Stefano Travaglini, pianista di formazione classica e compositore, ha dalla sua la visione completa che dovrebbe avere ogni musicista che voglia fregiarsi di questo titolo. Il progetto Monk. Fifteen Piano Reflections, uscito per le Edizioni Musicali Notami, riflette quindici brani di Thelonious Monk. Usiamo il verbo riflette perché l’intento non è di tipo interpretativo ma più complesso. Il filosofo Friedrich Schleiermacher nel suo testo L’ermeneutica ci ricorda che interpretare un’opera significa “ […] comprendere il discorso anzitutto altrettanto bene e poi meglio di quanto non lo capisse l’autore stesso”.
Siamo certi che questa sia la strada? Più che comprendere, il pianista si muove da uno scarto, da una lacuna presente nel pensiero musicale monkiano, che riesce a sviluppare secondo la sua direzione. Ciò che ascoltiamo non è la rilettura/l’interpretazione o un nuovo arrangiamento dei classici monkiani ma un vero e proprio progetto, nuovo, inedito, emozionante.
Reinventare la musica partendo da una materia già presente. La traccia Straight No Chaser è emblematica, pura creazione con armonia e melodia che si scindono seguono due strade autonome. Troviamo influenze classiche nell’intero album (Shostakovich, Ravel, Ligeti…).
Non si tratta di analizzare le influenze classiche o jazzistiche del progetto ma bensì di guardare oltre, questa volta evitando etichette, steccati, provando a non intrappolare questo flusso musicale in un concetto che lo limiterebbe.
Terzo progetto per i Runcible Quintet, e dopo Five (2017), Four (2018), giunge Three (FMR Records, 2020).
Registrato live a Londra con l’oramai rodata formazione che comprende: Neil Metcalfe al flauto, John Edwards al contrabbasso, Marcello Magliocchi alla batteria, Daniel Thompson alla chitarra acustica e Adrian Northover al sassofono contralto e soprano.
Una chiara impronta che unisce libera improvvisazione, a volte risolutamente introspettiva, che fa risaltare le dinamiche, i suoni parassiti, l’accumulazione forzata che non ha paura di esimersi da raccontare una storia o abbozzare un logos da seguire. Chitarra e flauto determinano quella capacità di introversione dilagante. Magliocchi gioca con la batteria come se fossero percussioni singole, una batteria “senza organi” giocando con la famosa espressione del drammaturgo Antonin Artaud “corpo senz’organi” e ripresa dal filosofo Gilles Deleuze. Le percussioni sono fluttuanti ogni pezzo del set viene pensato dal batterista italiano come singolo, che possa produrre suoni e rumori svincolati dal classico approccio che pensa la batteria come un’entità includente. Edwards è un contrabbassista impareggiabile e di carattere e si trova a suo agio tra il sassofono sfuggente di Northover e la chitarra impalpabile di Thompson.
Speriamo arrivi il progetto Two.