Questa è una sintesi della magnifica serata passata a Monticelli Brusati per il concerto del duo Ivo Perelman e Matthew Shipp, prima ed unica data italiana del loro tour europeo. È stato un set fantastico, un muro sonoro di un’ora. Anche la location pittoresca. Sinteticamente una performance assai equilibrata ed interessante. Il duo Perelman/Shipp è formazione ormai riconoscibilissima e fortunatamente ben documentata dal catalogo Leo; originale è anche l’approccio e il metodo di trasformazione sonora applicato dai due: uso sapiente di timbri, verticalità e contrasti si sono susseguiti in tutto il set. Dalle prime documentazioni pubblicate dalla Leo, la crescita e la maturità del duo è palpabile, tutto è ben focalizzato in un livello di empatia formidabile; l’uno al servizio dell’altro, come il meccanismo di un ingranaggio perfetto. Formula forse prevedibile (per chi è avvezzo alla loro musica) e frequente nella loro collaborazione (nel senso buono) ma che funziona a meraviglia.
Matthew Shipp trascinante, grande regista del set, è una miniera di spunti e lanci per l’urgenza espressiva di Ivo; la musica è molto densa, rigorosa, specie nella parte centrale, con muri di suono ed elementi puntillistici. Le classiche “macchie di colore” ormai consolidate del duo: strutture labirintiche e vorticose da parte del pianista. Attacco incisivo, ritmi martellanti, volate sulla tastiera (con predilezione dei registri gravi), mano sinistra potente e percussiva. Un vero mulinello cromatico.
I due lavorano in simbiosi per tutto il concerto, pochi i momenti in solitudine (una circostanza che a mio avviso sarebbe stata ancora più stuzzicante); il binario alle volte si divide ma rientra subito nella via maestra con ancora più definizione e potenza. E’ un flusso narrativo in continua espansione-distensione, quasi una pulsazione, un respiro.
Ivo Perelman più “cauto”, controllato e meno torrenziale del solito, ma comunque ispirato. Il suo “urlo” sembra essere più levigato, più patinato rispetto a certa produzione del passato, ma il vibrato e la drammaticità delle sue pennellate sonore sono le cose che più colpiscono chi ascolta, ormai una sorta di biglietto da visita. Il legame con la pittura è forte (senso della sfumatura giocato su intonazione e intensità delle note) e il sound è ricco, denso di growl, il tutto sostenuto da un’enorme colonna d’aria, controllo e padronanza della dinamica impressionanti.
Una selva di schizzi staccato/pizzicato in contrasto ad ampie frasi in legato e glissandi, quasi su un asse tensione-distensione; progressioni dinamiche e ampia forbice di escursioni tra pianissimi, soffiati, sussulti e urla strozzate. Quasi un trattenere la colonna d’aria alla soglia dell’emissione sonora, una sorta di saturazione. Frasi tagliate in corte sequenze, che terminano spesso con una lunga nota fortemente vibrata, soffiata. Sotto la lente d’ingrandimento riaffiora la tradizione…gli echi di fantasmi, dei grandi maestri del passato (giusto parlare ancora di passato?), Webster, Mobley, Shepp su tutti.
Un’ora di intenso affresco sonoro, musica viva, sanguigna, non intesa come mestiere ma come condivisione (cuore). Bisogna affrontare questo viaggio liberandosi, spogliandosi da quell’atteggiamento comune di “semplici ascoltatori”. Se non si ha una reale empatia, può risultare davvero difficile comprenderne il messaggio. Certo, questa interazione, quest’ascolto è impegnativo, ma quello che rimane è Arte. Una bellezza drammaticamente espressiva.
Da buon “seguace” di Ivo mi sarei aspettato forse qualche azzardo, qualche rischio in più. Sarebbe stato ancora più gratificante, poiché Ivo aveva ancora molto acceleratore a disposizione (credo sia dovuto in parte dallo stress post viaggio, dato che era la prima data del tour in quel di Brescia).
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