Wenchen Qin: Orchestral works

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Tra il 7 e il 14 Marzo del 2016 la Grober Sendesaal, sala situata a Vienna nel celebre palazzo Funkhaus e sede storica dell’attività concertistico-radiofonica della ORF (la Radio Symphony Orchestra di Vienna), ospitò un ampio programma musicale sul compositore cinese Wenchen Qin (1966). L’operazione aveva molto senso in rapporto alla circostanza che su Qin non c’erano stranamente registrazioni ufficiali fatte in Occidente, nonostante il compositore fosse una figura di spicco proprio nel comparto orchestrale contemporaneo e avesse avuto una profonda esperienza alla Folkwang Hochschule di Essen in Germania; le registrazioni della ORF furono guidate da Gottfried Rabl secondo un prestabilito piano in cui far emergere con equilibrio la sostanza compositiva di Wenchen Qin: una parte di queste registrazioni sono state affidate alla Naxos (il concerto per violino, quello per violoncello, nonchè una versione occidentalizzata di Suona Konzert, un concerto per orchestra di strumenti cinesi), un’altra parte, invece, più contratta verso l’anima contemporanea, è stata presa in carico dalla Kairos per il cd “Orchestral works“. I brani eseguiti ed inseriti in Orchestral works raccolgono Echoes from the other shore (un concerto per zheng), Across the skies (un concerto per pipa), Lonely song per 42 elementi a corde e The nature’s dialogue, una composizione orchestrale con utilizzo di audio tapes a supporto.
Orchestral works flirta magnificamente sulle visuali attuali della musica cinese: Wenchen Qin fa parte di una generazione intermedia, una che coglie una speciale relazione con la prima (Tan Dun, Xu Shuya, Bright Sheng, Zhou Long, etc.), vissuta con un taglio differente, aperto su possibili approfondimenti della musica cinese a caccia di nuove convergenze e nuovi suoni (non necessariamente accecati dalla modalità contemporanea) e allo stesso tempo guarda con sospetto alle strade senza uscita prese dalla quasi totalità delle generazioni giovanissime di compositori cinesi. Wenchen Qin lavora ancora sui rapporti di confluenza, ma il suo è un modo egregio di sviluppare un ragionamento sulla strumentazione: è vero che esiste un’ampia letteratura su zheng, sheng o pipa, così come ampia è quella sulla strumentazione occidentale, ma è anche vero che molta composizione orientale si è fermata ad un primo stadio, probabilmente ostacolata dalla costosità di una commissione da imbastire per tanti elementi; sono pochi i compositori cinesi che hanno avuto queste opportunità e perciò questi 4 pezzi potrebbero essere considerati come reference points di un corridoio ancora sviluppabile. La scrittura di Wenchen Qin è forte, immaginativa, riserva a tutti un compito particolare: in Echoes from the other shore un’accordatura speciale dello zheng risalta un carattere grezzo e scuro, che deve abbinarsi ad un intervento minuzioso e temporalmente plurimo del resto degli strumenti, pensato per tenere in piedi un medio status virtus, che sta la “fantasia” sinfonica e il relitto sonoro contemporaneo; è qualcosa di totalmente differente dai concerti per zheng di Tan Dun, Xiaogu Zhu o anche di quanto fatto per rinverdire le colorazioni dell’opera cinese; si avvicina, quanto meno per l’attività di contrasto profusa nella composizione, a quanto fatto da Simon Steen-Andersen nella sua Ouvertures. Con criteri non omologati va anche vista la pipa di Across the skies, che sembra più predicare o fornire un’atteggiamento piuttosto che reperire un paesaggio orientale, con un perfetto adeguamento di profondità di scenario dell’orchestra, che a seconda dei casi si allunga all’unisono con propensione quasi religiosa o partecipa con scie energiche che riportano all’orchestrazione occidentale più efficace del novecento; in Lonely song, una composizione scritta per la commemorazione degli eventi sfortunati della storia umana, gli strings producono varie alternative: di concerto all’instabilità dell’umore complessivo, attentamente costruito grazie anche ad introspezioni prolungate delle fasi armoniche e ai glissandi, si possono scorgere interessanti punti di differenziazione, quelli che ad esempio sembrano simulare il movimento di un esercito (tutti gli strumenti in un insieme) o il percorso di un messaggero (una parte di loro in funzione anche percussiva); l’ottimo gioco di sensazioni creato in The Nature’s dialogue, con il verso degli abitanti degli alberi (uccelli e cicale riprodotti sia sotto forma di simulazione sonora che con ausilio elettroacustico) che quasi si confonde con la timbrica di un’orchestra che ne cerca corrispondenze sul pentagramma, proietta non solo il rispetto verso la natura e la vita in generale dell’autore, ma anche un particolare tentativo di sistemare istinti musicali, anche concreti, e semiologia, soprattutto in virtù di una parte finale dove si ristabilisce un’equilibrio, si ricompone l’ordine selvaggio del mondo animale sotto un tema corale che è una preghiera senza confini. Risalta la vera pecularietà del carattere musicale di Wenchen Qin, ossia comprimere il carattere tradizionale degli strumenti cinesi per aprirsi a combinazioni di suoni irregolari, suoni primitivi che non perdono in evocazione.
Ineccepibili le esecuzioni dei musicisti della ORF. Probabilmente un high point della loro carriera.