Consapevolezze e riappropriazioni

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Frank Gratkowski, Niederstetten, Concert 26 November 2014, Source Own work Author Schorle, Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International license

Alvin Schwaar/Bänz Oester/Noé Franklé ‎– Travellin’ Light, Leo Records 2020

«Un suono non possiede nulla, non più di quanto io lo possieda.
Un suono non ha il suo essere, esso stesso non è certo di sopravvivere, se così si può dire, al secondo che seguirà. Ciò che è strano, è precisamente che sia apparso, adesso, in questo preciso secondo. E che dopo sia sparito. L’enigma è il processo».
John Cage

Come ben ricorda Cage, nella musica il processo è il vero enigma legato indissolubilmente al tempo. Giovanni Piana nelle sua Filosofia  della Musica afferma: « […] Il suono passa, ma non invecchia. Finisce, ma non si distrugge. Il tempo è condizione, nel senso più forte, del suo esserci, come se il suono contenesse in se stesso il bisogno del tempo, saremmo quasi tentati di dire: come se il suo stesso esserci fosse fatto di tempo».

Il trio svizzero lavora su questi due concetti, tempo e processo. Per farlo curiosamente i tre propongono un progetto composto solo da standard che vengono riletti secondo precise modalità. Se il suono nel suo esserci è tempo dispiegato, l’essenza diventa questo trascorrere. Per I Have a Dream, brano di Herbie Hancock, in origine costruito su diverse polifonie dei fiati, Alvin Schwaar e suoi compagni procedono semplificando da e dilatando gli accordi, anche a livello ritmico, sviluppando la coppia tensione-distensione.
Un classico come All The Things You Are viene riproposto abolendo la tradizione ormai depositata su uno standard cosi percorso da molti, per un verso un’operazione che ci ricorda quella del pittore inglese Francis Bacon. «È quando la probabilità ineguale diventa quasi una certezza che posso iniziare a dipingere. Ma a quel punto, una volta che ho iniziato, come fare perché quanto dipingo non sia un cliché? Bisognerà eseguire prontamente dei “segni liberi” all’interno dell’immagine dipinta, per distruggere in essa la nascente figurazione e dare una possibilità alla Figura, che è l’improbabile stesso. Questi segni sono accidentali, “a caso”, ma è evidente che qui la stessa parola “caso” non designa più in alcun modo delle probabilità, bensì un tipo di scelta o di azione senza probabilità».
L’incipit del brano traccia dei segni sulla tela musicale quasi a liberarla dai cliché che vi sono depositati, dalle interpretazioni degli altri artisti. Pare di cogliere nell’estetica del trio la consapevolezza di indagare una via di fuga presente in ogni brano e di utilizzarla. Il brano Big Nick di Coltrane viene esautorato dalla sua anima blues scavando verso altre direzioni.
Un trio da seguire con molta curiosità in vista anche delle prossime uscite.

Frank Gratkowski/Simon Nabatov/Dominik Mahnig – Dance Hall Stories, Leo Records 2020

 Progetto quanto mai interessante, i tre si erano già incontrati su disco nel 2017 con l’album  Mirthful Myths. Un’improvvisazione radicale, libera, che ricorda una danza seguendo i due movimenti dell’avvicinamento e dell’allontanamento. Le forze che si spostano sono continue tra i tre musicisti. Come ci ricorda il filosofo Davide Sparti in Suoni Inauditi ci si muove sempre seguendo quanto si è costruito con una logica circolare, “ […] il jazzista non suona ciò che pensa di suonare ma risponde a ciò che avrà fatto accadere. Ogni atto successivo entra in dialogo con, definisce e ridefinisce retrospettivamente”.
I tre protagonisti si ascoltano attentamente, ognuno si inserisce, raccoglie frammenti sonori, sviluppa o recede da ciò che era in potenza nel precedente momento. Gratkowski pare trascinare fortemente il pianista (Hopeful Glances). In It’s All in The Hips la batteria si interpone spezzando la conversazione decisa, decisa di piano e sassofono. Gratkowski instaura una competizione con il piano passando al flauto in Slinky: ottime coloriture  e fraseggio. Un ottimo esempio di ciò che significa improvvisare con gioia.

