso violinista dell’Accademia di Oslo, ha seguito benissimo la rotta della musica strumentale norvegese così delineata, entrando nelle esecuzioni specifiche di tanti concerti di autori essenziali come Nordheim, Thommessen, Adès, Norgard, etc. e naturalmente non si è risparmiato nemmeno l’interesse verso Wallin, in una recente raccolta pubblicata per la Bis, dove poter ascoltare in maniera ufficiale Under city skin, un concerto elettroacustico in quattro parti, per violino, string orchestra e suoni surround, più Appearances, una composizione orchestrale di circa 15 minuti scritta nel 2003. In questa stessa raccolta Herresthal ci proietta in un ulteriore prolungamento musicale che contiene due composizioni del più giovane Eivind Buene (1973), dove accanto a delle innocue miniature per ensemble, ascoltiamo il suo concerto per violino (Artic Philarmonic Sinfonietta). Sia l’Under city skin di Wallin che il Violin Concerto di Buene si prestano benissimo alla rappresentazione del principio della “qualità sfaccettata” e della “esplorazione di mondi interni” a cui si riferiva Wallin e, più in generale, sono il frutto dei risultati odierni della composizione nordica: esse muovono corrispondenze, sviluppano armonia e sedi specifiche dell’emozione e sono comunque gran pezzi di musica.
L’invito è a scoprire il cd di Herresthal, naturalmente, ma anche qualcosa extra degli autori: di Wallin’ va seguita la recentissima scrittura per orchestra e video a tre dimensioni (Manyworlds del 2010 riflette sui paralleli musicali e visivi) e andrebbe perlomeno affrontata la problematica di lavori mixed media come Feelings (installazioni con un sensore computerizzato, applicato sul cranio dell’utente) e (installazioni con sensori-computer, applicati sull’intero corpo dell’utente tramite lo schermo di una speciale tuta costruita in un centro di tecnologia ed acustica di Oslo). Quanto a Buene, sarebbe necessario apprezzare i suoi legami con la composizione contemporanea, la tenera glacialità delle sue “possibili città” (in questo i musicisti del Cikada Ensemble vi verrano in soccorso) e le peculiarità spese per improvvisatori rinomati come Ivar Grydeland, Ingar Zach, Hakon Thelin, Frode Haltli o Christian Wallumrod, che si accordano negli scopi delle aperture dell’intera composizione nordica.

A tale proposito non si può fare a meno di ricordare che la Bis ha anche pubblicato Entropia, una prima monografia “classica” del finlandese Lauri Porra, bassista elettrico coinvolto nel rock, nell’heavy metal e nella musica per films: l’apertura ad una struttura semiconvenzionale e ad un basso elettrico non è cosa che capita tutti i giorni nella musica classica, e dimostra che l’avvicinamento di generi, musicisti e compositori nel nord Europa è molto capitalizzata e produce ricchissime esperienze (vedi qui il suo concerto per electric bass and orchestra).
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.