Panorami del ricordo e panoramiche comuni dell’osservazione

0
759
Source Self-photographed Author Schorle, Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported license. No change was made
Tra le cose che non ero riuscito ad ascoltare nella parte finale del 2018 c’erano anche un paio di novità pubblicate per Leo R..
Si tratta innanzitutto del gradito ritorno della pianista Marilyn Crispell per l’etichetta di Leo Feigin: l’americana acquisì molto del suo credito negli anni ottanta, proprio grazie alle incisioni alla Leo R., un sodalizio che, nonostante delle ampie e giustificate pause, non si è mai inclinato. Molti dei suoi vecchi albums conservano tutt’oggi un fascino vivissimo e, nello specifico dell’etichetta del russo, la Crispell può essere apprezzata in lavori eccellenti come il Selected Works 1983-1986 (che contiene il solo Rhythms Hung in Undrawn sky), alcuni lavori in trio (con Workman, Motian, Dresser, etc.) nonché con un fuoriclasse come Santuerio (in quartetto con Feldman, Roberts ed Hemingway).
La Crispell stavolta compone un cd commemorativo, dedicato a genitori e parenti scomparsi, con la collaborazione di Richard Teitelbaum e della violinista Tanya Kalmanovitch (già sentita nel Villa Lobos Suite di Perelman e nell’Heart Mountain di Myra Melford): Dream libretto si compone di due suites, una provvista di pianoforte, violino ed elettronica (Memoria/For Pessa Malka) ed un’altra, potenzialmente collegabile alla prima, composta da 7 improvvisazioni in solo per pianoforte e violino. Pur non essendo un top dell’innovazione, queste musiche contengono una forte impronta emotiva, poiché fanno scattare un meccanismo complessivo che riesce ad inglobare suoni con un certo clima assieme ad istinti poetici. Crispell usa il piano un pò alla maniera del Morton Feldman illusorio, Teitelbaum è un coagulante nell’uso dell’elettronica e la Kalmanovitch si preoccupa di forgiare ambiente austero, mentre Sound of the downward, la poesia di Robert Gibbons che la Crispell riprende in estratto nelle note interne, introduce ad un autore che sembra stimolare pensieri surreali del tempo e dello spazio che circonda l’essere umano:
..driven forward in life,
back in memory.
The river one dives into, eyes open,
where water moves,
stones remain still.
Desire & loss
in realms of dream & real worlds, together,
in a dance above the grave.
If only silence could climb to a whisper…
La musica è di gran pregio e l’unico appunto che si potrebbe fare a Dream Libretto è il fatto di scavare in stimolazioni timbriche che, in fin dei conti, sono state già applicate nella storia.
L’altro cd di cui parlavo nell’incipit di questo lavoro accoglie un altro ritorno, quello dei Fourth Page, quartetto composto da Charlie Beresford, Carolyn Hume, Peter Marsh e Paul May: operanti in Inghilterra, i quattro musicisti sono alla loro terza prova ufficiale (dopo Along the weak rope e Blind Horizons, quest’ultimo pubblicato per Leo nel 2011), e in The Forest from above sembrano già in una fase evolutiva; nell’ambito di un giro di musicisti aventi una concezione eclettica e variabile dell’improvvisazione, i quattro producono un suono itinerante, lente jams senza vincoli di tempo in cui il jazz sembra non avere mai una sostanza o una prevalenza: Beresford ha nel canto un potere quasi mistico, accompagna misure pseudo-astratte di chitarra acustica con descrizioni malinconiche, dando l’impressione di essere un depotenziamento di John Martyn o di un Jim Morrison torturato dall’enfasi poetica; la Hume, d’altro canto, porta i due/quinti del suo originalissimo pianismo, oscuro e puntuale, fatto di delicate e buie armonizzazioni jazz con tante sospensioni; a proposito della pianista inglese, se qualcuno volesse fare una buona conoscenza dell’artista, consiglio di rivolgere la sua attenzione a lavori bellissimi come Solo piano works o a Zero, cd con Paul May in cui confrontava le sue armonie con i controtempi della batteria, in una sorta di sponda tra jazz e drum’n’bass costruito artigianalmente con i soli strumenti e con tutt’altri scopi; quello fu l’evento che li fece notare nel 2000, in quella fase sperimentale che Feigin aveva creato sotto forma di laboratorio, ma non c’è dubbio che gli artisti citati siano riusciti col tempo a creare un percorso in cui condividono molte affinità di pensiero.
The forest from above non ferma il miglioramento del quartetto, poichè nell’ambito di queste informi pagine musicali che inducono al riascolto, in questo lavoro si percepisce qualcosa di più, si dà uno spazio alle ricostruzioni e alle estensioni più evidente e si cercano punti di contatto con generi apparentemente distanti (alcuni sviluppi lanciano agganci ad una sensoriale somiglianza con l’ambient music), al fine di calarsi in un subsistema specifico delle emozioni dai connotati personali.