Tempi, episodi, approcci, silenzi

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Roulette: Tyshawn Sorey Trio December 10, 2014 Roulette Brooklyn, NY photo by Steven Pisano.https://creativecommons.org/licenses/by/2.0/

La collaborazione tra Tyshawn Sorey e Marilyn Crispell è nata sotto gli auspici di un approfondimento delle parti compositive ed improvvisative viste nel loro coordinamento. Sorey riteneva che Crispell avesse le qualità giuste per poter mettere in piedi, assieme a lui, una suite di oltre un’ora, fondata sulle potenzialità del riempimento del tempo: quanto fatto dalla Crispell nel passato sull’argomento è stato ampiamente documentato da alcuni suoi lavori (la pianista riempiva benissimo il tempo con forme segmentate, labirintiche o arcaiche) e dimostra come è possibile riempire il flusso temporale della musica con una propria metodologia valida anche nell’interscambio. Sorey parla della Crispell come “..one of the most unique musicians of our time who maintains a deeply-rooted understanding of composition of both kinds (i.e. formal and spontaneous) and in many contexts..“.  “Adornare il tempo”, per i due musicisti che si sono trovati a registrare in studio e poi ad esibirsi allo Stone di New York (vedi qui), significa innanzitutto scegliere una strada della connessione: i due l’hanno trovata in un clima scuro, sibillino, che lascia sempre presagire un imminente verifica degli avvenimenti; The Adornement of Time è dunque un’incombenza che si crea con tutte le facoltà possibili, significa andare a trovare consonanze timbriche su registri alti o bassi (i primi cinque minuti si conducono su campanelli, spazzole e tasti dell’estrema destra del piano), spingere sulla risonanza lasciando liberi i pedali o alzando la sensitività dei microfoni (ciò che accade nella parte centrale incrementa il livello delle filtrazioni psicologiche) o centellinare al minimo tecniche esecutive che mirano al virtuosismo sfrontato o ad un’accelerazione del tempo. A The Adornement of Time, dunque, manca solo la prospettiva ventura e certamente non mi sentirei qui di applicare le parole di Borges, quando diceva che ogni particella del presente contiene una passata ed una futura, soprattutto se si pensa alla mente scientifica di Sorey.

Un’improvvisatrice che non era mai passata su queste pagine era la flautista Sylvaine Hélary. Lo faccio con questo nuovo cd per Clean Feed, dal titolo Episodes. Sylvaine guida il progetto Spring Roll con Antonin Rayon al pianoforte, Hugues Mayot a sax tenore e clarinetto e Sylvain Lemetre a vibrafono e percussioni. La Hélary ricorda tante cose: per un verso quei bisogni espressivi trasversali e trasognati di Yusef Lateef, quei paesaggi colorati che si aprono davanti agli occhi; da un altro le oasi di Syrinx del Debussy, di cui la stessa Hélary ammette la piena esistenza. Tuttavia è anche qualcosa di più stilisticamente, perché c’è un moto compositivo che sente il fiato sul collo degli studi timbrici provenienti dal circolo dei giovani jazzisti newyorchesi (Davis, Mitchell, Blake); nel progetto Spring Roll tutti gli apporti sono importanti per condurre il jazz verso quei territori pieni della creatività del momento, qualcosa che però congiura per una francesizzazione sonora, posto che i compositori francesi hanno avuto sempre un peso determinante sulle deviazioni armoniche e le risonanze. E allora cosa diventa il jazz di Episodes: in un senso traslato nella musica è una mostra di pose, quadri con suoni preziosi, un modo nuovo di dialogare per il jazz, che accoglie anche Kris Davis direttamente in un paio di brani catturati live. Tutti i pezzi partecipano ad un flusso di intenzioni, con addensamenti ritmici anche in chiave minimalistica, ma nel complesso è proprio quel flusso magnetico che vi invita a ritornare all’inizio dei files, come succede nei cds per ensemble di musica contemporanea. La musica di Episodes è piena di bacini di attenzione, ma è anche straordinariamente esaustiva.

