Cinque in più per Perelman

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C’è una nuova cinquina di cds per Ivo Perelman, tra lavori già pubblicati e da pubblicare a breve. Si tratta di tre registrazioni in trio e due duetti, eventi che allargano il raggio d’azione ad etichette che non sono la Leo R., la label su cui abbiamo sentito Perelman per tanti anni. E c’è anche una novità nelle note interne dei cds, dal momento che non appare più Neil Tesser a favore di Jean Michel Van Schouwburg, uno spostamento “europeo” attuato nella logica delle considerazioni critiche, anche se non ho evidenza se esso sia definitivo o temporaneo.

I lavori pubblicati rientrano in un tris di registrazioni che festeggia i 30 anni di carriera e il raggiungimento dei 100 cds.
Per quanto riguarda il trio continua la fratellanza con Matthew Shipp. E non possiamo che essere contenti dopo quell’idea di separazione che serpeggiava qualche tempo fa. I due si ritrovano con il chitarrista Joe Morris per un’improvvisazione di studio tenutasi al Parkwest Studio a Brooklyn nell’aprile del 2018, che vuole essere un tributo personalizzato al mondo delle credenze e delle pratiche religiose che configurano passaggi spirituali: Shamanism (su Mahakala Music) è evidentemente suonato dai tre musicisti avendo in testa un’idea di collegamento musicale di massima da sviluppare nell’interplay; con una classe infinita, Shipp introduce l’esplorazione con 52 secondi di musica al piano solo (Prophets and Healers), che sembrano voler dire “ok…sei arrivato qui…adesso preparati, ne vedrai delle belle”. E’ la porta simbolica che apre alla title track e ad un microcosmo ribelle, con Perelman che si muove spezzettato e aculeo sui registri alti del tenore e Morris che scorre sulla tastiera della chitarra alla stregua di un meccanismo aritmico di propulsione; Matt segue il flusso con una processione di note seriali o clusterizza sui registri bassi. Si intuisce da questi elementi la voglia di costruire un proprio piano creativo, che per forza di cose deve essere vasto e mandare in corto circuito l’ordinario senso dell’armonia: Ivo è sempre stato molto attento al valore spirituale dell’improvvisazione, un valore che lui nasconde come un tesoro nelle pieghe della sua musica, in un modo che una persona dalle normali cognizioni musicali fa fatica a scoprire all’istante, perché c’è un filo logico da seguire. Le rapide evoluzioni dei tre musicisti durante tutta la sessione improvvisativa ci conducono dentro una visione personalizzata ed ortodossa di riti ed intermediari spirituali, quella che passa da un pool di suoni ideato per stare su certe frequenze e per cogliere la creatività del momento, un’espressione tirata fuori da un istinto umano che chiede comunque una comunicazione; la musica di Shamanism va dunque vissuta avendo ben in mente questa dimensione e tutte le varie formazioni casuali che si ripropongono continuamente in una veste mai uguale a quella del minuto precedente, sono strumenti di un viaggio che si offre libero alla sua intercettazione primaria (analisi degli eventi, interpretazione delle sensazioni e percezioni di una coerente corrente emotiva). Come in un libro aperto.

Se si guarda indietro nella discografia di Perelman si intuisce che il sassofonista abbia privilegiato nelle sue esplorazioni musicali determinati musicisti: per quanto riguarda la chitarra Morris è intervenuto in otto registrazioni (compreso Shamanism). Con Pascal Marzan, Perelman ha compiuto la sua prima eccezione, anche se non parliamo più di elettricità applicata allo strumento; in Dust of light/Ears Drawings Sounds (per Setola di Maiale) Marzan contrappone al sax tenore di Ivo la sua chitarra acustica a 10 corde, una chitarra però non incordata con il sistema di intonazione tradizionale, ma con uno microtonale, come ricordato anche da Van Schouwburg nelle note interne: “…Pascal’s tuning is allowing to play in sixth of tone, because as you know guitar frets are slicing one tone in two halftones…“. Come si svolge il confronto? Marzan usa tecniche estese per improvvisare: vibra sul ponte, usa manualmente oggetti in vetro che stoppano le risonanze delle corde, fornisce una segmentazione delle battute e si muove agilmente sulla tastiera con una ricerca casuale dei punti dove suonare; tenuto conto anche di alcuni scorci condotti più cautamente e di una dinamica che in generale trae linfa da configurazioni oscure dei suoni, non c’è dubbio che Marzan faccia pensare ad un Downland debitamente trasportato nell’odierno circuito della libera improvisazione; di fronte a questa novità Perelman affila tutte le sue capacità di immedesimazione, sostiene questo regno della frammentazione in grado di creare una sostanza dialogica e la sua sfida sta nell’interpretare i segnali che arrivano dal suo partner, cercando di offrire una risposta adeguata. Il pezzo d’apertura dal titolo Hot Dust Obscured Galaxies è emblematico di questa ricerca perché in esso è piazzato una sorta di sistema di messa a fuoco, qualcosa che si produce nella performance sotto forma di allineamento simulatorio su battiti o registri e che poi si disallinea lasciando che ognuno dei due musicisti prenda la sua strada. Sentite l’apertura e lo sviluppo di Calling at the Doorway, dove Perelman si produce con il suo sax in una straordinaria enfasi melodica, direi quasi a riprodurre le pretese e il tenue lamento di un gentil fanciullo: all’interno c’è una politica del suono a cui Ivo non aveva forse mai fatto ricorso ed è il posto concepito per scorgere le “polveri” di luce.

