Decessi importanti nella musica nel 2020

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Photo Schorle, Concert of Lee Konitz and Florian Weber in the "Red Saloon" of the Deutschordenschloss Bad Mergentheim,CC BY-SA 4.0

Un pensiero su alcuni musicisti o compositori scomparsi nel corso del 2020.

31 Marzo – Zoltàn Peskò
Direttore d’orchestra particolarmente vicino alla composizione italiana per motivi di lavoro, Zoltàn Peskò è stato, tra le altre cose, il tramite esecutivo di alcuni lavori di Dalla Piccola, Maderna e Donatoni, ma io serbo un ricordo più forte per la direzione degli otto concerti per orchestra di Goffredo Petrassi, di fronte alla BBC Symphony Orchestra, versioni prima viniliche che poi trovarono una sistemazione globale nel 1996, in 3 indispensabili cds della Fonit Cetra. Il sesto, settimo ed ottavo concerto di Petrassi sono dei capolavori misconosciuti, la cui valutazione non può prescindere dal lavoro svolto da Peskò in fase esecutiva.

15 Aprile – Lee Konitz
Intorno a Lee Konitz è passata molta storia del jazz e lui stesso ha contribuito a scriverla, intuendo che era possibile uno sviluppo differente basandosi sul timbro, sul fraseggio e gli avvicinamenti alla terza via. Anche se oggi sembra un pallido ricordo, va detto che il cool jazz a fine anni quaranta è nato con lui e si deve a lui il fatto che intere generazioni di musicisti jazz hanno impostato un proprio stile prendendo come base della loro espressione quel fraseggio delicato, a tratti morbido e rassicurante di Konitz. I duetti di metà sessanta tra il suo sax alto e tanti altri strumenti è eredità che tutti dovrebbero scoprire, anni in cui fu anche uno dei primi sassofonisti a sperimentare con l’elettronica. Per me è stato un “influente” della musica, un creatore di stile. Una grande perdita.

20 Aprile – Richard Teitelbaum
A Richard Teitelbaum si possono attribuire diversi primati: pioniere dell’elettronica nell’improvvisazione con MEV, pionere della brain-waves music, sperimentatore di soluzioni particolarissime con la materia dello shakuhachi, dei moogs di tutte le dimensioni, dei pianoforti digitali e di tutto ciò che è ruotato attorno all’elettronica e ai computers applicate alle tastiere negli ultimi quarant’anni. Ancora oggi i duetti con Braxton hanno un fascino immacolato nonostante gli anni, soprattutto i Times Zones, che rimandano ad un periodo dove l’intelligenza e la bellezza delle idee e delle soluzioni musicali venivano fuori incontrastate. Una prospettiva differente ed unica quella di Teitelbaum.

21 Aprile – Florian Schneider
Quanta intelligenza ha regalato quest’uomo alla musica. Una parte più minimalista, benefica, di un flauto che gioca sui ritmi, quella di Ruckzuck, Klingklang, Autobahn e una sperimentale, dove dal traverso e dal vocoder si ottengono nuovi bassi (Kristallo). In tutti e due i casi, appigli melodici per un sentiment popolare dell’elettronica. Poi, una delle voci dell’anatema di The Robots.

14 Giugno – Keith Tippett
Il nome di Keith Tippett è stato piuttosto ricorrente nelle pagine di Percorsi Musicali. Il motivo sta nel fatto che Keith è stato uno dei sostegni più puri dell’allora nascente jazz-rock inglese. Intorno a lui si è radunata immediatamente la crema artistica del genere, da Elton Dean a Marc Charig, da Hopper a tutti i membri dei Centipede, quest’ultimo posto eclettico, dove unire musicisti e tendenze diversificate (dalle novità delle cantanti improvvisatrici come Julie Tippetts o Maggie Nicols al jazz sudafricano di Pukwana o Mongezi Feza). Questa è indubbiamente storia che ha ancora tanto da dire all’ascoltatore, ne sono certo.
Tippett portò avanti anche un bellissimo progetto solistico, quello del Mujician, quattro volumi di piano solo che sono candidati naturali per diventare oggetto di studio e approfondimento sullo stile del pianista, che contemporaneamente stimolò le stesse idee in un gruppo con musicisti come Paul Dunmall, Paul Rogers e Tony Levin. Tante collaborazioni, tra cui quelle con Peter Fairclough, Andy Sheppard e Howard Riley, forse l’unico pianista che gli stava pari, poiché anch’egli con visuali ampie, ossia prendere il jazz e spingerlo verso i confini dell’improvvisazione libera e della sperimentazione.
In Italia era molto ben voluto, soprattutto in Puglia, dove veniva spesso per incontrare musicisti amici e per offrire un saggio della sua bravura ove gli venisse richiesto. Gianni Lenoci, nei suoi seminari, lo tenne ospite di un concerto nel 2013 al Conservatorio di Monopoli, un concerto che è stato reso disponibile sulla rete youtube grazie a Luisa Tucciariello. Con la dipartita di Tippett si perde uno dei più intraprendenti interpreti del pianismo pensato come improvvisazione totale, un concetto che erroneamente si pensa faccia parte solo della cultura musicale degli anni settanta: Tippett lascia libertà, competenze e soundscapes dell’improvvisazione che sono eredità di tutti.

