Ci sono purtroppo musiche che ascolto con ritardo rispetto alla loro data di pubblicazione. Tuttavia quando mi accorgo del loro valore, anche a distanza di tempo, non posso fare a meno di segnalarvele. Stavolta ho raggruppato musiche dell’improvvisazione, più lontane o più vicine nel tempo, che provengono dalla Spagna e dal Portogallo. E’ una quaterna di cds che viene fuori da una selezione che ho fatto in questi giorni, con sorprese, in alcuni casi, veramente eclatanti.
Apro la quaterna innanzitutto con l’album d’esordio della pianista spagnola Jordina Millà Benseny. Jordina è un’improvvisatrice che ho scoperto favolosa, una giovane musicista che, dopo molti studi ed esperienze in tutta Europa spalmati anche su compagnie teatrali e organizzazioni culturali, sta contribuendo alla nuova scena improvvisativa di Barcellona, sotto la supervisione di Agusti Fernandez. Registrato alla Sirulita Records (una nuova etichetta di Agusti da poco fondata), Males Herbes è un capolavoro di musica pianistica estensiva, che ho provveduto a comprare non appena mi sono reso conto del suo valore. Lo spunto dei 10 brani che compone Male Herbes è costituito da un fenomenale rapporto di connessione aurale tra natura e musica: la pianista è in grado di portare alla massima frequenza di allerta un suono che è principalmente ricavato dagli interni del piano, secondo un progetto chirurgico (usa oggetti e catene sulle corde in uno stile verosimile). Ma lo scopo non è operare qualcuno, quanto creare la magia tutta cognitiva di miscelare un ambiente sonoro con uno naturale, quello delle numerose specie di piante richiamate dalla titolazione; per far questo si avvale di un paio di indispensabili indicazioni tecniche, quella di una registrazione sfavillante (all’Obrador Sant Pére de Vilamajor), in grado di dettagliare i suoni in maniera incredibile e quella di un sistema di simulazioni che si trovano nelle soluzioni adottate sullo strumento.
L’apertura di Eryngium bourgatii proietta immediatamente il fantastico mondo di Jordina con i suoi squarci, con le risonanze che giganteggiano negli spazi di un piano preparato, con gli oggetti che ruotano o strisciano e i colpi secchi delle dita in fondo alla tastiera: l’ascoltatore è immerso in qualcosa che può subliminalmente ricordare dei lavori in costruzione sulla rete fognaria (fateci caso a questi suoni se vi capita nella realtà!), sono sei minuti che farebbero invidia ad un compositore della classica contemporanea; la relazione con le piante è idealmente dentro i suoni, che condividono l’idea di correlazione di Nono, scorrendo in uno spazio fisico che restituisce energia e carattere; ma c’è anche la possibilità di configurare relazioni dirette, poiché taluni fruscii o sfregamenti adottati dalla pianista spagnola, individuano quel rumore che accompagna il cammino su un selciato di montagna; il gancio potrebbe evidenziarsi anche nella fisiologia delle piante richiamate: prendete un brano come Aconitum napelius, che si sviluppa in cinque minuti di plurime estensioni decodificatrici di un’aroma sonoro che sembra proprio quello di un’antica battaglia (è principio consolidato quello che i fiori dell’Aconitum hanno una formazione che richiama l’immagine di un elmo antico); provate a sentire i dodici minuti di Gentiana Alpina, uno scavo profondo negli interni preparati, con risonanze mostruose o aperte ad uno strano percorso di contemplazione (la Gentiana sembra abbia proprietà ristabilizzatrici).
Males Herbes è pieno di esperimenti, esplosivo nella sua creatività, una creatura estensiva del pianoforte di grande efficacia: le note “pulite”, profuse sulla tastiera, sono centellinate e ad ogni modo propedeutiche all’affondo risonante. La validità della musica copre senza dubbio estetiche e significati artistici: il disegno-copertina dell’artista italiana Catherina Gynt, mani energiche che producono fiori, e le note interne di Fernandez, lo dimostrano; quanto alla Gynt il legame con la musica della Millà sta in quella sorta di connubio tra naturalismo e simbolismo che autorizza a pensare all’arte come un’illuminazione: quell’immagine è forte e dissonante al tempo stesso, usa tonalità rosso-arancio su sfondo verde scuro e crea l’idea di una fantastica comunione biologica tra l’uomo e la natura. Agusti, invece, nelle note si interroga sulla provenienza di questi paesaggi sonori che riescono ad essere così suggestivi, abbozzando una risposta basata sull’altitudine in cui si trovano le erbe di Jordina, “…where the air is more pure and transparent. This is where Jordina lives….“. Eccellente.
