Circa 20 anni fa prende vita la nuova ribalta del jazz norvegese. Tra il 1996 e il 1999 escono album importanti che si pongono sotto una luce di una doppia interpretazione: nel ’96 Bugge Wesseltoft fa capire che le cose stanno cambiando con New conception of jazz; nel ’97 viene pubblicato Khmer di Nils Petter Molvaer, mentre nel ’98 esce Supersilent 1-3. La doppia interpretazione sta nel fatto che i musicisti coinvolti applicano gli insegnamenti della prima generazione di jazzisti nordici, ma allo stesso tempo ne propongono una dilatazione degli obiettivi, che va spesso molto oltre il jazz, così come lo si è inteso normalmente. E’ sempre rinvenibile il “nordic tone” ma resta sempre più confuso nelle nuove modalità con cui si suona la musica moderna: elettronica, noise, amplificazione acustica, ambienti multimediali, installazioni. Nelle note che accompagnano la pubblicazione dell’ultimo cd del contrabbassista Mats Eilertsen, si fa riferimento ad un altro lavoro seminale pubblicato nel 1999 a nome dei Food (Eilertsen con Iain Ballamy, Thomas Stronen e Arve Henriksen) per un’etichetta discografica durata lo spazio di un paio d’anni (Feral R.): l’omonimo cd che segnava l’esordio del gruppo era la trasposizione discografica del concerto tenuto al festival di Molde nel luglio dell’anno precedente; la seminalità, però, non consisteva nell’incrociare il tiro con le nuove mode, quanto nel fatto di proporre in terra norvegese una delle più libere e creative manifestazioni dell’improvvisazione.
Tra tutti i contrabbassisti norvegesi post-Arild Andersen, Mats Eilertsen risulta essere stato sempre uno dei più eclettici ed inclini alla sperimentazione: improvvisazione libera, jazz con elementi di classicità o con elementi di fusione, attitudine acustica e folk, supporto ai quartetti d’archi. Di tale ampia diversificazione ne è consapevole anche Eilertsen, che non si stanca mai di tentare nuovi approcci, così come capita nel suo ultimo Reveries and Revelations per Hubro, in cui costruisce un “falso” solo per contrabbasso, tutto studiato in laboratorio: stavolta ci si focalizza sul suono dello strumento, ma con aumentazioni; prepara i pezzi e li manda a Stronen, Henriksen, a Geir Sundstol, Eivind Aarset e Per Oddvar Johansen, per ottenere un sussulto post-produttivo e sebbene non tutto giri per il verso giusto, Eilertsen riesce a mettere in piedi un climax complessivo che ricorda molte vicende positive della musica e delle arti; c’è un senso della costruzione, del chiaroscuro che fa pensare ad un film di Wenders o ad un Tarkovskij specifico e il suo contrabbasso si piega alle regole dell’ambiente evocato, provocando molta dialogicità; d’altronde abbiamo imparato che ci sono molti modi per toccare le corde di un contrabbasso e restituire con limpidezza determinate sensazioni: Eilertsen ne conosce molti.
Tuttavia, a proposito di senso della costruzione, non posso fare a meno di pensare a quanto Eilertsen ha fatto in uno splendido cd per la Ecm R. dal titolo Rubicon, pubblicato nel 2015: nato come commissione-concerto al VossaJazz festival del 2014, è un tenero incontro dalla propensione melodico-classica, che vive di una straordinaria consistenza. Un sestetto ispirato (uno splendido Harmen Fraanje al pianoforte, Erik Hegdal e Trygve Seim ai fiati, Olavi Louhivuori alla batteria, Thomas T. Dahl alla chitarra e Rob Waring a marimba e vibrafono) intercetta luci, ombre e sentimenti creati con tessiture semplici ma incredibilmente efficaci. Eilertsen fa un figurone come compositore e contrabbassista applicato e il nordic style ha un nuovo sussulto. In Rubiconla linearità fece miracoli: ne fu consapevole anche il bravo John Kelman che, con entusiasmo, nella sua recensione su All About Jazz dichiarò che in Rubicon “…Eilertsen steps confidently up to the spotlight as leader, delivering an album that, with lessons learned from his existing body of work, opens his music up to even greater interpretative possibilities than ever before…“
E’ chiaro che qui vi sto proponendo di fare un passo indietro, musicalmente parlando, rispetto alle novità del nuovo secolo della musica jazz nordica, di cui vi parlavo all’inizio. Ma questo lavoro subdolo non è inutile, è realmente un gran guadagno.