Un’altra eccezione all’utilizzo di Joe Morris sta in The purity of desire (su etichetta Not Two Records), dove Perelman suona con Gordon Grdina, un chitarrista dell’improvvisazione e del jazz dalle forti connessioni con le dinamiche musicali arabe e i relativi strumenti a corde. Non a caso Grdina qui suona l’oud, ma non si tratta di un duo, bensì di un trio, in cui è prevista anche una parte percussiva a completamento costituita da Hamin Honari, uno specialista del tombak e del daf, strumenti tipici della musica persiana.
Si dice che il sogno e il desiderio siano condizioni irrinunciabili della vita di un uomo e Perelman sembra voler affrontare la seconda di esse: la cover del cd lascia spazio ad un’interpretazione trascendentale del desiderio dal momento che sembra emergere la figura di un buddha e la titolazione dei brani fa di tutto per lasciarlo presagire; l’impostazione dell’improvvisazione ha forza d’urto e non è nuova per Perelman una filosofia sonora che entra in contatto direttamente con impianti di un linguaggio vernacolare: chi lo conosce bene sa quanto benessere Ivo abbia dato alla formula che incrociava il suo sax alle pendenze della sua terra d’origine, quando era solo ai suoi esordi musicali. In The Purity of Desire la confluenza si attua marcando l’espressività, come se la forza ascetica sia diretta conseguenza di una forza fisica: Ivo si muove con la sua solita disinvoltura su timbri e registri non accessibili e si adatta a modificazioni quasi costanti di quella sincope ritmica tipica dell’oriente arabizzato; sotto questo punto di vista Grdina e Honari sono quasi un tandem per le evoluzioni di Perelman, anche se il sincronismo ritmico non è certamente il loro scopo. Verso il finale, brani come Music from a Distant Drum o The Joy that Wounds esplicitano il contributo di Ivo ad una spettacolare esaltazione del rilievo dualistico tra esultanza ed esasperazione, tra celebrazione e mestizia della vita.

I lavori in attesa di pubblicazione ufficiale.

Perelman in trio con Shipp al piano e Whit Dickey alla batteria torna in Garden of Jewels (su Tao Forms, neonata etichetta condotta da Dickey) come risultato della clausura vissuta nella prima parte dell’anno a causa del covid. Ivo sottolinea che al momento della registrazione “…there was so much creative tension in the air… it was the first time that I came out of hibernation in my Brooklyn apartment, where I’d been focused on playing the saxophone for many, many hours every day while listening to ambulances and sirens outside and wondering what life was about. Matt, Whit and I came together and cathartically created music out of all this mess…” (note di Van Schouwburg).
Spesso mi sono chiesto cosa può succedere nella mente di un musicista che deve suonare davanti ad una catastrofe e molte volte mi viene alla memoria la scena del Titanic di Cameron, dove gli otto musicisti dell’orchestrina si complimentano orgogliosamente fra di loro suonando fino agli ultimi istanti disponibili prima della tragedia. Quanto preziosa è la loro compagnia? Non era anche quello un “giardino di gioielli”? Si, era infatti rappresentativo dello spirito di sopravvivenza dell’uomo. Certo è che funziona benissimo anche il giardino dei preziosi del trio, sulla consapevolezza di un percorso a gradini della sofferenza; c’è del jazz finissimo che si offre durante il cammino e tanta maestria strumentale che si confonde nell’improvvisazione e, giudicando gli apporti di ciascun musicista dopo vari ascolti, si arriva alla conclusione che Perelman è nettamente il protagonista della sessione, capace di far scorrere nel suo sax tenore cento anni di storia: rielabora il soffio di Webster, le veementi dinamiche di Ayler, i rischi tattici dei sassofonisti contemporanei, legandoli in una trama tutta sua (Amethyst è magnifica ed eloquente in tal senso). La sensazione che ho ricavato da Garden of Jewels è quello di uno scuotimento interiore, di uno strattonamento fisico, con punte di drammaticità meravigliosamente messe in musica (sentire quanto succede dopo il secondo minuto di Turquise). Ma allora qual è il coordinamento tra la constatazione di un’amara realtà e lo scenario del prezioso? Probabilmente il fatto di dar voce agli sfortunati ma anche a coloro che si prestano in favore degli altri: c’è emotivamente un suono per tutto, anche per un altruismo che Perelman cerca di far emergere in tutta la sua limpidezza. Questa è ispirazione del momento, è illuminazione che fluttua costante. Alla luce di queste considerazioni scatta anche un’ulteriore sensazione, ossia che qualitativamente Garden of Jewels sia certamente nei primi 15 albums più importanti della discografia del sassofonista brasiliano.

Il 12 Febbraio prossimo sarà ufficialmente disponibile Polarity, duo tra Ivo e Nate Wooley alla tromba (su Burning Ambulance Music). Capisaldi dei loro rispettivi strumenti, i due musicisti danno vita ad una scoppiettante dialogicità, sviscerata in 10 improvvisazioni libere accomunate dal senso della libertà d’espressione e dalla ricerca di simmetrie timbriche. In assenza di qualsiasi trucco elettronico, Perelman e Wooley esaltano le loro doti, la capacità di applicare tecniche estensive con facilità basandosi su ciò che è possibile fare con imboccature, tastiere, canali d’aria e gestione del fiato; direi che questa sessione è un modello scolastico, qualcosa che tutti i giovani musicisti, aspiranti improvvisatori, dovrebbero ascoltare soprattutto per comprendere in termini pratici cosa significhi formare una tavolozza espressiva. Ci sono molti momenti topici che si distinguono in Polarity: il vigore e l’efficacia con cui i due musicisti si producono in Five 5 e ancor di più l’intro di Eight o l’intera Nine Short, pezzi brevi in cui i due musicisti si inventano una situazione sonora, con Perelman che glissa e segmenta su un registro altissimo e Wooley che incastra l’intonazione della voce nell’emissione sonora.

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.