Chiunque faccia l’esperienza di visitare un giardino francese serberà certamente un ricordo particolare di esso: la percezione è quella di entrare in un’altra dimensione, non solo relativa al luogo ma anche a beneficio dell’olfatto e dell’aria che si respira. Colpiscono spesso le simmetrie dei giardini, la delicatezza delle soluzioni decorative e quello sfarzo dei colori offerti, che si presenta ai nostri occhi però con tanta modestia. Questa esperienza personalmente l’ho fatta a Versailles, ma in Francia esistono tantissimi luoghi per accorgersi del tentativo dell’uomo di disporre con compostezza della natura e di quanto sia importante, in definitiva, vivere il “verde”. La sua cura è anche effetto di una condizione culturale che si riconduce all’attenzione verso tutte le aree rurali: è proprio nei pressi di una comunità agricola a Tracy-le-Mont che il trio composto da Yoko Miura (pianoforte), Gianni Mimmo (soprano sax) e Thierry Waziniak (percussioni) si è esibito. In Live at L’Horloge trasmigrano tutti gli odori, le geometrie e le sensazioni appena citate: si tratta di una meravigliosa esibizione in cui è facile scorgere climax eccellenti e vibrazioni giuste, poiché quella sera si stabilì un’incredibile lettura sonora. Le idee compositive di fondo sono della Miura, anche se si lascia uno spazio enorme all’improvvisazione: come già sottolineato in passato, la Miura non è pianista che scende mai nel virtuosismo ma, al contrario, è efficacissima nel costruire trends sonori su cui tutti i musicisti possono inserirsi; le concezioni della pianista giapponese vanno evidentemente in altro senso, è un’impressionista che gioca sui colori, sull’emotività delle pause (qualcosa che è evidentemente stata assorbita nelle sue origini), sulle tinte esprimibili da accordi e scale, dove le note sono spesse sole, indifese, ripetute, ma a servizio dell’integrazione e dell’interplay con gli altri musicisti. Mimmo, quella sera, fu di un’istintività e creatività incredibile, tirando fuori dal suo sax plurime combinazioni di suoni ossequiose anche di quel contatto francese: suonò melodico, rigoroso, irrazionale, armonico conduttore di un regime dell’inconscio che attinge a quanto la musica è in grado di esprimere nella sua totalità sonora, con un sax in piena esplorazione; anche Waziniak ha contribuito benissimo alla buona riuscita di questa esibizione, lavorando sul “laminato” percussivo, sulle enfasi imbastite sulla musica e sulle libere poliritmie della libera improvvisazione. La suite in 5 parti di Drops è spettacolare, con i tre musicisti che danno un saggio di quanto valore può esserci nelle libertà musicali contemporanee: c’è un equilibrio notevole tra la misura, intesa come ponderazione degli interventi e i volumi, ossia quanto richiesto per vivere con pienezza l’esperienza musicale.
Uno splendido impasto timbrico è quanto si comprende in Busy Butterflies, il secondo duetto discografico tra Gianni Mimmo ed Alison Blunt, realizzazione di un concerto effettuato nella Chiesa di Santa Maria Gualtieri di Pavia nel maggio dello scorso anno. l’iniziale title track è improvvisazione sintomatica e programmatica: Mimmo fa scorrere il suo soprano su un paio di modalità, una elastica e l’altra stridula, una giocata sull’allungamento melodico ed armonico e l’altra in costante funzionalità multifonica; in contrapposizione la Blunt tira fuori altre sue due modalità, un’esposizione austera ai confini con il seriale e l’altra giocata sulle tecniche estese picchiettando e percuotendo le corde; sono venti minuti eccellenti di musica, che risvegliano pensieri di compiacimento alla vita e alla sua movimentazione e allo stesso tempo immergono nella profondità dell’arricchimento interiore dovuta all’arte vera. I due sono “farfalle impegnate”, quelle che intercettano l’ispirazione della Ravenoville Plage in Normandia, che sposta il baricentro verso lavorazioni sonore dal sapore barocco; si scuote un pò la memoria del jazz, la pittura e l’invariabilità del tempo, ma è in Humble sonata che si perde persino il controllo storico, perché le alterazioni temporali sembrano non avere né geografia né posizione: specifiche dialogicità ed estensioni lavorano per un’improvvisazione universale, in cui il barocco musicale si confonde con una tensione taiwanese. La relativa calma che introduce More than one turn (opportunamente spazializzata nella registrazione) è un espediente per riaffermare il principio che tutta la musica ha una sua logicità, è fatta di passaggi che svolazzano sui concetti, sebbene sia tutto improvvisato. Qual è allora il significato del “rimpianto” dell’oracolo? Per che cosa si lagna sommessamente nel finale? L’oracolo pronostica, ma sul “rimpianto” ci conduce a pensare che la sua pronunzia sia l’effetto di un’esperienza irripetibile della vita e senza retorica ci sbatte in faccia la bellezza e la riuscita del percorso appena fatto: Mimmo e Blunt l’hanno avuto quel percorso, viaggiando nell’improvvisazione con le proprie armi e a diretto contatto, come nella bellissima similitudine di movimento creata in termini descrittivi da Daniel Barbiero nelle note interne “…two butterflies maintaining distinctive tracks even while traveling in the same direction together….“.
Intendersi è una splendida causalità della nostra vita. È una cosa che nasce e si rafforza nel tempo, riuscendo gradualmente a mostrarci le cose sconosciute di noi stessi: la persona con cui ci relazioniamo agisce come un mezzo magico di trasferimento e allo stesso tempo riceve i sentimenti sconosciuti dell’altro. Questa relazione è più forte quando le due persone amano l’arte: Gianni Mimmo e Gianni Lenoci hanno condiviso la musica per 10 anni, la loro musica e quella degli artisti amati, lavorando con mezzi complementari in una comunione di arte astratta jazz, sensibilità artistica, coerenza. Ciò a cui Mimmo e Lenoci stavano lavorando, prima della prematura scomparsa del pianista, era una preziosa fusione di prospettive da sviluppare attraverso interventi liberi e vibranti sugli strumenti: The Whole thing è l’eccellente postumo dei Reciprocal Uncles, un luogo di prelibatezze musicali suonato in forma di suite, oltre 50 minuti in cui si avverte il patto implicito dei due musicisti, la loro particolare complicità, le evoluzioni strumentali incorporate in un risultato globale, un flusso intenso, differenziato, coraggioso, pieno di libertà: in pratica la rivelazione di quel trasferimento di cui si diceva prima, la verità incarnata nell’esperienza creativa. Attraverso lo scambio della composizione istantanea, i due musicisti si “leggono” l’un l’altro, rendono giustizia ad un sogno che è stato a lungo collegato ad una diversa interpretazione della musica e dell’arte: un’immensità che diventa immediatamente un patrimonio nobile e nuovo.