Aspetti funzionali e vie predittive

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Per Giuseppe Giuliano (1948) penso che non sia poi sbagliato poter parlare di ecletticità, dove questa qualità va specificata non tanto in un senso filosofico quanto piuttosto nell’atteggiamento verso i mezzi di produzione della musica: è un bravissimo pianista, ha basi compositive solide che vengono fuori dalla formazione contemporanea, ha lavorato come improvvisatore jazz e soprattutto è un esperto di elettronica e proiezioni del suono, particolarità sviscerata attraverso il prestigioso insegnamento, la direzione artistica e la programmazione di festivals segnatamente attenti a cogliere le proprietà di un periodo fortemente caratterizzato della musica. Molte delle sue pubblicazioni discografiche sono purtroppo passate inosservate per via di canali di distribuzione poco consoni (penso ai cds editi per Rugginenti, più sbilanciati nell’editoria musicale) e molta della sua attività è arrivata al pubblico probabilmente senza un’adeguata informazione, specie quando ha assunto la forma di collaborazione con altri musicisti.
In Giuseppe Giuliano, pubblicazione della Setola di Maiale, c’è la possibilità di ascoltare un pò del suo raggio d’azione musicale con composizioni o improvvisazioni recenti: la forma mentis di Giuliano è innanzitutto derivazione del pensiero dei newyorchesi classici del secondo Novecento (Cage, Feldman, etc.) e poi naturalmente dei primi eroi dell’elettronica (Stockhausen e Nono) e dei pionieri dell’improvvisazione libera sotto le limitazioni di un certo tipo di composizione (Franco Evangelisti e il Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza); il cd in questione raccoglie 4 aspetti funzionali del pensiero di Giuliano, ossia la composizione pura, la composizione acusmatica, la scrittura jazzistica e l’improvvisazione libera con l’ausilio elettroacustico (il live electronics in questo caso).
La composizione pura arriva con F, un omaggio a Morton Feldman commissionato dall’Ensemble Ex Novo per un’esecuzione al Teatro La Fenice, suonata per trio pianoforte-flauto-percussioni: la visuale di Giuliano non è smaccatamente immersa nelle simmetrie infinitesimali di Feldman, ma conserva tutto il candore dello stato ignoto sprigionato dalla musica dell’americano per casi simili (per quel tipo di trio il riferimento non può che andare a Why Patterns?, a Crippled Symmetry o alla più lunga For Philip Guston); le risonanze sono ampie, i clusters vissuti, non ci sono strappi ed è ottima la combinazione degli eventi sonori in successione, per merito anche della perizia dei musicisti coinvolti (del calibro di Orvieto, Ruggieri e Beneventi).
Let’s dance fuck art nasce invece totalmente in “laboratorio”, come manipolazione su danze popolari e su rituali di molte parti del mondo: il lavoro è svolto benissimo, salta nelle convenzioni senza retoriche e corrisponde un flusso di coscienza che è lontano da operazioni che tendono all’aggressività dei suoni. La discorsività è frutto evidente di un’idea a monte che privilegia una suggestione benigna nonostante tutto, come nel “mondo” di Lawrence Ferlinghetti a cui la composizione è dedicata, una somiglianza poetica che invito a scoprire in alcune delle righe delle provvidenze del poeta, determinate in The World is a Beautiful Place:

Yes, the world is the best place of all
for a lot of such things as […]
even thinking
and kissing people and
making babies and wearing pants
and waving hats and
dancing

Per White Jazz, Giuliano mette in comunicazione lo strumento tipico della musica afro-americana (il sax affidato a Daniel Kientzy) con chitarra, basso elettrico e le fluorescenze sonore di alcuni accordi di una tastiera synth modulata in funzione di organo, un espediente quasi pensante, che con amarezza e forza della documentazione si rivolge ai fatti di Stonewall riots del ’69. I modelli che vengono in mente sono quelli del third stream jazz di Gunther Schuller e di quelle propaggini del jazz piuttosto incastrate nei mezzi di una esposizione limitata in partitura.
Nei 5 brevi Jackson Improvisations, Giuliano è invece al pianoforte e condivide la libera interpretazione musicale con Giorgio Nottoli al live electronics; registrate all’Università di Tor Vergata, queste sono scansioni pianistiche strutturate che vanno alla ricerca di sonicità, di echi, flussi surrettizi e allungamenti sonori.
Ci si può affezionare facilmente all’opera di Giuliano, soprattutto quando si ritiene che sia ancora predominante l’ombra di certe propulsioni teoriche del secondo Novecento sul nostro secolo: se non ci sono più santi e filosofi a sostenerci, la musica di Giuliano può diventare quasi un baluardo imprescindibile.

