Costruzioni, oggetti, segni: gli “insiemi” di Nik Bartsch

0
529
foto vimeo Jurg Egli

Prima ancora di essere un’avventura musicale, quella del pianista svizzero Nik Bartsch risveglia un paradosso semiologico. Nel suo ultimo cd dal titolo Awase, Bartsch ha inserito una dedica a Roland Barthes e al suo L’impero dei segni che se messo in parallelo con la sua musica, ha bisogno di una severa spiegazione. Nel L’impero dei segni Barthes sottolineava tutte le relazioni di una cultura, quella giapponese, dopo aver avuto contatto con essa attraverso un viaggio chiarificatore; in particolare, Barthes rimase accecato dalla vitalità dei segnali delle “costruzioni”, mettendo in evidenza come la progettazione degli spazi e la disposizione degli oggetti rivestisse significati alternativi agli usi occidentali: riferendosi ai corridoi del castello Nijo di Kyoto, Barthes non fu colpito tanto dal cigolio sonoro dei pavimenti (una tecnica utilizzata evidentemente per riconoscere il nemico), quanto dalla sua struttura, corridoi senza mobilia, collegati in maniera diretta all’ambiente esterno, dove persino un’inversione a 360° gradi della visuale non avrebbe scalfito la sensazione formatasi all’origine; ciò che lo colpiva, dunque dell’esperienza giapponese, era l’organizzazione degli spazi: la frase “...nulle clôture (sinon trés basse) et cependant je ne suis jamais assiégé par l’horizon (et son relent de rêve)…” condensava certamente un fine ultimo, ma restava comunque inserita in un’accezione descrittiva di uno strutturalismo degli eventi; uno sguardo allo specchio, effettuato con la razionalità di un occidentale.
Su queste basi si costruisce l’idea musicale di Bartsch, perché allo stesso modo di Barthes, il pianista svizzero dà prevalenza ad un impianto, ad un’organizzazione che egli ha nominato come “moduli”; a prescindere da quanto grande possa essere la valenza spirituale che si vuole attribuire, Bartsch esalta l’importanza di una costruzione sonora e del lavoro svolto per sistemarla. Vuole sconfiggere il paradosso semiologico che Barthes individuava per esempio nel sistema della moda, dove il pubblico dà massimo significato al prodotto di tendenza, senza minimamente voler comprendere cosa c’è sotto il lavoro effettuato per consegnare successo.
Il richiamo ad alcuni grandi “costruttori” della musica (Stravinsky e Feldman) non è causale, ma gli agganci restano solo a livello di pensiero e di programmazione, poiché Bartsch (con i suoi Ronin) mostra di avere un talento incredibile per la pianificazione sonora di un certo tipo, per una sorta di progettazione archittettonica simile a quella prevista nella scienza delle costruzioni. Si tratta di sketches che avvolgono una o più combinazioni di idee, sia di natura timbrica che armonica, condotte in potenza e ripetitività, tante piccole casette in schiera, ciascuna dotata di una propria dotazione di oggetti, ciascuna dotata di un proprio respiro. Una faccenda che in musica è parecchio difficile da esprimere.
In Awase si assiste alla sostituzione del bassista Bjorn Meyer con l’altrettanto poderoso Thomy Jordi, alla uscita del percussionista Andi Pupato e all’inserimento di A, una composizione del fiatista Sha (Stefan Haslebacher al sax alto/clarinetto basso), in una versione asciugata che permette anche di fare un pò il punto della situazione sulle possibilità di espansione della musica di Bartsch: alla luce di quanto ascoltato nel giro degli artisti da lui prodotti alla Ronin Rhythm Records, mi sembra che vada fatta una selezione per individuare quegli artisti più vicini al suo modo di pensare; oltre a Stefan Haslebacher e al suo gruppo (gli Sha’s Feckel), molto interessanti ma subdolamente succubi dell’estetica di Bartsch si pongono gli esperimenti del batterista Ramòn Oliveras (progetto Ikarus) e quelli recentissimi del duo Hely (Lucca Fries al piano e Jonas Ruther alla batteria). Il confine che delimita l’originalità di questi progetti sta proprio nell’allestimento degli elementi: Bartsch ha sempre dichiarato di utilizzare una sorta di allenamento fisico-psichico per affrontare la singolarità della sua musica e il fatto di misurarsi quotidianamente con essa, implica che raramente vengono prese in considerazione uscite dal seminario, ossia allungamenti delle parti melodiche o armoniche, concessioni ritmiche oltre una serie stabilita, sconfinamenti in territori che sanno di progressive, jazz o post-rock. Bartsch sa mantenere meravigliosamente i suoi confini nei suoi “moduli”, sistemati con l’impegno di un istruttore di arti marziali, in cui persino l’improvvisazione ha tutt’altro significato rispetto a quello che siamo stati abituati a concepire, è sostanzialmente inglobata nel modulo.
Inutile ribadire che Awase è un ulteriore tassello di quanto di meglio abbia cavato l’Ecm in questo inizio di secolo.
Articolo precedenteWenchen Qin: Orchestral works
Articolo successivoDuetti che spiazzano
Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.