Chi conosce la musica di David Torn non dovrebbe essere sorpreso da Sun of Goldfinger, ultimo cd del chitarrista in trio deluxe con il sassofonista alto Tim Berne e il batterista Ches Smith: come rimarcato in altri articoli, Torn è un musicista che ha realmente magnificato lo sviluppo dei rapporti tra jazz ed elettronica, infiltrandosi a suo modo nella materia dei loops e degli echi come pochi hanno saputo fare. Con una discografia con pochissime cadute di tono, Torn ha dato un contributo decisamente alternativo rispetto a chitarristi come Metheny o Scofield, solidi nei loro riferimenti jazzistici, puntando ad un solismo equilibrato dalle sensazioni ricavabili dalle modificazioni tecnologiche: ciò che è maturato è un senso ambient del tutto particolare, qualcosa che a ben vedere può retroattivamente condurre alle primordiali intuizioni che Sun Ra ebbe nei dintorni di Cosmic Tones for mental therapy, dove riverberi, echi, sostenuti e piccoli suoni in dettaglio confluivano in una nuova combinazione con il sistema dei riferimenti jazzistici.
Detto questo, tuttavia Sun of Goldfinger è qualcosa di più di quanto fatto da Torn nella sua vita artistica, poiché stavolta ha potuto contare su uno schema rafforzativo, ossia l’essenza stilistica di Berne e Smith: nonostante nessuno vuol dire con chiarezza di chi sia la paternità progettuale del lavoro, si intuisce che in Sun of Goldfinger Berne e Smith hanno rivestito il compito che solitamente spetta agli esecutori di musica contemporanea, quando coaudiuvano il compositore nel trovare appigli creativi direttamente collegabili alle conoscenze degli strumenti; perciò se Torn è il mentore, Berne e Smith sono sub-locatari delle imprese musicali che si trovano in Sun of Goldfinger. Trattandosi di musica interamente strumentale, per trovare regioni ispirative è necessario rifarsi ai pochi titoli e rimandi disponibili ed è fortissimo il sospetto che sia stata la bella storia di Herman Melville (Moby Dick) a coprire le intensità e densità che si presentano nella musica: la titolazione fa pensare all’immagine fornita dal narratore all’arrivo della nave nell’isola di Giava, allorché si presenta una “.. lunga e brunita radura di sole che sembrava un dito d’oro disteso attraverso le acque per intimare segretezza...”, così come i titoli Eye Meddle o Soften the blow, due dei lunghi brani del cd, fanno pensare alla missione e alle fasi irruenti della storia.
La riproduzione musicale è comunque un miracolo di confluenza di tre mondi:
a) quello degli effetti di Torn, in alcuni momenti persino in grado di dettagliare con i suoi loops posti o sensazioni concrete;
b) quello di Berne, che sposta il jazz al limite del consentito, sorvolando gli sviluppi sui registri alti e sugli armonici liberi, nell’ottica di una drammaturgia a metà strada tra le impressioni di un poema omerico e il dipinto di un espressionista astratto;
c) quello di Smith che impone la sua versatilità, suonando talvolta tessurale, talvolta rituale, altre volte ancora atomizzato, in costante controtempo.
L’intervento del Scorchio Quartet, del piano di Craig Taborn e di due chitarre aggiunte (Baggetta e Ferreira) in Spartan, before it hit aggiunge un pò di austerità camerale ed un probabile spostamento dei sensi dalla favola al mito, se è giusta la mia interpretazione, ma in linea generale qui si fanno miracoli emotivi.
Un’ultima cosa: qualcuno riesce a capire che cosa Tim ha scattato nella foto della cover?