Non è per nulla raro incontrare persone che dichiarano di aver letto molto in gioventù e poi di aver ridotto al lumicino tale frequenza di lettura a causa degli impegni; si potrebbe pensare che queste persone si siano trasformate nelle idee e nel temperamento, ed invece bastano solo pochi secondi del ricordo di questa preziosa attività svolta nel passato, per constatare che dentro di loro c’è una memoria che non muore ed una forzata conciliazione con le attività presenti. Come sosteneva Jan Assmann, si può parlare di ricordo come “atto di resistenza”. Per il trio Patrizia Oliva, Roberto Del Piano e Stefano Giust si tratta di orientare il ricordo in un potenziale di liberazione della musica: il 20 settembre scorso i tre musicisti si sono incontrati nella residenza sociale di Aldo Dice 26×1 per un’improvvisazione sui generis, che sa tanto di sindromi freudiane e che capitalizza le più desiderabili essenze creative mostrate dai tre musicisti nel corso del loro percorso musicale. Un accostamento di propensioni incredibili: il canto ipnagogico di Patrizia, il basso oscuro e decostruito di Roberto, l’ansia ritmica di Stefano.
That is not so ha una sua unitarietà, dove i materiali musicali sono trattati allo stesso modo dei materiali pittorici: c’è una tecnica e un modo ben preciso di raggiungere dei risultati, ma soprattutto c’è una poetica che si infila tra le maglie della musica. Durante i ripetuti ascolti ho cercato di ritrovare in qualche dipinto o saggio letterario l’umore di That is not so, senza giungere ad un risultato specifico: la vocalità della Oliva, anche nei momenti in cui è accompagnata dai loops, è un driver potente, dirige la mia immaginazione verso un dipinto cubista, di quelli analitici, dove la decomposizione dei soggetti/oggetti rende difficile qualsiasi tentativo di ricostruzione, anche se la sensazione è quella di un grigio-bruno come nel Ritratto di Pablo Picasso fatto da Juan Gris. Dal punto di vista letterario, si potrebbero tentare dei collegamenti plausibili con André Breton o con il romanzo della psicoanalisi, tuttavia l’enfasi del trio attiva un sindacato del sogno dove non ci sono spiegazioni scientifiche o nemmeno fasi di aderenza a determinate combinazioni del linguaggio.
Poche critiche si possono fare a prodotti musicali del genere: l’unica che mi sento di fare è piccolissima e riguarda il non perfetto bilanciamento degli strumenti intorno all’amplificazione, con le dinamiche arrotondate per eccesso o difetto (a volte perfette, a volte depotenziate).
Mi approccio per la prima volta alla musica di Alberto N.A. Turra (chitarra elettrica e beaten mandolin) ed Alberto Pederneschi (batteria e percussioni), i quali per Setola di Maiale presentano un cd dal titolo Papa Legba is our sensei, un set di mezz’ora di musica che gli stessi artisti hanno definito come “Devotional jazz core”. La parte devozionale è strettamente collegata al Legba, quel loa che nei riti dei villaggi vudù fa da tramite tra i viventi e Dio, un retaggio antropologico (anche irriverente per certi versi) che nella musica si dice condusse le azioni della leggenda del blues Robert Johnson; nel rock un riferimento esplicito lo attuarono in chiave melodica i Talking Heads in True Stories.
Quelle di Papa Legba is our sensei sono miniature musicali (brani in media da 2 minuti e mezzo) particolarmente compatte, che richiamano il rituale, lo Zorn dei tempi andati e forse promettono anche una certa concupiscenza con il romanzo d’azione, quello dei racconti di William Gibson. Sono atti virili di musica che si misurano molto con le caratteristiche del rock, dando luogo ad un prodotto molto valido sul piano musicale, che riafferma un criterio appartenente all’hardcore in generale (quello vitale dell’urgenza espressiva) e limita invece al minimo la mancanza di scintilla creativa che spesso affligge produzioni similari del genere. Questi due “Alberto” sono due eccellenti musicisti, che tengono in piedi una tensione, caricando solismo ed apprensione acustica (sentire l’ampio spazio sonoro che si apre nei due minuti della pausa tra The question e The answer o nella parte introduttiva di The pain).
Il terzo cd della rassegna Setola è Quando ero un bambino farò l’astronauta di Davide Rinella, cd a cui avevo preventivamente dedicato il mio interesse in una puntata dell’improvvisazione italiana (vedi qui).