Nucleons. Franziska Baumann/Sebastian Rotzler/Emanuel Künzi – Hunting Waves, Leo Records 2020.

Franziska Baumann, cantante e ricercatrice musicale, si presenta in compagnia di Sebastian Rottzler al contrabbasso e Emanuel Künzi alla batteria.
La voce trascina il trio muovendosi sinuosamente tra le sue enormi possibilità. L’artista svizzera disarticola la voce per esprimere il canto, come ricorda Giovanni Piana nelle sua Filosofia della Musica, “ […] il canto non è altro che l’eco di un urlo. E in questa risposta vorremmo condensare le nostre considerazioni precedenti. Abbiamo parlato infatti della necessità che si stabilisca una distanza, che si operi una desoggettivazione che sia capace di liberare dalla voce il suo suono in modo da rendere possibile la dimensione dell’ascolto. Ed è questo anzitutto che realizza la voce in eco: il fatto che di essa io mi possa riappropriare, che io possa in qualche modo assumerla ancora come «mia», è diventato ora irrilevante. In essa, né io stesso né un altro si esprime: la voce in eco è invece una voce senza soggetto, una voce impersonale, e anzi, non più voce, ma suono che io ora finalmente ascolto”.
La voce in eco diventa senza soggetto, la cantante opera con growl, ondulazioni, fioriture in un flusso continuo senza tagli o sovraincisioni come indicato nell’album. Rottzler e Künzi procedono affascinati dalla trasformazione del suono del loro strumento in rumore. Un ascolto folgorante, inatteso.

Vladimir Kudryavtsev/Fred Costa/Gregory Sandomirsky/Piotr Talalay – Quartet Red, Leo Records 2020.

 Il combo, inizialmente nato come trio nel 2015 dopo una serie di concerti a Parigi, si trasforma nel 2018 in quartetto con l’aggiunta di Piotr Talalay alla batteria. Il blues è il filo conduttore del progetto che si ascolta prepotentemente in Outta Town e che esprime la sua voluttà in Rush Our Beauty e in When Bars Are Closing, in cui Costa canta con un un timbro rauco e pastoso che non può  che ricordare Tom Waits.
Le Influenze si muovono da un avant-jazz che unisce blues a echi di hard-bop. Il quartetto trascina lunghe ed entusiastiche progressioni (Where in The Station?), ma che alla fine si chetano per giocare con la melodia accennata dal piano, pronta a raccontarci un’esposizione ordinata di concetti.
Il pensiero corre veloce alla New Thing  degli anni ’60, il gruppo ne sembra intimamente legato, Costa brucia di passione e produce vortici ruvidi con il suo sassofono. L’atmosfera è pregna di venerazione per l’Art Ensemble Of Chicago, con un’amore per la performance teatrale che mischia voce, testo, teatro, sperimentazione, raccontando e confondendo la storia del jazz. Ascoltate il blues di chiusura, Farewell Cocktail, cosi divertito e faceto che opera una parodia di sé stesso.

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Nicola Barin è un appassionato di musica jazz e di cinema. Dal 2008 sino a Dicembre 2017 ha condotto il programma di musica jazz "Impulse" per l'emittente radiofonica Radio Popolare Verona. Dal 2016 conduce, per la radio web www.yastaradio.com, il programma di musica jazz "Storie di Jazz". Collabora inoltre con i magazine on-line: www.jazzconvention.net, www.distorsioni.net, www.traccedijazz.it e con la testata giornalistica www.sound36.com. Scrive inoltre per il sito della rivista musicale Jazzit, www.jazzit.it. In passato ha stilato diverse interviste per la testata giornalistica on-line Andy Magazine confluite nel progetto "My Life/My Music", curato dal critico musicale Gianmichele Taormina, che indagava i protagonisti del jazz italiano.