Italian reviews/Inserto recensioni improv Italia, part 2

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Nel trovare espedienti per nuovi approcci all’improvvisazione si può far riferimento a musiche del passato, posti e locazioni geografiche che ispirano al ricordo musicale, nonché chiamare in causa anatomie stilistiche convergenti. In GG JunctionDanilo Gallo (contrabbasso) e Gerhard Gschlößl (trombone e sousaphone) mostrano affinità per un tipo di improvvisazione che nasconde dentro sketches della musica di Monk o Ellington, mostra rispetto per un tipo di saldatura musicale che ha avuto molto successo nel jazz, quella che transige sul tema e sugli aspetti melodici, ma dà l’idea di un costrutto comunque articolato, una sorniona incursione notturna, ben congegnata in un pub di Berlino. L’abbinamento trombone-contrabbasso ha avuto molte sfaccettature nel passato: si pensi ai duetti di Mark Dresser con Roswell Rudd e Ray Anderson, a quelli di Joelle Leandre con Sebi Tramontana e George Lewis, quest’ultimo sperimentatore in coppia anche con Bertram Turetzky; in Italia Maier e Schiaffini hanno dato tantissimo a questa combinazione ma in generale tutti gli enunciati hanno una vitalità espressiva differente da GG Junction, che appare nel complesso come una piacevolissima dimostrazione di come si possono fare cose interessanti con pochi mezzi, una sorta di “arte povera” che funziona benissimo senza nessuna forzatura.
La jam improvvisativa e una funzionalità degli standards sono i due percorsi interattivi che sostengono le ultime produzioni del pianista Gianni Lenoci, sempre più convinto assertore di una produzione indipendente, non materializzata in cds. La jam in due atti è Smiling Stones, frutto dell’incontro del suo trio hp3 (con Pasquale Gadaleta al contrabbasso e Giacomo Mongelli alla batteria) con il sassofonista Sabir Mateen: due lunghi pezzi impostano un free jazz tiratissimo e pieno di soluzioni real time, dove non mancano comunque momenti di pausa tensiva; Lenoci si lascia guidare da un istinto che dentro ha macinato migliaia di chilometri di jazz ed improvvisazione libera, una fenomenale capacità di essere presente sulla tastiera. Il supporto ritmico è molto ben congegnato tra poliritmi e pacchetti di puntillismo sonoro, così come l’enfasi improvvisativa di Mateen, che si alterna tra lo strazio del soprano e tenore e la fluidità riflessiva al flauto. Smiling stones è una dimostrazione di sapienza dell’improvvisazione, iniezioni di un sound di valore che non è più facile reperire in Italia e di cui questi artisti si fanno portavoci.
Il secondo percorso ha a che vedere con gli standards: sempre con l’hp3, Stretching the standards è una lezione di quanto lontano si possa andare con i rifacimenti. L’elastico a cui si riferisce Lenoci e il suo trio è qualcosa che lega la creatività, le intromissioni mentali che restano a galla di Rollins, Gillespie, Waldron o altri e la possibilità di introdurre dei correttivi e degli sviluppi che rinnovano pezzi famosi senza farci pensare troppo alle fonti. Si parte dall’accenno di un tema e poi si perlustra la tastiera con la propria capacità tecnica ed espressiva: senza entrare nelle estensioni tipicamente condotte negli interni del pianoforte, l'”allungamento” risolutivo sulla tastiera diventa essenziale, è quasi fisico e si accorda con una propensione dell’artista a districarsi nelle possibilità sonore di accordi e prese di posizione delle mani, ragguagli melodici e armonici che tentano di raggiungere (attraverso una piena presa sonora della tastiera) dei ritorni sonori brillanti e correlati direttamente all’allungamento previsto.Munito di una bellissima fotografia in copertina, Wooden mirrors è il risultato di un’altra collaborazione tra Cristiano Bocci e Daniel Barbiero; i due suonano entrambi il contrabbasso in due pezzi, con Bocci che si occupa anche dell’elettronica. Cristiano lo senti a destra, Daniel a sinistra. La title track ha un andamento vario e complementare: i due si intonano per un pò sul pizzicato, per poi dirigersi sul suono all’arco ed infine ritornare al pizzicato; ciò che evidente è che si cammina liberi, si confondono gli stili (Daniel con l’arco evoca molto l’austerità classica), si sfruttano i timbri profondi dello strumento. From a councourse sfrutta degli espedienti sintetici per decuplicare ciò che proviene da un suono singolo: la mano di Bocci si fa sentire e si percepiscono molte cose nell’ascolto, dall’avvincente trama musicale (che deborda da quanto il timbro del contrabbasso è in grado di consegnare) alle ripetizioni, alle enfasi ritmiche e alle scorie granulari che il brano presenta (potrebbe essere un’idea decisamente personale di un pezzo di Riley dei sessanta); l’ultima parte, in cui si recupera in parte il tradizionale timbro del contrabbasso, è decisamente riuscita, come entrare musicalmente nel collo di una bottiglia.Si conosce la natura divertente della musica di Enzo Rocco. Quando Enzo mi ha mandato la segnalazione di The worst of mi avvertiva del fatto che fossero brani vecchi e un pò scemi che gli andava di riorganizzare e proporre. Assieme all’assistenza di Simone Mauri al clarinetto e Davide Bussoleni alla batteria, The worst of è molto meno ironico e “scemo” di quanto si possa pensare; contiene alcuni dei suoi classici, ma rifatti benissimo, con delle parti improvvisative ottimamente riuscite. Enzo ha la capacità di portarti in un mondo di omini che si muovono, che compiono azioni, sanno conglobare situazioni (sentire quanto succede nella parte finale di Mazzalarossa); il suo è un teatrino delle declinazioni delle favole, mi fa ricordare quando da bambino leggevo Riccardin dal Ciuffo o cose simili, ma il tutto è fondato in un contesto in cui ci si deve abituare a leggere tra le righe per capire i suoi significati. Passa dal free, la sindrome popolare e da un’ironia stemperata, che dovrebbe essere alla base della nostra vita.

