Il Giano è un dio che esibisce due facce speculari, una che guarda indietro e l’altra avanti. Sebbene non ci sia una certezza piena sulle origini di questa figura, è certo invece che furono i Romani ad utilizzarla nell’antichità: comparse nei discorsi degli uomini come figura simbolica per incoraggiare il movimento e la relazione tra passato e futuro, poi acquistò rilevanza al punto di comparire nelle monete, nell’arte e nella rappresentazione simbolica di luoghi (porti, passaggi, archi, etc.) e paesi. Oggi, la sua limpida osservazione suscita sensazioni contrastanti, perché se da una parte spaventa l’innaturalità della connessione dei due volti, da un’altra emerge un segnale potente, di una società che persiste e che aderisce ad un principio di continuità: coloro che sono particolarmente attratti dalle forme del sapere e dalla scienza sacra posta in essere dai popoli antichi, trovano in questa figura pane per i loro denti, percependone persino una valenza metafisica. Francesco Cusa, scrittore e musicista di cui in queste pagine ho sempre evidenziato le specificità, è certamente uno di quegli uomini che può essere ricompreso in coloro che sposano l’interesse per la cosmologia o l’esoterismo spiegato in modo scientifico ed in connubio con la musica e basterebbe andare sulla sua pagina facebook, costantemente aggiornata di letture e considerazioni, per rendervene conto. La musica ne è stata investita tramite il jazz, modalità d’espressione che invero poco si prestava a questo tipo di congiunzioni, ma che Cusa ha sfruttato mettendo assieme pezzi trasversali del jazz, curandosi di aggiornare anche il carattere letterario della scoperta, portato spesso nei concetti dell’antinomia e fugando la saggistica che pesca nel fantastico, nel finto o nell’assurdo. Se la musica jazz ha un umore, può accogliere anche questi significati.
Il doppio cd che Francesco ha appena pubblicato è un Giano bifronte di due formazioni: la prima (forse quella che guarda al passato?) è sostanzialmente un quartetto con il contrabbassista Ferdinando Romano, il sassofonista Giovanni Benvenuti e soprattutto con il compianto pianista Gianni Lenoci, grande amico di Cusa, a cui questo cd viene dedicato con poesie appositamente scritte per lui; dall’altra (quella che guarda al futuro?) il quartetto si forma con gli Assassins, sempre con Romano e Benvenuti, ma con Valeria Sturba a voce, violino, theremin ed elettronica leggera. Appositamente ho inserito delle domande in parentesi, ma avverto che non hanno risposta perché devono funzionare anche al contrario: chi può rilevare quale dei due esperimenti musicali sia più “moderno” dell’altro? Anche la musica non vi darà nessuna mano alla risoluzione: quello di Cusa è un post-bop jazzistico che spesso alza il livello delle sue caratteristiche di astrazione. Fondamentalmente sembra di assistere ad un incrocio tra il Pithycanthropus Erectus di Mingus e l’Heavy sounds di Elvin Jones & Richard Davis, ossia tra il Mingus meno blues e le esalazioni di Jones dovute al lavoro sui piatti; è lo stile di Cusa, che ha affrontato molti argomenti sul suo cammino con questo stile e che continua ad oscurare gli umori come fece nel suo ultimo trio “distopico” con Lenoci e Martino. Lui si muove sull’esatta dinamica del ritmo, scandendo implacabilmente i tempi e lasciando a Lenoci lo spazio per muoversi sulla tastiera con ricerca di soluzioni. Qui i compiti di Gianni erano anche di incartarsi volutamente sulle note e provocare lo sviluppo dell’interplay nello spazio musicale.
Gli argomenti condivisi con The Uncle e The assassins stavolta coinvolgono anche l’antropofagia, la cospirazione, la farmacologia e colgono un riferimento al Dr. Akagi, personaggio decadente di un libro che proviene dalla letteratura giapponese degli anni cinquanta (Sakaguchi Ango), in cui si narrano le storie di un disturbato dottore che è ossessionato da una malattia al fegato. E’ un testo che vi apre culturalmente altre porte e che potreste approfondire non solo con il film di Imamura Shōhei che ne ripropone il contenuto, ma anche leggendo la letteratura giapponese setsuwa, ispirata agli aneddoti buddisti diventati popolari nel medioevo: sono storie con trama ed azione guidata, con elementi narrativi a sorpresa che hanno anche un valore educativo. Nel cd con gli Assassins, la relativa traccia che si riconduce al Dr. Akagi è nelle mani di un arrangiamento lussuoso e distraente, poiché Benvenuti e la Sturba producono un notevole arricchimento delle situazioni musicali; mentre il primo mostra un’eleganza e pulizia di suono a servizio di un jazz che spesso si spinge in territori più free, la seconda è l’asso nella manica di Cusa, perché rilancia le strutture vocali, rende caustici i dispositivi elettronici, crea temi o membrature ritmiche con le sovraincisioni della voce, nonché ad un certo punto esibisce persino un campionario di vocalità aperto alla sua modificazione: è gospel, angelico, urlato drammaticamente come una Medea, avanguardista alla maniera di un Voice Piece di Yoko Ono.
In The Uncle (Giano Bifronte) Cusa vi ha offerto un giardinetto di cultura e di musica. Sappiatene prendere i frutti.