Mi è sempre molto difficile poter coprire tante richieste che mi giungono da varie fonti: Percorsi Musicali ha preso l’impegno di seguire sentieri specifici della musica, a mo’ di missionario che cerca di divulgare una religione che difetta di vera conoscenza. Questo è il motivo per cui si è ridotto il mio contributo verso la musica classica puramente tonale o verso generi popolari, contributo che nei primi anni era paritario.
Però, sia per effetto delle segnalazioni dirette degli artisti che di quelle del buon Paolo Pinto, addetto stampa della Stradivarius, mi trovo con un bel pacchetto di lavori dell’etichetta milanese, su cui mi sento di esprimere qualche pensiero, in virtù anche del fatto che nella maggior parte dei casi si tratta di abbinamenti strumentali inconsueti.
Parto dall’enfasi sumera che tanto intrigava il compositore Lou Harrison. Basandosi su alcuni rinvenimenti improntati alla tipica scrittura cuneiforme dei sumeri, Harrison era convinto che la teoria musicale andasse spostata almeno 1500 anni prima di Cristo, periodo di piena maturità della civiltà mesopotamica; l’americano, che era un fervido appassionato dell’antichità strumentale, non poteva fare a meno di mettere in relazione le raffigurazioni o i dipinti trovati in Iran con i legni arcuati che diedero origine all’arpa. E’ sulla sostanza di questo terreno teorico che Harrison usò questo strumento sia in veste solistica, che dentro gli ensembles o le orchestre, dandogli un’importanza non secondaria nel contesto timbrico. Un ripasso eloquente di molti pezzi scritti da Harrison per l’arpa è uno dei contenuti di The Planets, cd dell’Avalokite Duo, formato da Guido Facchin e Patrizia Boniolo (percussioni ed arpa rispettivamente); Facchin è un percussionista di valore, professore e musicista che si presenta in concerto con un ventaglio ampio di strumenti (tom toms, glockenspiel, gongs, chinese cymbals, ocean and wind drum effect, etc.), ha scritto un libro guida sulle percussioni di tutto il mondo ed è un amante della musica di Harrison, perché la storia ci dice che Harrison lasciò un grande ricordo sulle percussioni (gamelan in testa); Facchin e Boniolo registrano The Planets, un nuovo pezzo scritto da Facchin di 48 minuti circa, come suite in 9 parti: è un grazioso e libero incontro di musica che rimugina sulle divinità della mitologia greca, con indicazioni umorali che rimandano alla semplicità sumera e ad una modalità narrativa che funziona.
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C’era un aspetto che mi intrigava di sapere su Mengozzi, che costituiva una caratteristica basilare del suo modo di comporre: il riferimento in partitura alle proporzioni matematiche di Fibonacci e alla sezione aurea. Ho raggiunto per email Mengozzi, il quale mi ha fatto presente che nella sua musica “…la sezione aurea determina la forma del brano, ne delimita le sezioni, permette di fissare il punto culminante. Anche le ripetizioni di singoli frammenti sono gestite attraverso procedimenti che hanno a che fare con la serie di Fibonacci, strettamente connessa con la sezione aurea. Nulla viene lasciato al caso, anzi il mio tentativo consiste proprio nel voler sottrarre al caos la mia opera, inserendola in un progetto fondato sull’ordine….“.
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Ciò che propone per Stradivarius è LowBb bassoon cluster, una raccolta di composizioni classiche recenti, suonate insieme ad un quartetto di fagottisti (con lui Giorgio Mandolesi, Massimo Ferretti Incerti e Maurizio Barigione). Si spazia tra divertimenti (quelli composti nel Divertimento op. 92 da Claudio Leonardi o nel Ance Oscure di Carlo Galante), madrigali (quello di Marco Betta), organistici-corali (il Four sides di Marco Pittino), fino ad arrivare ai contrappunti contemporanei (Il Magnifico cannocchiale di Carla Magnan e In chiave d’autunno di Nicola Sani). I quattro suonano benissimo, per la gioia di coloro che apprezzano questa inusuale aggregazione timbrica, in cui spesso entrano in gioco sostituzioni soliste o raddoppi (controfagotto e fagotto tenore); inoltre si sottolinea come questo quartetto possa costituire un polo unico per lo sviluppo del repertorio in Italia.
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La finale Dialogo del soffio e del metallo è l’autografo di Mariotti, ed ha un umore speciale: in un puntellamento alla tromba che sembra simulare persino soffocamento, Mariotti si scontra con una processione di suoni metallici, e quando i climax si smorzano nella parte finale, si adegua al lumicino, rasentando la simulazione timbrica di un urlo umano strozzato.