Flussi, focalizzazioni e virtù

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Banquet – Focus and flow è la documentazione sonora di un’esibizione che il trio composto da Giulio Stermieri (pianoforte), Giacomo Marzi (contrabbasso) e Massimiliano Furia (percussioni) ha profuso nell’ambito del Parma Jazz Frontiere Festival del 2018. Si tratta di 4 improvvisazioni che sorprendono per la loro impostazione e la loro capienza: si va alla caccia di “pacchetti” di impressioni che vengono attuati ricorrendo anche alle armi del suonare non convenzionale; ciascuno prende la sua direzione operativa, ma l’insieme è tremendamente riuscito. Nell’Improvisation #1 (Digger, for Paolo), a circa metà del pezzo, si entra in una “fase”, una trasversale evoluzione aurale che incolla pezzi di pianismo dall’aspetto astruso (ottave lanciate nel nulla unite a microtemi, un contrabbasso lavorato con l’arco che crea un andirivieni meccanico, percussività libera e acusticamente sveglia grazie al lavoro dei tamburi e degli oggetti sonori esterni; nell’Improvvisazione #2 (Groppizioso) Stermieri si confronta con il contrabbasso di Marzi, castrando i timbri all’interno di una convincente struttura armonica jazz. In Banquet – Focus and flow si scorgono parecchi picchi di creatività: innanzitutto le qualità dei singoli, che non avevo mai sentito a questi livelli, ma anche un progetto specifico che si presta nell’improvvisazione, ossia la rappresentazione di un disegno musicale che sta nell’elaborazione del materiale sonoro, posto prima in una nebulosa acustica, su cui si agisce per ottenere una focalizzazione (sì, se l’ascoltate con attenzione si arriva a questo) e poi lasciando che la musica scorra come un fiume (un’emissione globale che, nel caso del trio, lascia molto benessere).

New York Portrait è la sonorizzazione di tre films muti di Peter Hutton, fatta dal chitarrista Nicola Perfetti. Hutton era regista sperimentale, sempre attento ad effettuare ritratti speciali delle città e dei suoi contorni geografici (uomini ma anche fiumi, mari, nuvole, etc.): in New York Portrait (vedi qui il film completo) è tutto ripreso in bianco e nero, favorendo il chiaroscuro con immagini quasi dissolte che documentano una città (che è anche simbolicamente universo del mondo cittadino) piena di contraddizioni: da una parte pezzi di modernismo, simboli di grandeur come grattacieli in costruzione ripresi presumibilmente in orari notturni, festeggiamenti in onore di un pallone pressostatico vagante, etc., dall’altra gente comune, in difficoltà che vive o dorme sulla strada, drammaticamente uomini solitari che condividono la scena filmica con cani o altri elementi espressione della stessa solitudine. A livello musicale Perfetti imposta un evocativo sound che a suo modo trascina la mente in prima battuta verso quanto da tempo proposto da Bill Frisell; poi ci accorge però che le strutture sono sibilline, contengono non solo la voglia di guidare l’ascoltatore verso gli orizzonti di scenario dei tempi di Hutton ma anche la voglia di proporre una visuale autentica: non sono solo narrazione dunque, c’è voglia di dare di più, mettere in relazione intimità e speranza: Perfetti costruisce perciò dei panorami sonori attraenti, creando connubi molto più forti delle semplici narrazioni e questo risultato è l’effetto di una bella scelta di sonorità condensate tra le corde della chitarra e le deformazioni dell’elettronica, “furti” di proprietà che vengono fuori da ore di improvvisazione e gestione sullo/dello strumento. Dolcezza, masse roboanti, granularità, vertigini sonore si propongono ordinatamente sullo sfondo del New York Portrait di Hutton, in una forma però che è nettamente svincolabile dai cortometraggi. E scusate se è poco.

Marco Napoli è un pianista romano che si propone di rappresentare in musica le virtù cardinali e teologali, attraverso un propria visuale operativa. E’ una strana funzionalità quella applicata da Napoli che se da una parte soddisfa l’idea che i parametri musicali sono i diretti convogliatori di un pensamento, dall’altra è anche sede di un anomalo schema di rappresentazione. Suonato naturalmente in piano solo, Virtutes si regge su materiali conosciuti della musica: gli accordi larghi e ripetuti, gli arpeggi dotati di tanta musicalità, le note centellinate e sospese, le strutture ritmiche che accompagnano temi variabili; l’anomalo (e dunque la differenziazione) sta nel fatto che i richiami sembrano proporre un pianista che vuole mettere in piedi un impianto classico con mezzi che appartengono ad altri generi (una sorta di radice pianistica jazz o rock), insomma Satie o i compositori francesi del primo novecento che si scontrano con Jarrett o Payne. Il problema di Virtutes sta solo nella profondità degli elementi: se è vero che riesce a trasmettere un’ottima percezione della corrispondenza tra argomento e modalità della sua riproduzione, è anche vero che manca di un’elaborazione più acuta dei materiali, che è la difficoltà maggiore che oggi viene richiesta ai musicisti che vogliono evitare mediazioni stilistiche turbate dalla condivisione del gradimento.

 

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.