Un altro spagnolo in fase di forte crescita creativa è il percussionista Vasco Trilla. Qui riprendo il suo terzo lavoro come solista pubblicato su Klopotec R, dal titolo The torch in my ear, con una bellissima cover di Nicola Guazzaloca. Tre pezzi che portano notevolmente più avanti quanto iniziato con The rainbow serpent e The suspended step: la ragione è che si sta affinando la matrice compositiva; quando non impegnato nel jazz o nell’idioma libero, emerge la componente sperimentale del percussionista, che è molto vicina alla prospettiva dei percussionisti avidi facogitatori di risonanze, ottenute con estensioni (da Pierre Favre a Tatsuya Nakatani). Ma ciò che colpisce in The torch in my ear è la costruzione addirittura di una trama involontaria, frutto di una predisposizione all’ascolto anche di altri generi musicali: per Trilla si può far risuonare un tamburo preparato facendolo sembrare un agglomerato sonoro composto da uno scultore di suoni. E’ così che un set generico di batteria con inserzioni di triangoli, movimenti rotativi sui tamburi, tubi flessibili e metronomi, si riporta alla considerazione di Elias Canetti, per cui l’orecchio ha bisogno di un’illuminazione. Tutto si svolge dunque secondo legami impliciti, con poca ritualizzazione (praticamente una costante del percussionismo improvvisativo del nuovo secolo) e molta più forza descrittiva: l’empatia percussiva vaga nella mente di Trilla, che chiama le sue evoluzioni “maschere acustiche” (riferendosi all’intelligibilità dell’ascolto), ma più che maschere le sue escursioni fanno pensare a dei mondi fatati, anche lievemente cosmici, o anche a degli incantesimi in cui tanti piccoli esseri si animano durante il percorso. Sono aperture soniche che si mischiano a ripetizioni, con una distribuzione temporale eccellente di tocchi e propulsioni; qui, in questa esibizione che non è collegata al cd, potrete apprezzare alcune delle sue tecniche.
Trilla dimostra il suo valore anche nel duo intrattenuto con il trombettista portoghese Luis Vicente, nel cd per Clean Feed, dal titolo A brighter side of darkness. Una torbida attività percussiva viene messa in equivalenza con le soluzioni/estensioni della tromba di Vicente. 3 pezzi che si svolgono in un clima che solo da lontano ricorda le esperienze di Sun Ra o degli Art Ensemble of Chicago, o quantomeno degli improvvisatori di tromba free jazz dei settanta. Il motivo dell’accostamento è la parvenza spirituale che sembra denotarsi anche dalle note accompagnatorie, allorché si parla di theomusical subjectivity, rimettendo in circolo le teorie del filosofo Schleiermacher.
In A brighter side of darkness si tratta di alzare vento, viaggiare negli strappi e contorcimenti di suoni modificati e, in definitiva, di aprire uno spazio sonoro che è cinico ed affascinante al tempo stesso. La volontà precipua è quella di creare un dialogo scuro e drammatico, probabilmente in piena consapevolezza dei tempi, che filtra gli argomenti al pari di una marmitta di un’auto: c’è una voce forte che vorrebbe esprimersi, ma è volutamente depotenziata.
Jose Dias è un giovane chitarrista portoghese, entrato nelle grazie di Elliot Sharp e di Pedro Costa, tra i chitarristi favoriti presso l’etichetta discografica Clean Feed. E’ influenzato dalle arti visuali, è ricercatore universitario ed ha anche scritto un libro per Bloomsbury Academic dal titolo Jazz in Europe, che si concentra sulle pratiche jazzistiche europee in rapporto alle sue identità nazionali. La veste musicale più accattivante si trova in After Silence vol. 1, un disco solo di chitarra elettrica e dispositivi elettronici, che è venuto fuori grazie al fatto che Dias stava improvvisando sui primi films di Man Ray: esso presenta tante belle soluzioni in qualche modo legate ai modelli di Frisell e Monder e non disdegna di fornire elementi un tantino più complessi*. Tuttavia ciò che si apprezza in maniera incrementativa è la forte suggestione poetica a cui lavora: senza farci distrarre dal palombaro in copertina (che susciterebbe senso di avventura oltre misura), After Silence vol. 1 ha un rapporto eccellente tra azione musicale e reazione aurale (quello che ha accompagnato molta buona musica per films) e colpisce allo stesso modo con cui colpiva la preziosità della vista della stella marina di L’étoile de mer, il films di Man Ray in cui le immagini portavano con sé un certo lirismo al netto delle componenti dadaiste.
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*Nota:
Vi consiglio di prendere visione anche della preziosa intervista che l’amico Andrea Aguzzi ha fatto a Dias sul suo NeuGuitars (vedi qui).