Molto interessante si presenta l’operazione del trio Vittorino CurciGianni Console e Walter Forestiere. Le Mute Profondità che propongono i tre musicisti sembrano relazionare un certo tipo di poesia, la respirazione dei pesci e la respirazione improvvisativa, lavorando sulla potenza simulatoria degli strumenti di contro ad un tappeto sonico-percussivo minimale (anche un synth talvolta, contro sax alto, tenore, baritono, pipes); con un occhio ai sassofonisti free jazz dei settanta ed un’altro agli estensivi tipo Gustaffson, Curci e Consoli si intonano sulle tecniche estensive per stimolare i sensi dell’ascoltatore al recepimento di situazioni, drasticamente determinate dall’improvvisazione. E’ linguaggio che alterna suoni distorti a zone di strascico strumentale, atti incendiati di energia che viaggiano qualche volta al confine di genere, con parti in cui anche la voce è impegnata in un suo incedere attraverso bocchini e i canali d’aria dei sassofoni. Una fondamentale caratterizzazione del suono proviene anche da Forestiere, che è sempre in grado di impostare con poche mosse un ottimo background sonoro, che ti mette sempre sull’allerta della percezione e del trapasso fenomenologico. Il jazz è reimpostato totalmente e basta ascoltare Fantasmi armolodici per capire che qui siamo su un’altra linea di condotta rispetto a quella di Coleman.

Portare la vita nelle tele del pittore, questo era il motto dei realisti. Edward Hopper fu uno di essi. Hopper però la filtrava spesso attraverso una finestra o una porta, gente seduta che guarda fuori, legge o discute sotto l’influsso della luce che proiettano. C’è una parte del suo lavoro che in molti hanno visto come espressione della solitudine, traendo sostanza dal dipinto Hotel Room e da altri contenenti ambientazioni simili. Hopper è l’ispirazione dei loops creati dal sassofonista Alberto La Neve nel suo ultimo Night windows; il tema è creare un giro ripetuto di sax su cui incastonare nuovi elementi di arricchimento, intersecare i costrutti ed ottenere una relazione illustrativa; lo sforzo è trovare un nesso tra i dipinti dell’americano e una New York pensosa e malinconica, una sorta di alienazione riportabile ai nostri tempi (basandosi sul fatto che molte situazioni odierne potrebbero derivare da quelle dei tempi di Hopper). L’esperimento del loop è certamente interessante anche se un pò sfruttato e perciò La Neve cerca di superarlo con assoli dettagliati, che simulano quel senso di artificioso che scatta nella valutazione della metropoli americana. Un dettaglio non secondario si trova in Room in Brooklyn grazie al canto melodico e gelido di Fabian Dota.

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.