Un simposio per il contrabbasso: le basi di una nuova era (parte terza)

0
1740

Barry Guy.

Il contrabbasso tra vita, scrittura e teatro

di Pierpaolo Martino

 

Nella vicenda di Barry Guy, performance quotidiana e creazione musicale, vita e scrittura si con-fondono e riscrivono a vicenda. Guy – nato a Londra il 22 Aprile 1947– iniziò sin da subito a pensare il  linguaggio musicale come giustapposizione e fusione di stimoli culturali diversi. Da teenager iniziò a suonare skiffle a scuola per poi approdare al Dixieland e allo swing, suonando brani di Benny Goodman e più tardi bebop nel sestetto di David Holdsworth, fino alla scoperta della musica di Charles Mingus attraverso l’amico Bernhard Living, un giovane sassofonista esperto di avanguardia americana e di free. Di Mingus Guy apprezzerà la capacità di rompere molte regole e convenzioni pur muovendosi all’interno di un movimento afro-americano, in particolare l’attenzione rivolta dal grande contrabbassista afroamericano, alla componente spaziale e “drammatica”, ossia teatrale della musica stessa. Si trattava di una musica che poteva essere estremamente veloce,  serrata e  al tempo stessa contemplativa e dilatata. Ma l’aspetto più interessante della musica di Mingus era rappresentato per Guy dalla capacità del grande musicista di condurre, guidare gli sviluppi musicali pur lasciando ampio spazio alle singole voci dei solisti (qualcosa che ritroveremo anche nella musica di Guy, ossia nei suoi lavori per orchestra).

Living invitò Guy a seguire i corsi di composizione di Stanley Glasser presso il Goldsmiths’s college – in cui venivano tra l’altro analizzati brani di Beethoven, Stravinsky, Stockhausen e Ligeti. A fine corso, fu chiesto a Guy di scrivere un brano, ed essendo egli già profondamente attratto dall’improvvisazione si trovò a comporre un brano, Perceptions 1966 che includeva delle cadenze improvvisate per trombone e sax. Dovendo avvalersi di qualcuno che suonasse il contralto, gli fu suggerito il nome di Trevor Watts, che con Guy riuscì a mettersi in contatto grazie a Paul Rutherford. Dopo aver eseguito il brano i due chiesero a Guy di unirsi allo Spontaneous Music Ensemble. Guy iniziò così a frequentare il Little Theatre Club a Covent Garden quartier generale del SME e al tempo stesso a lavorare presso la nuova sede del Ronnie Scott’s Club in Frith in qualità di componente della sezione ritmica residente.

Lo Spontaneous Music Ensemble era guidato dal batterista John Stevens e includeva oltre a Watts anche musicisti del calibro di Evan Parker e Kenny Wheeler. Fu qui che Guy si formò come contrabbassista applicando al basso idee che provenivano, spesso, da altri strumentisti con cui si trovava ad interagire ma anche facendo ricorso in maniera libera e non prescritta a tecniche che egli stesso in quel periodo stava studiando nei corsi di contrabbasso della Guildhall, quale ad esempio l’uso del capotasto. L’improv conferì in sostanza sicurezza e determinazione al giovane Guy, il cui bassismo sin da questa fase si caratterizzerà per la grande urgenza espressiva e per l’alta densità del materiale messo in scena, elemento che Guy attribuisce all’essere approdato alla musica relativamente tardi. In effetti, per un lungo periodo, ossia dopo aver lasciato la scuola, egli si troverà a lavorare in qualità di disegnatore presso uno studio di architetti londinesi e a dedicare il tempo rimanente alla musica. Come si vedrà, sebbene Guy deciderà di lasciare il lavoro da architetto, il suo lavoro musicale si caratterizzerà per una poetica dello spazio, figlia dei suoi studi architettonici.

Guy fu inoltre tra i membri fondatori (nel 1970) dell’improv trio – politicamente molto impegnato – Iskra 1903 di cui facevano parte in un primo momento Paul Rutherford e Derek Bailey alla chitarra sostituito in un secondo momento da Philipp Wachsmann al violino. Questo trio offrì a Guy la possibilità di approfondire un approccio per così dire più cameristico all’improv, essendo appunto un trio senza batteria, nonché di lavorare molto su sonorità prodotte da strumenti a corda e in particolare dal violino (strumento suonato dalla sua attuale moglie); questo influenzò parecchio anche il suo modo di comporre, erano del resto questi gli anni in cui Guy mise su la leggendaria London Jazz Composers Orchestra.

