Sartre, nel suo The imagination, affrontò il tema delle immagini mentali, partendo da quanto Husserl aveva fatto emergere per la prima volta nell’analisi delle ritenzioni della memoria: in particolare riprendeva il concetto di “riconnessione”, quella capacità della mente di collegarsi alle cose del passato; si trattava di porre in evidenza la “presentificazione”, un modo di rivivere in tempo reale situazioni specifiche attraverso la rimembranza e le intenzioni della coscienza. Sartre fece un esempio eccezionale per spiegare questo concetto, indirizzando la sua dimostrazione ad un teatro illuminato: “….for example, if I have perceived an illuminated theatre, I can reproduce indifferently in my memory the illuminated theatre or the perception of the illuminated theatre (‘There was, that night, a party at the theatre. …’ ‘In passing, that night I saw the illuminated windows. …’), that is to say, in this latter case, to reflect in memory. This is because, for Husserl, the reproduction of the illuminated theatre implies the reproduction of the perception of the illuminated theatre….” (Sartre, op. cit, pag. 324).
Sebbene Sartre, poi, ebbe modo di arricchire tali concetti, ciò che è essenziale è lo scenario del teatro illuminato che mi interessa sottolineare, che è quanto di più vicino ci sia alle sensazioni intense che suscita il nuovo lavoro extra-large Efflorescence, del duo Ivo Perelman-Matthew Shipp, 4 cds per Leo R. racchiusi in un volume 1, che fa presagire quindi una continuazione della collaborazione, dopo che si era paventata l’idea di una separazione tra i due musicisti. Il riferimento alla materia floreale con titolazioni che prendono in considerazione moltissime specie di piante, si lega benissimo alle visioni filosofiche di Husserl e Sartre, perché la musica induce quasi naturalmente a pensare a quel teatro illuminato con le caratteristiche prima descritte, dove i due musicisti suonano e dove i loro strumenti diventano personaggi parlanti di un’operetta, ricreando uno di quei posti così cari ed intimi del fare arte. C’è un potere dell’immedesimazione che si offre spontaneo incredibilmente. L’efflorescenza che viene sviluppata dai due artisti, nel corso del lungo percorso dei 4 cds, è un’indovinata formazione subliminale tra musica, pittura, immaginazione, sensibilità letteraria e forse altre cose ancora: l’atto del fiorire è qui espresso con un magnifico tracciato di free jazz, con fioriture astratte che traggono linfa da un apparato ampio di soluzioni tendenti alla creazione di armonia sussidiaria; è uno svolgimento che con più fatica deborda nei violenti territori dell’espressionismo astratto di Perelman, argomenti che il sassofonista tenore e Shipp hanno comunque elaborato nel passato in altri lavori. Sempre di espressionismo si nutre la loro musica, ma in questo caso il dipinto è meno enigmatico, più facilmente aperto alla natura interpretativa dell’ascoltatore e canalizzato in idiomi che vogliono comunque celebrare l’incredibile vitalità della natura (guarda il dipinto che Ivo ha profuso per la copertina); perciò è stupore quello che si deve ricavare e se volete provare le splendidi vibrazioni di questa musica basterà tornare a casa la sera e metterla in circolo, restando magnetizzati dalla quantità di particolari che ne vengono fuori. Nelle mani di Perelman il sax tenore assume altre fisionomie, diventando un regolatore di situazioni emotive, grazie ad un incredibile uso del glissato, dei bocchini, delle manovre sui registri alti, così come Shipp dà l’idea che con il pianoforte stia dipingendo e non suonando. Efflorescence è eccellente free jazz, la massima soddisfazione che potete ritrarre da un disco di questo genere.
Due piccole riflessioni anche per altri due lavori pubblicati da Ivo, in questo finire d’anno: uno è il quartetto con William Parker al contrabbasso e Bobby Kapp alla batteria, con Perelman e Shipp che si producono per costruire una formula di free jazz che abbia lo spazio giusto per condurre in configurazioni multiple di quanto appare un approfondimento sul sentimento della gioia, naturalmente composto tramite la subdola interposizione della musica: Ineffable joy possiede una splendida analiticità delle situazioni sonore, in cui è possibile ricavare un versante di felicità della musica che Perelman dispensava soprattutto all’inizio della sua carriera ma con altre forme musicali e mi fa pensare anche a strutture che elaborano il senso delle angolature di Thelonious Monk. Sebbene lo specchio delle risorse sia completamente libero da abbordare, sento un certo legame con quell’immersione armonica che Monk cercava di stabilire nella sua musica per trovarci anche un’essenza spirituale, magari condivisibile: la presenza di Parker potrebbe essere stata uno stimolo, sebbene resta il fatto che l’immediatezza della musica del quartetto non lavora probabilmente per uno scopo ben delineato.
Ciò che si fa avanti in modo chiaro e netto è che Perelman e Shipp hanno riscritto una buona parte della storia dell’emotività nel jazz (qualcuno un giorno dovrà occuparsi anche di questo), navigando nei loro strumenti musicali con lo scopo di creare intersezioni nuove: nella lunga traccia che raccoglie lo spettacolo che i due musicisti hanno fatto a Norimberga al Festival The Art of improvisation a giugno di quest’anno, si comprende come i due musicisti siano in grado di rincorrersi perennemente in tutta la lunghezza dell’esibizione, scatenare associazioni del pensiero e dell’arte, creare formulari musicali che sono la conseguenza di un vivere proprio emotivamente la musica; in Live in Nuremberg passano in rassegna i dettagli di una conformazione musicale, dna interiori che si proiettano durante l’esibizione e che si incontrano per acclarare la stessa direzione, con una morfologia sonora che è in grado di entrare immediatamente nei parametri della vibrazione emotiva, trasferendo concetti a tutti.