Anche per Franco Degrassi (1958) andrebbe impostato un serio intento di rivalutazione. Per il compositore barese c’è un’esperienza di compositore e conoscitore di computer music, di improvvisatore elettroacustico fatta con musicisti qualificati, di divulgatore di musica acusmatica compiuta attraverso festivals specifici (il Silence, manifestazione organizzata dal 2004 che omaggia il repertorio acusmatico, è una sua creazione).
Degrassi era molto vicino al pianista Gianni Lenoci, con cui condivideva certe visuali sulla musica e Nothing, pubblicazione Setola che documenta una sessione di lavoro estiva a Monopoli, è l’occasione propizia per intercettare anche un lato piuttosto inedito di Gianni, sebbene i due abbiano già avuto degli incontri discograficamente rappresentati (nello specifico si tratta di un omonimo album dei due musicisti del 1998 e 16, cd registrato nel 2003). Per Nothing De Grassi non usa workstations o nastro, ma stavolta fornisce un supporto di live electronics su due lunghe improvvisazioni al pianoforte, quest’ultimo rivoltato e concepito nelle sue parti fisiche oltre che in quelle destinate normalmente alla tastiera. Dice Degrassi: “…in the summer of 2019 we recorded two long improvisation sessions using acoustic devices (piano and various sonorous bodies) and electroacoustic devices (classical and contact microphones, which sometimes also picked up sounds outside the studio, and a computer for the real-time processing of some piano sounds taken from an old Gianni album)…” (note di copertina di Nothing).
Nothing 1 è un esperimento tattile e spinoso, in cui si compiono attraversamenti a fasi, con dinamiche di accordi risonanti (non importa dove trovati), un sound spettrale e plugged, con qualche trasformazione lieve e tendenzialmente sempre in procinto di azzerarsi e perdere di volume; De Grassi usa anche delle voci in sussurro o bisbiglio per ledere la potente attrazione che solitamente si rivolge al pianoforte e alle sue azioni, ma direi che i due musicisti sono entrambi consapevoli di dover rappresentare una sorta di metafisica sofferenza, uno stato di assimilata pesantezza che da un senso asimmetrico delle sensazioni, qualcosa che si avvicina (con molte e volute lacune) alle identificazioni neurali della composizione newyorchese di Feldman, Cage o Wolff, tanto ben voluta da Lenoci.
L’intervento di Degrassi è il contrario dell’invasività, cerca di stimolare l’attenzione dell’ascoltatore verso l’engulfing sounds, verso piccole macchie sonore ispide che si intrufolano nel quasi silenzioso ambiente, come si verifica nell’ancora più sperimentale e dispersiva Nothing 2, dove Degrassi porta a compimento certe esasperazioni sonore solo nella parte finale: intorno al 35′ minuto l’elettronica si accartoccia su una ribattuta, prima di un nuovo silenzio sottrattivo di suoni.
In Nothing c’è un sospettoso sguardo al futuro, un’adesione probabile ad un relativismo filosofico del “nulla” visto in funzione di una possibilità artistica, la copertura di insiemi dell’immaginazione che possono darci informazioni oltre l’apparente inconsistenza della nullità vista proprio come entità fisica. Nonostante tante belle conversazioni con Gianni non ebbi mai l’occasione di parlare di questi aspetti, sebbene fossi convinto di una sua idea ben precisa al riguardo: il suo “nothing” era anche esperienza di vita e voglia di dare una consistenza a quella parola. Comunque sia, dal punto di vista musicale, qui c’è un duo fantomatico capace di regalarvi una splendida e fresca rugiada, un effetto di evaporazione che si fonda sull’incredibile perizia dei musicisti, in grado di far emergere il corporeo delle fonti sonore.

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.