Narrazioni

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Gli approcci aperti nel field recording non sono solamente serviti per sviluppare nuove concettualità musicali, ma sono stati anche un modo di verificare i contorni estetici di un’avventura che sembra nascere da un incontro imprevisto tra musicista ed ambiente. Al riguardo ci sono già decenni di storia che testimoniano come può ricavarsi bellezza e benessere anche da quel settore, con l’ulteriore considerazione che le primordiali connessioni dei musicisti sono già passate ad un livello più alto, influenzando persino una parte della composizione classica. Tra i molti musicisti “appartati”, che vivono questa magnifica resa sonora della musica ve n’è una a cui da tempo sto prestando grande attenzione: si tratta di Vanessa Rossetto, musicista americana che incorpora certamente un’origine italiana. La Rossetto è passata silenziosamente sulle pagine di alcuni giornali importanti (naturalmente specializzati) e da etichette discografiche in linea con un certo tipo di sperimentazioni ibride (la Kye di Lambkin, la Another Timbre, l’Erstwhile R. e la Unfathomless): You & I are earth, ultimo suo lavoro, passa nelle fila di una nuova etichetta fondata a Chicago da Joshua Minsoo Kim e rappresenta un altro splendido spaccato di quanto vuol dire la ricerca della Rossetto; non è un compito semplice quello di scegliere i materiali per un musicista di field recording perché quei suoni devono essere in grado di catturare una situazione ed è incredibile come la Rossetto, senza ricorrere a processi di manipolazione importanti, sia capace di impostare una vera e propria narrativa sonora. In The dirt (vedi qui il video a sostegno) si cementano nell’ascolto la voce di sua madre che ricorda gli anni della guerra e canta brevemente un motivo probabilmente per starne emotivamente alla larga, c’è un fruscio fortissimo che apre lo spazio del tempo, inghiotte il movimento di mezzi di locomozione, con le voci femminili che si accavallano in lontananza e con il trambusto delle sirene premonitrici degli attacchi aerei: questo pezzo è l’equivalente di un dipinto, dove la riuscita emotiva è funzione della forza di differenziazione dei colori, ma soprattutto del dosaggio di parti accennate nel disegno che riemergono solo nella memoria di chi lo guarda; l’impostazione della musica di Rossetto è dunque quella di una documentarista della musica (tendenza che è emersa prepotentemente nella collaborazione con Matthew Revert), se è vero che una sensazione “documentaria” può rilevarsi dal campo musicale; la sua maestria sta nel saper contrapporre a meraviglia sonori differenti, saper perturbare le trame sino a portarle ad un punto in cui le situazioni sonore con il loro carico si confondono e le fanno scomparire. Nella musica della Rossetto, inoltre, c’è probabilmente anche un forte messaggio politico, perché il riferimento al Pro Eto di Majakowskij vuole caricare di realtà ciò che si presenta come utopia: è un desiderio in positivo che si distingue, dove l’arte deve recuperare la sua innocenza e deve costruire un vero anfratto progressista, in cui ciò che si sperimenta come arte è anche quello di cui nutre la vita di tutti i giorni.

Fluttuazioni giganti dell’immaginazione arrivano anche da The Waves del compositore e musicista norvegese Espen Sommer Eide, un cd per Sofa M. che riproduce un’installazione da effettuarsi con la cantante Mari Kvien Brunvoll e con il supporto della tuba di Martin Taxt, tra novembre e febbraio. Si tratta di smistare il pubblico in stanze diverse per l’ascolto e guidarli in un percorso nell’edificio che li ospita, senza sapere da dove provengono le voci (una sorta di acusmatica aumentata nelle dimensioni), una sorta di musica spaziale che, per via dell’incrocio di linee sintetiche, voci narrative (anche filtrate), sculture sonore trovate per l’occasione e persino 16 minuti di un pop modellato su un barocco scontato sulla lingua norvegese, è in grado di restituire una moltiplicazione delle prospettive ricavate dall’ascolto. Inutile dire che il progetto musicale è già valido sul piano musicale senza la visuale del movimento, c’è da aggiungere che quello che viene prospettato mi sembra un ottimo modo per mettere alla prova i nostri sensi, nell’ambito del progetto organizzato tramite Marres, un istituto di cultura contemporanea dedito allo sviluppo sensoriale negli ambienti artistici: si trova a Maastricht e coinvolge non solo musicisti, designer dei suoni e artisti visivi, ma anche profumieri, organizzatori di mostre d’arte e scienziati; perciò saranno fortunati i fruitori dell’installazione. Perché The waves? Sommer Eide dichiara di ispirarsi all’omonimo romanzo di Virginia Woolf, che si interrogava su cosa fosse il mondo senza uomini, come lo si sarebbe potuto ascoltare o vedere; passi del romanzo, nonché citazioni di altri poeti del gruppo di Bloomsbury (Russell e Whitehead), sono introdotti negli ambienti senza caricarli di significati particolari, al solo scopo di creare un movimento magnetico invisibile. Dice l’autore “...the sound of words constitutes a layer of meaning that surrounds us all the time. It creates small misunderstandings or “mis-hearings” and propels our conversations forward often without us being aware of it. This soundscape of language is to me like very old music. A band that has been on tour forever…..”.

