

Selected works for piano and/or Sound-Producing Media contiene la prima composizione dell’americano del 1949 collegata a Frost, dal titolo Home Burial, in cui serpeggia ancora una personalissima impronta seriale, parametrata però su affascinanti gruppi ritmici; contiene gli otti temi di Folio (1952-53), pezzi in cui si può cominciare a fare la conoscenza di quanto detto prima a proposito della partitura, con notazioni designate per “…incoraggiare la “mobilità” concettuale nell’approccio dell’esecutore alla partitura…“; poi January 1954 dai 4 Systems e gli immancabili Twenty-five pages. Va da sè che Lenoci si misura in un repertorio che è stato calcato da splendidi esecutori in passato ed è dall’ascolto comparato con essi che si può ricavare un’informazione aggiuntiva.
Quanto a Home Burial, la versione di Lenoci si affianca a quella di Sabine Liebner (che si può trovare in un cd per la Wergo dal titolo Abstract sound object) contenendo in comune quella “macchia” armonico-espressiva che probabilmente ha stimolato l’interesse di Lenoci per Brown; per quanto riguarda Folio, bisogna tener presente che Brown aveva previsto variabilità nella strumentazione e nelle durate: ciò significa che, mettendo da parte le versioni non per piano solo, ci si ritrova con le interpretazioni “velocissime” e piene di contrasto di David Arden, l’impostazione estensiva della December 52 di David Tudor e le accresciute dinamiche profuse da Michael Daugherty con l’ausilio di nastro e computer, per finire al ciclo completo della Liebner, dotato di maggiori lunghezze di tempo e di un allungamento atto a mettere in evidenza risonanze e silenzi; la versione di Lenoci calca sul misterioso, proietta molte sensazioni, lavorando su una causalità meravigliosamente costruita con cellule sonore che si perdono nello spazio d’ascolto: il culmine è December 1957 52, architettata tutta sulla valenza emotiva grazie ad un continuum sonoro fatto di cadenze calibrate in note fuori controllo, effetti estensivi ed inserzioni radiofoniche. 4 Systems ha analogie con la versione di Daugherty, ma qui il piano è completamente bandito da una aggiornatissima e seria trance di elettronica; per Twenty-five pieces Gianni deve competere con le versioni di Steffen Schleiermacher, Rzewski e Tudor, ma almeno per durata è a quella della Liebner che si avvicina con una estensione di 25 minuti, distanziandosene però completamente per altri elementi: nel rispetto dell’identità compositiva fornita da Brown (un contenuto sonoro fisso anche se flessibile), Lenoci si approccia per una digressione dinamica, una cascata di note scomposte, in arpeggio irregolare, sprovviste del tempo naturale. Quella di Lenoci è senza dubbio la migliore versione che io abbia ascoltato, penso ne sarebbe stato contento persino Brown.
Con Twenty-five pieces Brown si congiunge compiutamente con i mobiles di Calder e gli istinti creativi di Pollock: grafici prossimi all’immagine ed un patto suggestivo ed ambiguo con gli esecutori. Tra Webern e Cage, Brown si presta dunque ad un’attività di esplorazione che può essere ancora portata più in avanti ed è forse questo il messaggio che questo splendido cd di Lenoci vuole rappresentare.