La LJCO era in sostanza un ensemble molto ampio che includeva vari compagni di viaggio dello stesso Guy tra cui, in momenti alterni, Paul Rutherford, Tony Oxley, Howard Riley, Kenny Wheeler, John Stevens, Trevor Watts, Paul Lytton. La LJCO divenne per Guy un laboratorio in cui misurarsi non solo con l’improvvisazione ma anche e soprattutto con la composizione che in questo contesto rappresentava per Guy qualcosa a cui pensare non in termini dittatoriali ma in termini di una sorta di “social framework” per i musicisti. Nella carriera di Guy improvvisazione e composizione sembrano per certi versi essere due sfere separate che ruotano intorno al contrabbasso come sorta di perno centrale, due mondi, “due termini con linguaggi diversi ed aperti a sfide diverse, e tuttavia entrambi legati a livello personale a processi di comprensione e comunicazione”. Sono queste dimensioni nel loro interagire a definire i diversi momenti o fasi della LJCO.

Uno degli attori sonori più vicini a Guy nonché più significativi e influenti all’interno del complesso universo musicale del bassista inglese è senz’altro Evan Parker, con cui a partire dagli anni Settanta suonerà in formazioni diverse dal duo, al trio (con Paul Lytton alla batteria), al quartetto. Vi è indubbiamente una profonda affinità elettiva tra i due musicisti al punto che soprattutto in duo la loro musica sembra comporre una sorta di continuum in cui il soffio e il respiro di Parker trovano una cornice perfetta nel legno e  nelle corde ri-sonanti e dis-sonanti di Guy. In realtà il duo ha un’intesa tale da sovvertire ogni ruolo e funziona prescritta al punto che spessissimo è lo stesso Parker con i suoi drones in respirazione circolare ad offrire una sorta di cornice liquida che accoglie e interroga il bassismo illimitato e illimitabile di Guy. Molte le registrazioni ma Birds and Blades del 2003 pubblicato dalla Intakt rappresenta uno degli episodi più intensi e interessanti dell’intera discografia dell’artista inglese. Un doppio cd, uno in studio e uno live, per dire un dialogismo che investe una molteplicità di forme, intenti e soluzioni sonore; si va dagli episodi molto densi ed energici per contrabbasso (a cinque corde) e sax tenore quali ‘Swordplay’ e ‘Froissement’, a momenti più contemplativi quali ‘Cut and Thrust’,  in cui a dominare è la dimensione del respiro (non solo del sassofono in respirazione circolare di Parker ma anche e soprattutto quello prodotto dall’arco di Guy) e la stessa ‘Birds and Blades’ il cui sviluppo conduce in un ricco paesaggio dissonante in cui al lirismo suggerito dai “Birds” del titolo si contrappongono le soluzioni “taglienti” che caratterizzano fortemente il linguaggio dei due musicisti.

Nei primi anni Novanta Guy avvierà una felice collaborazione con la pianista americana Marilyn Crispell, i due si esibiranno spesso in trio con Gerry Hemingway alla batteria, donandosi in concerti intensissimi e dai ritmi serratissimi spesso in ambito americano; celebre in tal senso il live alla Knitting Factory del 1996. Un bel cd che testimonia il lavoro di questo trio è Cascades del 1995 che documenta un concerto tenutosi a Vancouver nel 1993 e in cui il drumming più “continuo” e per certi versi jazzistico di Hemingway differenzierà parecchio il sound del trio da quello più spigoloso dei lavori con Lytton. Negli anni 2000, tuttavia, Crispell e Guy torneranno ad incidere insieme proprio in trio con Paul Lytton alla batteria, registrando dei dischi notevoli, pubblicati da Intakt, qualiOdissey (del 1999 di cui si parlerà più avanti) e Ithaca del 2004.

Il contributo per orchestra di Guy ha assunto, invece, negli ultimi due decenni la fisionomia più agile e immediata ma non per questo meno coinvolgente – rispetto a quella della LJCO – della Barry Guy New Orchestra, all’interno della quale ritroviamo sia Parker che la Crispell.  L’idea viene suggerita da Patrik Landoltt, il quale si accorse di quanto frustrante fosse allora per Guy non riuscire  ad organizzare concerti per la LJCO. La resistenza iniziale di Guy all’idea di un organico più piccolo con risorse sonore apparentemente limitate venne superata nel passaggio stesso dall’idea astratta alla dimensione reale dell’ascolto dell’unicità e irripetibilità della voce di ogni singolo musicista. Il primo lavoro dell’orchestra venne pubblicato sempre da Intakt nel 2000 con il titolo Inscape-Tableaux. Un lavoro celebratissimo e che offre, in realtà, una paletta sonora estremamente ampia, centrale diviene in questo senso la scelta di Guy di mettere insieme musicisti che avevano suonato insieme in combinazioni diverse  Guy e Parker, Parker e Lytton, Crispell, Guy e Lytton, Guy e Gustaffson, etc, insomma un’orchestra fatta  di piccole orchestre, un intreccio complesso di poetiche sonore e gesti musicali. Un dialogo tra dialoghi.

