Ivo Perelman: operazione laboratorio clarinetto basso

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L’abbinamento sax tenore-clarinetto basso è un’atavica e scarsa rappresentanza condivisa dal jazz e dall’improvvisazione libera. Le ragioni dell’inadeguato interesse dei musicisti nell’imbastire un duo del genere (senza ulteriori strumenti a supporto) sta nel fatto che sassofono tenore e clarinetto basso si muovono su una tavola timbrica che produce spesso similitudini, perciò l’uno esclude l’altro. Tuttavia questo non significa che non si possano fare esperimenti in materia: armato dal solito coraggio sperimentativo il sassofonista tenore Ivo Perelman ha affrontato questa sfida, invitando a suonare free form due specialisti riconosciuti del clarinetto basso, due performance con Rudi Mahall e Jason Stein, inserite in due nuovi cds per la Leo R. In passato, l’unica volta che Perelman aveva usato il clarinetto fu nell’album The Ventriloquist, lavoro in cui la sinergia improvvisativa fu sciolta in un quintetto in cui il clarinetto basso era suonato da Louis Sclavis; probabilmente affascinato dalle altre soluzioni musicali che si rendevano disponibili, The Ventriloquist (2004) rappresentò un episodio solitario per il clarinetto, qualcosa che venne troppo presto offuscato dai quartetti con strumenti a corda e dai trii con piano e batteria.
Con Mahall e Stein, Perelman ha voluto probabilmente rilanciare quel progetto, ma stavolta ha pensato di aprire una sorta di laboratorio in cui misurare le proprie idee (a+b+c):
a) si tratta di suonare senza una partitura e tanto meno senza nessuna piattaforma di svolgimento precostituito dell’improvvisazione;
b) si consegna all’improvvisazione e al suo andamento dinamico la variabilità dell’espressione, che diventa il vero fulcro dell’investigazione sonora;
c) si innestano tutte le tecniche a disposizione, cercando di ottemperare alle equivalenze pittoriche delle forme astratte (l’espressionismo astratto tanto amato da Perelman).
La scelta di Mahall e Stein non è certamente una causalità per Perelman, perché è voluta e ragionata a tavolino; innanzitutto è una scelta di campo che rispetta una considerazione specifica dell’improvvisazione, perché essa non vuole usare accrescimenti elettronici né tanto meno artifici che vogliono soddisfare il profilo muscolare; ciò vuol dire aspirare ad un obiettivo ambizioso, ossia quello di trovare un filo conduttore in un’area poco conosciuta dell’espressione musicale.
Per molti versi Mahall e Stein sono al clarinetto basso gli equivalenti del suo stile al sax: il tedesco, cinque anni più giovane di Ivo, ha acquisito visibilità grazie alle collaborazioni con Aki Takase, al trio con Mobus e Schroder (Der Rote Beirech) e soprattutto per essere diventato il clarinettista di base della Globe Unity Orchestra dopo il lascito di Michel Pilz; Stein, classe 1976, dal canto suo nel 2009 esordiva con un eccellente album solista dal titolo In exchange for a process, imbastendo qualche anno dopo un validissimo quartetto a suo nome, nel quale far girare il suo stile a mille in un’ambientazione jazzistica. A Mahall è stata attribuita la fama di aver “sassofonizzato” il clarinetto, a Stein quella di potersi fregiare del titolo di esploratore scientifico dello stesso, due qualità che si ripropongono nei due cds con Perelman, che insinua in me un pensiero difficile di un pittore, ossia quello di condividere la formazione real time di un dipinto astratto: qui i pittori (musicisti) sono due e dipingono sulla stessa tela.
Kindred spirits (Perelman-Mahall) è un esperimento sui registri alti dei due strumenti: in un flusso musicale che può ricordare tutto e niente dal punto di vista stilistico tale è la sua ampiezza, i due musicisti propongono quasi una stretta intesa, che rifiuta di offrire una relazione. 100 minuti (2 cds) in cui la rincorsa agonistica è supportata da tutta una serie di caratterizzazioni basate sullo stile e sull’estensione strumentale. E’ difficile capire cosa può passare per la testa di un musicista in quei momenti, ma una cosa certa è che le verifiche sul campo sono forti, veloci, urgenti manifestazioni di impulsi. L’ascoltatore si trova davanti ad un dilemma: è in grado di reggere a quest’esplorazione così fitta, aspra, che richiede comunque attenzione ed elasticità?. Kindred spirits evoca un percorso adulto, una direzione sensazionale del sincronismo, ed un parossismo delle figure narrative, inoltrate tramite la musica.
Spiritual prayers (Perelman-Stein) lascia meno spazio alla rappresentazione univoca: il clima è meno sovversivo, Stein compensa le pennellate free di Perelman con dei frequenti arrotondamenti dei suoni, frutto di veloci scale non convenzionali; si sente di più l’impronta jazz e scatta anche una sorta di comprensione spirituale dettata dal fatto che i due musicisti sono entrambi di origini ebraiche. Spiritual prayers apre ad una concezione quasi pastorale: potrebbe essere la continua di Kindred Spirits, solo se ammettessimo che esso possa formare il secondo movimento di un’ipotetica sinfonia mai ascoltata prima, che libera una sregolatezza del pensiero, sinfonia come perfetta trasposizione musicale dell’action painting.
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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.