Sempre per Clean Feed R. un altro cd particolarmente attraente è quello del trio di Wschòd, formato dal pianista portoghese Rodrigo Pinheiro con due improvvisatori polacchi, il contrabbassista Zbigniew Kozera e il batterista Kuba Suchar. Chi segue il jazz è a conoscenza della vitalità e degli intensi scambi che i jazzisti portoghesi stanno facendo con la comunità internazionale. Bene, allora questo Wschòd rischia di diventare uno dei prodotti migliori di queste relazioni, o quantomeno di una relazione portoghese-polacca. Le capacità di Pinheiro sono ben conosciute e sono state messe al servizio di musicisti del calibro di John Butcher (ricordo una super attraente performance nel Red Trio, che si trova in uno dei cds di improvvisazione più belli degli ultimi anni), di Nate Wooley, Joe McPhee e molti altri, ma anche Kozera e Suchar confermano di essere tra i migliori musicisti del loro paese. Una totale percussività caratterizza l’ingresso di East Park, con le tecniche estensive che sono padrone del campo: Pinheiro è scientifico su tastiera ed interni e assieme ai due partners trova molte soluzioni, ma la bellezza della musica è una conseguenza di un’alterazione delle normali vie dell’espressione, un cammino che si produce con forme veloci (l’idioma di Taylor è condiviso con stili improvvisativi europei) o che danno fondo alla prestanza acustica degli strumenti, circostanza rilevabile grazie all’eccellente registrazione. Il trio si distende meravigliosamente in Gleam, perdendo temporaneamente la percussività, ma conclude in Silent Frog una magnifica ricerca di assonanze e circoli congiunturali.

Un altro valente portoghese è il chitarrista José Dias, che ritorna con il gruppo di Awareness, un quartetto composto con Francisco Andrade al sax tenore, Goncalo Prazeres all’alto e baritono sax e Rui Pereira alla batteria. Live at SMUP (per Escanifobético Records) è un esibizione tenuta nel 2017 che conferma la scintillante arte del saper decorare la musica di carica narrativa: 6 lunghi brani dalla cui titolazione si intravede il soggetto e che si dipanano sulle ali di una fusion a tendenza prevalente di jazz, che prevede molti spazi improvvisativi. Dias, oltre ad essere uno studioso della musica, è anche profondamente innamorato del cinema, vicenda che irrimediabilmente lo conduce alle fonti letterarie. Tornano a nuova vita i personaggi di John Willoughby (che si presentava nel Ragione e Sentimento di Jane Austen), l’Hergé del fumetto di Tin Tin o l’Angela Vicario di Cronaca di una morte annunciata (Garcia Màrquez) e Dias condivide le sue “descrizioni” con quelle dei suoi partners, con i due sassofonisti eccellenti protagonisti dei loro spazi. Il tipo di titolazione e i tempi di trattamento dei pezzi fanno ricordare quanto succedeva nell’Inghilterra di Canterbury di fine sessanta o comunque nel jazz-rock di quegli anni, quando si voleva a tutti i costi imporre una visuale soggettiva degli eventi, senza rincorrere retoriche abusate. Ormai questo chitarrista è una realtà. Bisogna farsene carico.