I lavori a cui si è fatto riferimento sono stati pubblicati prevalentemente da Intakt e tuttavia molte delle produzioni più interessanti di Guy vedono la luce per Maya Recordings, una piccola etichetta indipendente fondata da Maya Homburger e Guy stesso. Si tratta di un’etichetta nutrita da una doppia anima, una legata alla musica barocca di cui la Homburger è una specialista e l’altra legata all’improv e alla sperimentazione. Uno dei primi lavori a esseri pubblicati da Maya Recordings è Arcus un progetto per due contrabbassi, in cui oltre allo stesso Guy ritroviamo Barre Phillips. Quest’ultimo – oltre ad essere stato il primo ad incidere un disco per solo contrabbasso nel lontano 1968 intitolato Journal Violone – rappresenta tutt’oggi una figura fondamentale nel panorama dell’improv europea e americana. Un grande improvvisatore dotato di una tecnica straordinaria, componente di gruppi storici dell’improv e dell’avanguardia come The Trio, celebre formazione con John Surman e Stu Martin attiva  a cavallo tra anni sessanta  e settanta, nonché altri ensemble quali il trio con Evan Parker e Paul Bley e quello con i Maneri. Nel cd ritroviamo cose molto diverse, si va dal ricchissimo episodio iniziale intitolato “Prophesies” – in cui entrambi i due musicisti suonano l’arco e in cui alla dimensione aerea di Guy sembra contrapporsi quella più terrena di Phillips – alle velocissime figure in pizzicato eseguite da entrambi nella brevissima “Wampho”. Se per certi versi Phillips ha rappresentato un riferimento, una sorta di maestro per Guy nell’universo improvvisativo, più recentemente il bassista inglese troverà un punto di riferimento nel compianto Stefano Scodanibbio per il quale tra l’altro comporrà nel 2002 un brano per due contrabbassi intitolato Anaklasis, la cui partitura si caratterizza, tra le altre cose per un’accuratissima trascrizione di complesse tecniche di preparazione dello strumento. Anche nelle produzioni per due contrabbassi ritroviamo dunque la doppia anima di Guy, ossia quella dell’improvvisatore, prevalente nel lavoro con Phillips, e quella del compositore, molto interessata nel caso del lavoro con Scodanibbio ad una scrittura per così dire più contemporanea; non bisogna del resto dimenticare che Guy non ha mai smesso di lavorare per orchestra o per piccoli ensemble in vari contesti di musica “colta” o classica che dir si voglia; Guy è un contrabbassista classico preparatissimo formatosi, come si è accennato, alla Guild Hall School of Music. È del 2014 invece un lavoro per 11 contrabbassi intitolato Thinking of Stefano Scodanibbio, in cui è coinvolto lo stesso Guy, accanto Mark Dresser, Joelle Leandre e altri, dedicato ancora a Scodanibbio scomparso nel 2008.

I due mondi che nutrono le produzioni Maya, vale  a dire quello improvvisativo e quello legato alla musica barocca, spesso si incontrano e si confondono soprattutto nelle produzioni congiunte di Guy e Homburger, come Dakryon o Bach anche se va detto le registrazioni più significative del duo Guy-Homburger vengono pubblicate da etichette maggiori quali Intakt per cui vede la luce il recente Tales of Enchantment(2012) e soprattutto ECM che nel 1999 pubblicato un lavoro ispiratissimo del duo intitolato Ceremony. Sempre per ECM, ossia per Ecm New Series, viene pubblicato un lavoro molto complesso scritto dallo stesso Guy vale  a dire Folio in cui oltre al duo ritroviamo un altro violinista Muriel Cantoreggi e la possente Munchener Kammerorchester diretta da Christoph Poppen. Molto più vicina all’estetica barocca cara ai due è invece la fortunata produzione Ecm dedicata a John Dowland  e intitolata In Darkness Let Me Dwell (1999) in cui oltre al duo ritroviamo John  Potter alla voce tenore, Stephen Stubbs al liuto e John Surman al sax soprano e al clarinetto basso. Il sound creato dagli strumenti di quest’ultimo e il sound del contrabbasso suonato in modo molto contemporaneo (arco al ponte, preparazioni etc) si sposano alla perfezione con la musica di Dowland, dando l’impressione che la musica scritta da quest’ultimo fosse stata per certi versi pensata per il tempo lungo della storia, per organici in grado di eccedere le convenzioni dell’età elisabettiana, del resto in tanta poesia e in tanto teatro elisabettiano, e in particolare in quello dello stesso Shakespeare, c’è oltre una dimensione cupa, scura – perfettamente tradotta da clarinetto basso e contrabbasso – anche un gusto per la dissonanza in quanto forma di dialogismo autentico che conserva e dà voce  visioni e punti di vista differenti; ci sono del resto anche delle immagini solari come quelle che qui si alternano, nel testo di Dowland, ad immagini di sofferenza e privazione in ‘Come again’, in cui il soprano di Surman e il violino della Homburger disegnano splendidi intrecci melodici che si innescano sulla splendida progressione di basso (crescente) eseguita da Guy.

