Olivia Block: cogliere e riparare lo spirito dei luoghi

0
570
The Rockefeller Chapel at the University of Chicago - Fonte Opera propria Autore Nikopoley - licenza Creative Commons 3.0
Senza voler essere eretici più del normale, si può affermare la ragionevolezza di una dicotomia nell’attuale fase estetica della musica elettroacustica: fermo restando che le discipline storicamente disponibili (dal concretismo francese a Cage, da Schafer a tutti i manipolatori di ogni tipo) possono essere intese in molti modi, da una parte sembra che alcuni vogliano percorrere una rispettosa strada fatta di coniugazione di spazi e suoni, dall’altra ci sono i postumi di un’ideologia isolazionista o inceppata, spesso frutto di un approccio che irrompe sulle dinamiche del suono e le esalta. Si potrebbe pensare che mentre i primi siano dei letterati che cercano disperatamente di ricucire il passato, i secondi siano figli di una letteratura che guarda all’estinzione.
Uno dei possibili approcci alla musica elettroacustica è il field recordings: il secolo in cui viviamo ha visto dilagare la tendenza alla registrazione di campo, supportando l’idea creativa di molti musicisti che hanno giustamente intravisto uno spazio immacolato per comporre. In questa sede la considerazione è verso Olivia Block, un’artista di cui si è cominciato a parlare nel 1998 grazie a Pure gaze, un’edizione cd di 500 copie, che segnava lo spostamento della musicista dal suo paese di origine (Austin, Texas) a Chicago: il traghettamento verso la maturità non è solo geografico, la specificità della Block non viene solo determinata dalla purezza dei materiali registrati (campi ricercatissimi ed incredibili ottenuti in Michigan e nella prospettiva amplificativa dell’Echo Canyon Amphitheatre in New Mexico), ma soprattutto dalla loro organizzazione, un patchwork che rappresenta l’equivalente di un approccio compositivo classico, dove è evidente che le tecniche per comporre sono tutte suscettibili di essere provate sui materiali a disposizione: le stratificazioni e le tessiture che si trovano nella classica possono affiancare il lavoro di manipolazione del campo e degli strumenti. L’atteggiamento della Block è quello di servirsi di droni, suoni minimali, di glitch e di rielaborazioni che trafiggono il timbro riconosciuto degli strumenti musicali, allo scopo di cogliere il principio della comparazione tra suoni manipolati e suoni della realtà: coaudiuvata da un gruppo di diretti esperti della materia in America, ossia Kyle Bruchman, Jep Bishop e Seth Nehil, a cui si chiede un contributo variabile dalla musica al design, la Block soprattutto impone l’idea che nella musica elettroacustica sia possibile che i suoni tecnologicamente ricavati possano tendere all’universo dei suoni del mondo naturale. Questa esperienza del raffronto, che ipoteticamente dovrebbe inserirsi nella prima tendenza a cui facevo riferimento agli inizi del post, viene prospetticamente coltivata in molti dei suoi lavori, con una variante che sorge dopo la trilogia Pure Gaze-Mobius Fuse-Change Ringing, quella che vede la pregevole attività dell’artista americana prestare la dovuta attenzione anche alle tecniche improvvisative, di cui riconosce un valore aggiunto.
Questi ultimi anni sono particolarmente significativi per la Block poiché segnalano un’intensificazione dell’attività discografica ed installativa:
a) ci sono un paio di registrazioni importanti che utilizzano in maniera estensiva pianoforti ed organi a Chicago: una che contiene tre tracce in numerazione romana, compone il trittico esecutivo di Olivia Block per la Another Timbre, volte a scovare relazioni tra il potere delle risonanze ottenute con metodi non convenzionali del pianoforte e le azioni dell’esecutore; l’altra è 132 Ranks, un progetto sul maestoso organo della Rockefeller Chapel che organizza campi di registrazione, sonorità latenti del potente organo della cappella universitaria, nonché una distribuzione libera dell’ascolto attraverso lo scorrimento senza limiti dell’audiance in Chiesa (vedi qui un video non ufficiale caricato su youtube): sebbene non sia naturalmente possibile ottenere attraverso un cd un suono “riepilogativo” dei vari ambienti, ciò che risalta comunque è la bellissima prospettiva della totalità musicale che, pur vivendo di un’incisione fatta per l’ascolto in un ipotetico posto non mobile, è in grado di dare sensazioni credibili.
b) quello che può sembrare un mero gioco di interpretazione dei suoni è invece qualcosa su cui poter intervenire per dare un senso alla nostra presenza di uomini: oramai lanciata nel mondo delle installazioni sonore, la Block ha in programma composizioni che hanno anche un gancio nella ricerca; nel suo caso si tratta dello studio delle barriere coralline (dove alcuni suoni restituiscono la locazione possibile delle ostriche) e della biodiversità naturale incontrata nelle ampie riserve della Florida.
Articolo precedenteAnamnesi del jazz ed esperienze portoghesi: ancora su Nicola Guazzaloca
Articolo successivoCusa e Lenoci al Fuori Squadro
Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.