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Nella musica di Hawkins c’è un progetto di costruzione musicale ben preciso, dove è importante la movimentazione del tema e l’ariosità delle soluzioni, e non di meno, l’elaborazione di un particolare contrappunto. Come nelle migliori prerogative di un pianista classico, Hawkins tende ad usare elementi per formare una propria espressione: in Congregational si avverte l’ispessimento della melodia, una sorta di moto vibratorio innescato da una studiata ricerca delle possibilità della mano sinistra e la produzione di semi-clusters in itinere; Tough like imagination si muove su una linea di note veloce, dolce e incantata, con un incartamento nella seconda parte, dovuto al picchettamento effettuato su alcune note del piano, adeguatamente spettralizzate dai pedali; in Pleasent Constellation le armonizzazioni portano in territori obbliqui e il pezzo finisce con delle schegge armoniche estemporanee che sono eco del vibrato sonoro prodotto nella parte centrale; Gossamer like a ghost tree è un gioco di specchi, volteggi situati nei registri alti, mentre It should be a song, prima ti fa pensare ad un paesaggio caduco, poi si libra in accordi scalari veloci che lavorano su qualche tipo di subliminalità; echi delle ruminazioni di Cecil Taylor si avvertono nel finale così come in Hard as threads, velocità coniugata con clusters addomesticati, o in We all bleed, che cerca di espandere sistematicamente le dinamiche astratte ma in grado di rivelarsi anche incredibilmente interrogative; in Tumble mono la linea melodica sul registro alto sembra un pallina che rimbalza, classicità e armonizzazioni robuste, ampliate dai pedali; Etude è un campo aperto su nuovi sviluppi, perchè si lascia andare ad una intersezione di quanto fatto con un minimo di problematica minimalista.
Hawkins dice di essere stato influenzato da Janacek e Waldron: del primo un confronto plausibile può trovarsi nei 10 movimenti del Book I di An Overgrown path; in quel ciclo pianistico era proprio la forza dei motivi popolari che reggeva le sospensioni armoniche e soprattutto costituiva differenziazione rispetto a quanto fatto dai romantici qualche decennio prima; senza di quelle probabilmente non si sarebbe potuto distinguere a sufficienza tra lui e Schumann o Brahms. Hawkins si impossessa, perciò, di quella forza melodica leggermente dilatata, capace di cristalizzare attimi. Quanto a Waldron, l’influenza sta nel saper riprodurre quelle “macchie” armoniche, che spesso formano il contenuto del suo contrappunto. Una terza, chiara influenza è quella delle corse sulla tastiera di Cecil Taylor.
Bene, ora mettete assieme la sostanza di questi appunti che vi ho descritto e coordinatevi con le sculture di Chillida: tutto acquista un senso, ha un suo modo di porsi; c’è la voglia di ripristinare una linea di condotta in questa musica, quasi un rigore morale, con una probabilità alta di abbinare istinti artistici e mistici. Tra i pianisti inglesi recenti Hawkins è senza dubbio il più interessante prodotto inglese che arriva da molti anni a questa parte e nel coacervo stilistico non è accostabile a nessuno dei pianisti in circolazione più accreditati in questo momento (Risser, Draksler, Davis, Taborn, Mitchell, etc.).
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