La Wergo ha recentemente pubblicato un cd di Mark Andre, in cui vengono raccolte due composizioni che procedono ad una comune visione partita da una commissione del 2010, ricevuta dalla WDR Symphony Orchestra a Colonia (con la conduzione di Pomarico) per il Musik Triennale Koln di quell’anno. Le due composizioni in questione sono etichettate come hij + numero, dove la sigla hij sta per “in the help of Jesus”: mentre la hij 1 è un pezzo orchestrale donato alla WDR Symphony Orchestra (in questa versione diretta da Mariano Chiacchiarini), la hij 2 è un pezzo per 24 voci ed elettronica, affidato all’SWR Vokalensemble di Stoccarda (diretto da Marcus Creed), con l’ausilio di un live electronics che proviene dall’attività degli experimental studio Swr, luogo in cui Andre ha da sempre avuto radici.
Questa mia segnalazione non è solo musicale, c’è anche una profonda visione sociale su cui insiste: il riferimento a Gesù Cristo è un elemento molto importante per Andre, che però ha affrontato la religione soffermandosi su alcuni aspetti della teologia cristiana, soprattutto riguardo al tema della “scomparsa” e della “riflessione”, due argomenti che si prestano benissimo ad un’analisi comparativa con la teoria musicale contemporanea. Quanto alla “scomparsa”, Andre si ricollega sia agli episodi evangelici in cui Gesù scompare dopo brevi apparizioni (quindi non solo il post-passione, ma anche i passi che riportano il Messia alle situazioni del noli me tangere e dell’apparizione di Emmaus), sia alle dipartite dei degenti degli ospedali; mentre per la “riflessione” Andre si riporta alla celebre frase di Gesù, allorché si interpose nella probabile lapidazione dell’adultera, azzerando l’ira degli avventori e sviluppando in loro una feroce autocritica.
Andre non è interessato ad una drammaturgia degli eventi musicali nè tanto meno dare spiegazioni morali attraverso la musica: il suo impegno sta nel cogliere acusticamente i temi; come può essere espressa la “scomparsa” o la “riflessione” dal punto di vista musicale? C’è un modalità del comporre che può rendere bene quelle situazioni?
Su queste basi Andre ha sviluppato una serie di manovre, lavorando con suoni e strutture musicali, per addivenire a dei preparati acustici: nonostante il tentativo sia di una difficoltà abnorme, nel caso di Andre si potrebbe dire che “scomparsa” e “riflessione” potrebbero essere sostituite dall’ “inconsistenza del tutto” e dalla “fluttuazione”. Un senso del vuoto e delle oscillazioni opportunamente organizzate è quanto la musica di hij tenta di raggiungere, immaginando uno spazio incredibilmente profondo dell’esperienza musicale: se nell’hij 1 il risultato si raggiunge senza elettronica (un intervento che solitamente ha qualificato in sostanza il lavoro del compositore), il fascino proverbiale dell’hij 2 è ottenuto nell’incrocio delle relazioni e nella ricerca di stratificazioni (strutturali e microtonali), poiché l’elettronica entra quasi in un gioco di specchi con le voci, dove il dolersi è superato dalla fissazione di paletti sonori che simboleggiano i disordini della parola, dove i cantanti scomposti, sussurrano e fanno presagire il distacco.
Nei due hij c’è un fenomenale rigurgito degli umori di Nono: la prémiere di hij 1 al Musik Triennale Koln fu inquadrata in un’edizione del festival che trattava del tema del nomadismo e dell’esistenza di una patria, riferendosi a quanto successo a compositori come Ligeti; l’idea di Andre è che non può essere esserci patria se non ci sono spazi liberi, se i suoli o le abitazioni sono espressione di un immutabile concetto di proprietà ((la Germania, comunque, è uno dei pochi paesi in cui è significativamente ribaltato il sistema affitti, dove solo 1/3 dei tedeschi è proprietario di case). D’altro canto, la hij 2 è una celebrazione della fragilità a tutti i livelli, che andrebbe correttamente analizzata per trovarci dei pregi, perché nella fragilità si annidano i lati migliori dell’uomo (un’accresciuta sensibilità ed un incredibile flusso di comprensione degli eventi e degli altri uomini), fornendo lo stimolo per una contrapposizione del potere. Essere vulnerabili significa aver bisogno di un’unione organizzata senza colonizzatori politici: la musica, perciò, riacquista un libero valore, il valore percettivo che gli spetta.