 È per Maya Recordings che Guy pubblica invece i suoi due lavori per solo contrabbasso: Fizzles del 1993 eSymmetries del 2002 – anche se, va detto, il primo lavoro in solo di Guy, Statements V-XI, risale al 1976 e venne pubblicato dalla Incus. Fizzles rappresenta un vero e proprio concept album su Beckett; l’album include brani per contrabbasso e chamber bass (termine con cui in inglese si indica il contrabbasso da camera, uno strumento diffuso soprattutto nell’800 accordato per quinte, insomma una sorta di  violoncello con un’estensione più grave) e viene registrato nel 1991 in una chiesa in Svizzera, la KircheBlumenstein. Ed in effetti qui lo spazio di enunciazione sonora diventa un fattore fondamentale, una sorta di strumento che non solo amplifica ma per così dire interroga e  al tempo stesso risponde alla musica di Guy.

La componente dialogica è determinante nella concezione stessa di alcuni episodi del lavoro; il titolo dell’album fa riferimento infatti ad un’opera di Beckett, Fizzles, una raccolta di otto pezzi in prosa estremamente complessi e ricchi di suggestioni. Sebbene si tratti un lavoro in prosa Guy sembra rispondervi in senso “drammatico” attraverso una riscrittura in cui il contrabbasso si fa teatro; i gesti bassistici diventano attori all’interno di un play dell’assurdo e nel loro interagire ne vengono a costituire gli atti. Uno dei brani beckettiani del lavoro è “Still” termine traducibile in italiano come “Immobile”; in quello che è il settimo fizzle di Beckett ci ritroviamo in una stanza con un uomo seduto su una poltrona, ci sono poi una finestra – immagine che Beckett aveva già introdotto nel fallimento IV – e il sole che sta per lasciare spazio al rosso del tramonto. Ma l’uomo è completamente immobile. Si tratta di un’immagine grottesca eppure fortemente drammatica che Beckett costruisce per effetto cumulativo, con una prosa molto serrata fatta di frammenti molto brevi che si chiudono sempre su un punto e che Guy traduce in un brano piuttosto lirico in cui si alternano l’immobilità di certe figure (gli armonici iniziali reiterati, eseguiti con il pedale del volume) con il forte, violento dinamismo dello sviluppo improvvisativo, e in cui la melodia principale sembra ancora una volta rimandare all’interesse di Guy per la musica barocca.

Symmetries del 2002 si caratterizza invece per la grande varietà di ambienti, immagini e spazi sonori proposti, qui il basso di Guy diventa cassa di risonanza complessa e in divenire di una musica che non è mai se stessa ma si pone e si propone come sempre aperta ed eccedente. Qui Guy utilizza quello che ormai è divenuto il suo strumento di elezione, ossia un contrabbasso a 5 corde (con il Do alto) realizzato dal liutaio londinese Roger Dawson. Ovviamente qui il bassista fa ricorso alle sue straordinarie doti tecniche e alla sua invenzione timbrica – spesso frutto di accuratissime preparazioni con bacchette, ferri da cucito etc – nonché al suo sapiente uso del pedale del volume (che sarà ripreso anche da Joelle Leandre) nonché di sovraincisioni, per proporre episodi molto densi e coinvolgenti che scandiscono il complesso percorso di simmetrie in cui si articola il lavoro. Una traccia molto significativa è senz’altro ‘Quiescence (for KB e RW)’ in cui Guy alterna melodie e tessiture d’accordi dal sapore barocco a complessi e velocissimi passaggi dissonanti e fuori tonalità eseguiti in pizzicato su un bordone di arco pre-recorded. La terza traccia del cd rappresenta invece un omaggio all’amato Charles Mingus, qui Guy fa l’operazione contraria ossia esegue il tema con l’arco con un tocco molto lirico e un vibrato sapiente su una traccia pre-recorded in cui suona (sempre con l’arco) armonici molto acuti fuori tonalità. L’episodio tuttavia più intenso e articolato di Symmetries , nonché uno dei brani più interessanti e intriganti dell’intero canone musicale di Guy è senz’altro la tredicesima traccia intitolata ‘Odissey’.