Un’altra interessante novità arriva dal compositore Erkki Veltheim, finlandese esportato in Australia. Per la Room40 è stato da poco pubblicato Ganzfeld Experiment, una traccia unica unita ad un video, forieri di suscitare un test per la telepatia. Un violino elettrico che grazie ad un processore di segnale modifica il suo input e lo invia ad una proiezione video continuamente posta in stato di sfarfallio, allo scopo di trovare percezioni omogenee del campo visivo e musicale. Si notano così varie sfaccettature che tendono a bruciare l’idea di un processo statico della musica, alla stessa maniera con cui Brion Gysin lavorava sulla sua Dream Machine, dispositivo in forma cilindrica, bucato con finestre, con una lampada interna che gira circolarmente all’altezza degli occhi; si tendono a captare i segni di un’attività cerebrale nascosta sotto le palpebre degli utenti, con la differenza che per Veltheim gli occhi devono restare aperti per creare le connessioni con le segmentazioni subliminali del violino modificato e del fruscio intenso. Lo scopo dell’australiano è di creare morfologie sonore preparatrici di stati allucinatori: il mio parere è che qui siamo un pò costretti ad accontentarci di un computer dove passa la musica e il video; la musica (da sola) non è capace di fornire benessere e la misticità voluta stando a casa, ma le torture impiegate sul violino, in coppia con lo sfarfallio, produrranno certo un effetto immediato, quello della perdita di conto dell’orientamento. Sarebbe interessante raccogliere impressioni e descrizioni di questi fenomeni in una proiezione live.

A dimostrazione che le combinazioni musicali possono ancora sorprendere c’è l’esperimento dei 9T Antiope: è un duo di musicisti iraniani, provenienti da una scena che comincia a contare molti elementi di spicco, in questo caso si tratta di un duo di utenti di elettronica intelligente ed interagente, composto da Nima Aghiani e Sara Bigdeli Shamloo (anche vocalist), che si proietta in territori dell’elettronica ombrosi, depressivi, che però hanno il fascino delle strutture; prima con Harmistice (dove si aggiungeva anche il bravissimo musicista iraniano Siavash Amini) e adesso con Grimace, i due musicisti lavorano sulle follie contemporanee cercando di creare un tessuto musicale adeguato. La Bigdeli Shamloo colpisce per la vicinanza espressiva a David Sylvian per via del suo canto al limite dell’intonazione del parlato (naturalmente non è calata nelle realtà rappresentative dell’inglese), mentre Aghiani asseconda con grande intelligenza sonora i quadretti oscuri che imperversano, in una sorta di oscuro presentimento che si presenta nei dintorni dell’ascolto. Molti concorderanno che i pezzi del duo ottengono un bel passaporto per l’inquietudine e non c’è dubbio che i fallimenti umani passino nei loro pezzi: in loro non c’è solo la contezza delle miserie del mondo ma anche una sorta di cinismo del malessere; consiglierei ai due musicisti di adottare un pò degli antidoti proposti da Mark Fisher al riguardo, sebbene la reazione venga da un uomo che ha sacrificato la propria vita in nome della depressione.  E’ un’idea comunicativa che cambia connotati, perché sotto le trame elettroniche si trova anche un regime del sogno, un’ambiente di navigazione possibile in mezzo a rotture, divisioni, reminiscenze del passato e spettri del futuro; la musica è dunque noise coagulato nella narrazione.

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.