Quando sentiamo parlare dei livelli di inflazione raggiunti da paesi come Turchia o Argentina (nazioni che oggi sono oggetto delle discussioni economiche in negativo del mondo) non pensiamo a quanto è accaduto in altri paesi del mondo. Si prenda, ad esempio, lo Zimbabwe e si faccia un raffronto di valore tra i tassi interessi del paese africano e quelli dell’Argentina, che già si giudicano altissimi: di fronte al 70% dello stato sudamericano, lo Zimbabwe può vantare un drammatico valore che supera il 350.000%. A questa situazione così degradata e depressa hanno contribuito anche le scelte politiche intervenute dopo l’indipendenza: dopo la colonizzazione inglese è arrivata puntuale quella del posto (non sappiamo quanto pilotata); stando ad alcune fonti, entrambe hanno fatto di tutto per ammazzare le tradizioni del posto, compreso quelle musicali, ma per fortuna senza riuscirci.
Lo Zimbabwe ha vissuto un ottimo momento negli anni ottanta, quando vennero portati alla ribalta i due principali generi della cultura popolare, ossia la mbira e la chimurenga: la mbira è una sorta di piccolo piano lamellare, incastonato in un recipiente che fa da cassa di risonanza. Il suono è dolce, rilassante, per certi versi simile alle tenerezze di un vibrafono (spesso viene suonato in doppio con quest’ultimo) e ha un valore immenso per i suoi suonatori, poichè nella mitologia bantu si diceva che ogni lamella corrispondesse ad una tappa della creazione. L’ipnosi strumentale non segue regole particolari, si tratta di improvvisazione real time di stampo etnico, qualcosa che ha affascinato anche jazzisti come Rob Mazurek e Chad Taylor nelle loro sperimentazioni. La chimurenga si basa sulla mbira ma accoglie un moderno refrain ritmico guidato dalle chitarre, che è utile per snocciolare testi di protesta.
Musicisti come Dumisami Maraire, Ephat Mujuru, Stella Chiwese e Thomas Mapfumo hanno accompagnato musicalmente abitudini ed aspirazioni della gente dello Zimbabwe: da una parte hanno liberato il potenziale culturale della mbira e delle sue pratiche ancestrali, dall’altra hanno costituito un sostegno morale e politico contro le pressanti fasi di difficoltà dovute alle decisioni di ditatture di fatto che hanno dovuto subire. La fase di ristagno politico che ha attraversato il paese dopo il colpo di stato delle milizie pronte a destituire Mugabe, continua ancora oggi nei disagi provocati da una votazione di cui si temono i soliti brogli; musicalmente parlando i fattori positivi sono che oggi si nutre una fioca speranza per il futuro, si cerca un valido appoggio negli insegnamenti passati (in questi mesi sono state pubblicate delle sessioni musicali di Stella Chiwese ai suoi esordi) e qualcuno è ritornato in patria con successo (lo scorso aprile Thomas Mapfumo ha tenuto un concerto ad Harare che sembra sia stato memorabile per quantità di pubblico e qualità dello spettacolo).
Ci sono alcune cose del passato musicale dello Zimbabwe che sono assolutamente da ascoltare: mi sentivo di proporvele in questo momento di indecisione; un buon accorgimento è di scegliere la dimensione live della musica quando possibile, poiché in tal modo la musica riesce ad esprimere in pieno il suo fascino e ci si libera con parecchio vantaggio dalle pareti fredde di una sala di registrazione. Vi dò conto qui sotto di una discografia consigliata, sperando che queste registrazioni, ampiamente reperibili sulla rete, non siano consegnate ad un passato irripetibile.
Discografia consigliata:
-Stella Chiweshe, Shingu 1994 & Talking Mbira, Piranha 2001
-Dumisami Maraire, African Mbira: Music of the Shona People of Rhodesia, Nonesuch 1971
-Thomas Mapfumo and the Blacks Unlimited, Chamunorwa, Mango 1991
-Ephat Mujuru, Rhythms of life, Lyrichord 1989
-Artisti Vari, The Rough Guide to Zimbabwe, World Music Network, 1996