‘Odissey’fu scritto nella seconda metà degli anni Novanta da Guy per un amico, il pittore irlandese George Vaughan; Guy partecipò all’inaugurazione di una mostra di Vaughan suonando un solo proprio dinanzi ad un quadro del pittore intitolato Odissey; Guy scrisse dunque questo brano apparentemente molto lineare basato sull’uso di armonici. La prima versione del pezzo fu registrata però in trio con Crispell e Lytton in un’incisione della Intakt che sarebbe poi stata intitolata proprio Odissey  (1999); nella versione del brano presente in questo disco la Crispell suona singole note che accompagnano la melodia eseguita con gli armonici del contrabbasso a 5 corde, note che sono indicative della corda del contrabbasso su cui sono suonati gli armonici (se Guy esegue un armonico di Re sulla corda di Sol, la Crispell esegue un Sol etc).  Questa breve composizione fu poi ripresa per il disco di esordio della Barry Guy New Orchestra, pubblicato sempre da Intakt nel 2000 e intitolato come si è detto Inscape-Tableaux di cui appunto esso rappresenta un quadro ben preciso, uno spazio di “calma e introspezione” articolato in trio con Crispell e Lytton con una chiusa dell’intera orchestra in cui il tema è armonizzato come un corale, suggerendo un’idea di gioia e serenità che letteralmente conduce, traghetta l’ascoltatore in tutt’altro paesaggio sonoro, in cui l’orchestra viene diretta in una sorta di doppia conduction l’una di Guy, l’altra di Gustaffson. La versione in solo inclusa in Symmetries viene invece registrata nel 2001 e pubblicata nel 2002, una versione in solo che, non potrà che ricordare la sua storia di traduzione, riarrangiamento  e riscrittura nelle versioni precedenti.

            ‘Odissey’ sembra rimandare molto a ‘Still’ anche se il primo, sin dal titolo, pare far riferimento all’idea di viaggio e di trasformazione mentre ‘Still’ ci propone invece una complessa immagine di immobilità; si tratta tuttavia di un’immobilità che dice l’esigenza di Guy di pensare la musica e il contrabbasso come momenti e strumenti riflessivi, attraverso cui prendere coscienza delle stasi e attese beckettiane che sono alla base della condizione contemporanea per ripensarle e trasformarle in senso dinamico attraverso una musica che si ponga come intervallo critico del presente, come suo ascolto e riscrittura nel senso di una dissonanza libera e creativa, in cui si possa finalmente dar spazio e voce ad una differenza non indifferente.

Articolo precedenteUn simposio per il contrabbasso: le basi di una nuova era (parte seconda)
Articolo successivoUn simposio per il contrabbasso: le basi di una nuova era (parte quarta)
Pierpaolo Martino è professore associato di Letteratura Inglese presso l’ Università di Bari. Si occupa di studi culturali, di Wilde studies, di letteratura modernista e contemporanea, e dei rapporti tra letteratura e musica. Ha pubblicato studi di argomento letterario, musicale e cinematografico su autori quali Shakespeare, Oscar Wilde, Virginia Woolf, Colin MacInnes, Alan Sillitoe, Philip Larkin, Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Salman Rushdie, KamauBrathwaite, HanifKureishi, HariKunzru, Derek Jarman, Morrissey, Nick Cave, Smiths e Radiohead. È autore di sei monografie: Virginia Woolf: la musica del faro. Pagina e improvvisazione (2003), Down in Albion. Studi sulla cultura pop inglese (2007), Mark the Music. The Language of Music in English Literature from Shakespeare to Salman Rushdie (2012). La Filosofia di David Bowie. Wilde, Kemp e la musica come teatro (2016) e Wilde Now. Performance, Celebrity And Intermediality In Oscar Wilde (2023) e curatore di Exodus. Studi sulla Letteratura Anglo-Caraibica (2009) e Words and Music, Studi sui rapporti tra letteratura e musica in ambito anglofono (2015). Svolge inoltre attività di compositore e performer, in qualità di (contrab)basista, in ambito improv, jazz e post-rock in ensemble Anglo-italiani quali The Dinner Party (con Vlad Miller e Adrian Northover) e Frequency Disasters (con Steve Beresford e Valentina Magaletti) e in duo con il chitarrista Dave Tucker (The Fall).