01 Luglio – Matthias Kaul
Kaul è stato l’interprete migliore delle composizioni alle percussioni di alcuni avanguardisti americani (soprattutto Tenney, Wolff e Lucier). Sperimentatore ed inventore puro, Kaul ebbe modo di formare un bellissimo organico dalla filosofia orientale chiamato L’art pour l’art e di mettere in mostra, in un cd per Hat Hut dal titolo Solopercussion (1999), i suoi studi sulla musica tradizionale di molte tribù dell’Africa centro-orientale nonché le sue invenzioni sui timpani, cimbali e strumenti indiani votati a nuova funzione.
In particolare diede speciale rilevanza alle combinazioni percussive ricavabili dalle biciclette, anche opportunamente preparate, proiettando nuove tecniche ed amplificazioni per risultati che sono ancora unici allo stato attuale.

25 Luglio – Peter Green
Negli anni ruggenti del British Blues (i sessanta) il chitarrista Peter Green rivestì un’importanza vitale. Membro dei Fleetwood Mac, un gruppo spesso troppo intento a replicare la metodologia del blues, Green cercò di spezzare quel conservatorismo con operazioni dotate di una più ampia libertà d’azione. Di fronte a tanta insulsa accademia, Green servì pezzi come Black Magic Woman (che poi divenne un cavallo di battaglia di Santana), Rattlesnake Shake, Oh Well e The Green Manalishi, dando spessore ai live del gruppo (per una puntuale dimostrazione di questo vi invito a rivolgervi ai due Live in Boston, pubblicati postumi per Snapper M. con registrazioni del 1970). Quell’anno Green registrò anche il suo primo album fuori dal gruppo, un lavoro che resta ancora oggi tra le pietre miliari del blues: The end of the game proponeva nuove soluzioni per l’epoca, che strizzavano l’occhio a molte cose: certi pensieri progressivi di Zappa e della radicalità dei gruppi non conformisti del rock, il free-jazz, la jungle fusion di Miles Davis, la sperimentazione sui suoni e su forme di blues avanzato. Con una copertina “ruggente” che ha fatto epoca e una registrazione riuscita, con tanto di spazializzazione, The end of the game è stato uno dei tentativi più riusciti di portare il blues in territori che coniugassero il senso del genere (la sofferenza!) con un’ampliamento delle soluzioni strumentali. Non sono mai stato d’accordo con chi vedeva in questo album riti, orrori o cattiverie varie…la storia ha dimostrato, poi, che esistevano da altre parti. Green ha sempre lottato nella sua vita per raggiungere una stabilità psicologica e questo non gli ha permesso di mettere su una carriera artistica che in maniera costante gli producesse un risultato, ma era figlio di una generazione che credeva che la musica realmente avrebbe potuto cambiare il mondo.

15 Settembre – Paul Mefano
Mefano era compositore che Célestin Deliège sistemava tra gli emergenti degli anni sessanta (assieme a Dutilleux, Eloy, Donatoni, Clementi, Luis De Pablo, etc. – tanto per intenderci sul suo valore). Ha condotto una battaglia notevole con l’estetica del serialismo, spesso in favore di architetture sonore più soggettive e che utilizzavano gli ausili elettronici ed informatici. E’ stato il fondatore dell’ensemble 2e2m, posto da cui sono passate tante opere di importanti compositori contemporanei. Tanto da scoprire in lui, per noi tutti.

17 Ottobre – Toshinoro Kondo
La figura del trombettista Toshinori Kondo è emersa nel free jazz giapponese degli anni settanta, in un trio dal nome Evolution Ensemble Unity, dove suonava già segmentato e complesso nel solco dell’ideologia di Derek Bailey. Di lì a poco si trasferì a New York dove ottenne un meritato successo entrando nel vortice sperimentale e schizofrenico della downtown newyorchese (suonando con Zorn, Kaiser, Chadbourne, etc.). Per chi ne volesse comprendere in qualche modo la filosofia musicale c’è un solo tromba del 1979 che consiglio (Fuigo From A Different Dimension), un Lp mai ristampato che si può ancora trovare grazie ai benefattori di inconstant sol. Poi prese una svolta definitiva aderendo ai ritmi e alla loro successione temporale (funk, rap, jungle, dub, etc.), dimensione che ha conservato fino alla fine. La storia dell’improvvisazione passa anche da lui. Life space death.

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.