Il nuovo secolo sembra abbia riportato con vigore una pratica pensata tanto tempo fa in Giappone: intorno all’anno 1000 d.C. una dama di nome Sei Shonagon pensò bene di raccontare la sua vita di corte attraverso osservazioni, aneddoti ed elenchi sentimentali, dove un elemento ricorrente dei racconti era il piacere ottenuto dalle poesie scritte sul suo corpo dai suoi amanti (il testo è The pillow book); la riscoperta è passata anche da un paio di films, quello del 1946 di Kenji Mizoguchi (Utamaro and his five women) e uno del 1996 di Peter Greenaway (I racconti del cuscino), rappresentazioni cinematografiche che enfatizzano la scrittura calligrafica.
Il motivo per cui vi parlo di scrittura corporale è il risultato delle recenti installazioni del compositore Jacopo Baboni Schilingi, che la sta utilizzando con ben altri scopi: con il progetto Identigraphie (vedi qui), il compositore ha proposto una modifica sostanziale dell’approccio della lettura musicale che è anche segno di ribellione ad un sistema che pare non funzionare. Nello specifico, si tratta di consumare inchiostro su modelli umani che devono fungere da vettori ad una serie di considerazioni:
1) nonostante il compositore abbia acquisito un ruolo rilevante nel campo della composizione associata alla grandeur delle arti visive e alle tecnologie informatiche, lo stesso ritiene che l’automatica iscrizione delle partiture, incastonata in prodotti artistici multimediali, sia un gran detrimento per la composizione, perché corrompe l’atto della creazione e riduce enormemente la portata trascendentale che può derivare dalla partitura: la creazione è il risultato di un tempo, di uno spazio o di un luogo in cui si è formata, qualcosa che riveste una natura di inviolabilità, e che Baboni Schilingi chiama “rituali fondatori” della composizione; gli automatismi svilirebbero quanto di buono c’è alle sue fondamenta, limitando quella capacità spesso risaltata da studiosi ed amanti della musica, di andare oltre inchiostro e righe.
2) scrivere direttamente sul corpo la partitura ripristinerebbe un’arte artigianale in grado di produrre un miglioramento di alcuni aspetti della composizione e dell’esecuzione: dal momento che non sono permessi errori di scrittura sul corpo (pena la loro emersione in sede sonora), i compositori sarebbero costretti ad intensificare la loro concentrazione, a tener conto dell’attività gestuale e costruire un rispetto per il momento di intimità corporale con cui vengono in contatto con i loro simili: pensate ad un chirurgo in una sala operatoria, che deve ottemperare queste problematiche tutte assieme senza errori. Dalla parte degli esecutori, si tratterebbe poi di vivere un’esperienza singolare, una presa reale della lettura, che vive in carne ed “occhi”.
3) la particolarità della scrittura corporale ha un fine estetico e filosofico: sebbene possa sembrare un controsenso, il rifiuto dell’idioma tecnologico è un’atto di protesta messo in campo da Baboni Schilingi contro le pericolose derive della musica, soprattutto quando si pensa che l’unico modo per portare avanti i processi compositivi è alzare il livello della composizione; ripristinare certe attività del compositore e migliorare l’eccellenza creativa, può fungere da deterrente per coloro che hanno una visione meno severa degli atti della composizione.
L’idea del compositore italiano, oramai stabile residente in Francia da tempo, ha quindi proprietà che entrerebbero in un nuovo rituale della musica, qualcosa di molto singolare che vivrebbero le sale dei concerti; prescindendo da considerazioni estetiche sulla musica scritta (che comunque andrebbero fatte), si potrebbero riprodurre teoricamente sul corpo partiture complesse tipo Ferneyhough, o partiture grafiche delle più varie (immagini, colori, relazioni, etc.), ma resterebbe forse il problema delle lunghe partiture non sopportabili da un corpo umano che ha delle dimensioni limitate (e molti compositori sanno che ci sono lunghezze indicibili per certe opere); allora il body writing sarebbe utilizzabile solo per musica da camera?
Le Identigraphie di Baboni Schilingi costituiscono un potente volano di liberazione dei sensi, dalla fortissima, subdola caratterizzazione sentimentale interna; sono brividi emotivi che la pixelizzazione dell’informazione digitale non è in grado di restituire nella stessa misura e forma. All’opposto delle art perfomances di Marina Abramovic, spinte ai limiti del consentito e profuse per ottenere una risposta fisica latente, le idee di Baboni Schilingi tendono ad un’estasi corpulenta, che resta nei confini del nostro pensiero, dove l’impegno necessario ed assoluto si mescola con un’amorevole nudità delle sensibilità umane.
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Nota: foto in alto tratta dal sito del compositore
Nota: foto in alto tratta dal sito del compositore