Il contrabbassista Roberto Bonati sceglie l’abbazia di Valserena per registrare il suo primo disco solo ufficiale: Vesper and silence chiama alla memoria molte cose, ma dal punto di vista dell’arte musicale è un archivio da svelare. In conformità con quanto dichiarato dal contrabbassista parmense, si tratta di sondare un grande androne che rende manifesta l’intimità del musicista, poiché in quell’androne Bonati vuol rappresentare il suo percorso, che è metaforicamente una serie di atti compositivi ed improvvisativi dettati dall’educazione musicale e dalla necessità di un linguaggio orientato verso la spiritualità. Vesper and silence è una suite in 12 parti che incorpora il sentimento dei tempi, è un idioma composito di tocchi, viaggi misurati con l’arco o altre tecniche, che caricano una classicità antica ed un senso post-moderno che però non è esattamente quanto si sente in giro oggi nei circoli pseudo-jazzistici: se sistemazioni bisogna fare, proverei a guardare a quanto fatto dalla musica nordica (con una notevole differenziazione rispetto anche alla categoria dei contrabbassisti jazz di quella terra) e alle propensioni spirituali di musicisti come William Parker, detronizzato della parte più ostica all’ascolto. Durante il percorso di Vesper and silence c’è un tentativo di mostrare quanto vasto e significativo sia quello che si nasconde sotto la superficie musicale, al pari di un componimento poetico che una volta affrontato, vi permette di scavare in paesaggi, relazioni o eventi sotto la patina delle parole: in alcuni momenti le tracce sono evidentissime, come nella parte finale di Campane, che accoglie ritmo, mistero e virtuosismo o in Trumpeting and dance, dove Bonati si inventa un effetto di trascinamento che pare simulazione di una voce esortativa in mezzo ad un vortice ritmico buio, con tonalità ridondanti. Ho parlato di voce. Si, perché in Vesper and silence è una “voce” che si coglie, in alcuni frangenti talmente vicina al timbro umano da confondersi con essa, come quella che probabilmente ha affascinato Bonati durante la lettura e l’ascolto di Solveigs Sang di Grieg, mete di ritorno e redenzione. La preghiera cura, il silenzio forse ancor più e la musica dà il suo estremo contributo: è un’interiorità che potremmo condividere tutti, che si cristallizza in un Morning on a winter shore. Dati i riferimenti nordici, qui mi piace riprendere alcuni passi del poeta svedese Tomas Transtromer, nei momenti in cui l’ispirazione gli ha fornito le parole di Morning approach, poiché penso che è molto azzeccata per gli ascoltatori di Bonati: “…the world is still sleeping like a multicoloured stone in the water. Undeciphered day. Days – like aztec hyeroglyphs. The music. And I stand trapped in its Gobelin weave with raised arms – like a figure out of folk art….”. Disco solo double bass dell’anno.

I Trapper Keaper è un duo italo-americano formato dal percussionista veneto Marcello Benetti e il tastierista William Thompson IV. Benetti vive a New Orleans e ha naturalmente integrato i suoni funk e blues con quelli della libera improvvisazione, senza dimenticare che questi generi si sono parecchio evoluti. Il duo si unisce per un nuovo cd con due importanti musicisti jazz statunitensi, ossia Tim Berne e Aurora Nealand. Trapper Keaper meets Tim Berne & Aurora Nealand arriva in Italia grazie a Caligola R. ed è un bel pezzo di musica: i ritmi di Benetti sono molto frazionati, c’è un sottofondo di elettronica che strizza l’occhio alle mode recenti e Berne si produce al sax alto in assoli determinanti, facendo sentire tutto il peso del suo bagaglio tecnico. Sebbene non riesca a fare a meno di ricordare quanto fatto da Berne nel passato, questo quartetto ha qualità: c’è un impasto di fisarmonica e vocalità attiva che dà merito alla Nealand oltre le misure del sax e della sua provenienza da New Orleans, e poi va considerato il tipo di intramezzo ritmico, per cui bisogna dare atto della rapidità, varietà e precisione di Benetti alla batteria e alle percussioni, elementi che spesso rendono difficile persino un’accostamento al free jazz così come lo conosciamo e tendono una mano al beat-box e forse al math. E’ probabilmente questa vicinanza, unita all’energia che scaturisce, che impegna positivamente il nostro orecchio e dà la netta sensazione di essere di fronte ad un progetto ulteriormente sviluppabile.

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.