Brass & Ivory Tales

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Il 12 gennaio scorso è stato il 60° compleanno del sassofonista tenore Ivo Perelman. Per celebrare l’evento, l’etichetta polacca Fundacja Sluchaj ha appena pubblicato un box di 9 CD che ritrae Perelman in duetti con 9 pianisti differenti, nove sessioni di improvvisazione registrate nei Parkwest studios a Brooklyn in epoche differenti comprese tra il 2014 e il 2021: si tratta dei pianisti Dave Burrell, Marilyn Crispell, Aruan Ortiz, Sylvie Courvoisier, Angelica Sanchez, Aaron Parks, Agusti Fernandez, Craig Taborn e Vijay Iyer.
Balza subito agli occhi la progettualità dilatata e pensata nel tempo e la mancanza di Matthew Shipp, che è il suo partner storico, comunque adeguatamente rappresentato in tante prove discografiche (non c’è nemmeno Karl Berger, l’unico pianista oltre a Shipp ad aver inciso con Perelman in duo). Su cosa si basa la scelta di Perelman? E’ un audace e personale selezione, funzionale alla sua musica e alla sua espressione, con grandi protagonisti del panorama del pianoforte jazz ed improvvisativo, particolarmente adatti per costruire “storie” differenziate sui due materiali costitutivi degli strumenti (da qui il titolo dato al box Brass & Ivory Tales) e per creare comunanza dei linguaggi in performance virtuose ed emotive.
Perelman ha fatto stavolta non solo una grande operazione musicale, ma anche un “favore” ai suoi partners, perché se si vanno ad analizzare le discografie dei pianisti coinvolti nella sua iniziativa, cercando registrazioni direzionate sul duo pianoforte-sax tenore, si intuisce che:
a) per alcuni di loro si tratta della prima discografica per tale tipologia di duetto (succede per Iyer, Taborn, Sanchez, Parks e Ortiz);
b) si innesca un raffronto con registrazioni passate o recenti (capita naturalmente per Burrell, Crispell, Courvoisier e Fernandez);
c) dal punto di vista della qualità dei lavori, l’esperienza dei pianisti con Perelman rappresenta per loro un picco che solo in sporadici casi può soffrire l’antagonismo degli altri prodotti discografici svolti in quella categoria collaborativa.
Ho cercato, dunque, di connettere le mie riflessioni su Brass & Ivory Tales avendo in mente anche questa pregressa condizione sull’ascolto ed invito i lettori a fare lo stesso per rendersi conto di come Perelman abbia scritto un nuovo capitolo di storia del jazz e della libera espressione. Ogni performance mi ha dato una sensazione diversa che ho cercato di evidenziare separatamente con il linguaggio mediato tra razionalità ed emotività: ogni tale ha un ambiente di realizzazione che ho segnato nell’incipit del commento.

1) Dave Burrell  –  capacità narrativa
Del pianismo di Burrell sono ben conosciute le tappe, soprattutto negli anni settanta quando era considerato uno dei migliori pianisti di free jazz. Burrell ha collaborato con molti sassofonisti ma sul tenore in duo i più navigati esperti di jazz non avranno dimenticato le concertazioni con David Murray a fine ottanta che segnavano una presunta rinascita dell’artista ed in particolare l’album Daybreak del 1989 (ricordo anche che Burrell nel 1999 incrociò le sue prestazioni jazz con il sax tenore di Odean Pope in Changes & Chances).
Bene, il lavoro di Perelman mi fa sospettare che il brasiliano abbia tenuto a mente nei suoi ascolti pregressi quantomeno Daybreak, con gli spettacolari assoli di Murray, ma questa sensazione va aggiustata con il clima della performance con Burrell, da cui emerge un senso della narrazione che mi porta invece dritto ai poemi della Lispector: quelle create da Perelman e Burrell sono vere e proprie volumetrie sonore, create con sapienti combinazioni di creatività istantanea; è un linguaggio che del jazz ha solo una radice minima, ma nel contempo non è nemmeno astrattismo puro, sono dimensioni plurime dove qualcuno porta lo sfondo di un tema e un altro predica il racconto (ancora un Perelman superlativo inventore). In due lunghe jam improvvisate emergono quelle paure, tensioni, incertezze o attenuazioni di spirito che sono propedeutiche al vissuto di un racconto.

2) Marylin Crispell –  brillantezza ed evoluzione
Sono molte le registrazioni della Crispell con sassofonisti importanti (la lista parte da Braxton e Berne ed arriva a Pouget e McDonald), ma con tenoristi del sax ci si imbatte solo nei due lavori fatti con Stefano Maltese (Red e Blue), lavori che però contengono il tenore all’interno di una pluralità di interventi ad altri registri e poi ancora, nel recentissimo dialogo elargito con il giovane Yuma Uesaka (in Streams), sassofonista tenore che però caratterialmente è l’esatto opposto di Perelman, più rivolto verso una ricerca parametrale dell’improvvisazione.
Tra Crispell e Perelman è già splendida musica nella prima traccia, una raffinata scultura jazz che si fa fatica a togliere via dall’ascolto, ma anche il resto è di alto livello: il Chapter Two si concentra sulla densità, con velocità pianistiche e variazioni di gravità in cui Ivo si inserisce con il suo incredibile fraseggio, soffiando forte come il vento; in Chapter Three la Crispell traccia un sepolcro di piano mentre Perelman ad un certo punto caccia un acuto che la mia memoria fa fatica ad attribuire allo stesso modo a qualcun altro; la Crispell scandaglia certe zone della tastiera ripetutamente e Perelman va in immersione solistica profonda, così come nel Chapter Four in qualche secondo ti sbatte tutta la gamma del sax come se fosse un elastico. L’uso di tecniche estensive, la bravura nel centellinare le note e la sensazione di un processo evolutivo della musica fanno di questa collaborazione profusa nel lontano 2014 una delle perle dell’intero box.

3) Aruàn Ortiz –  microbiologie
Del pianista cubano si mette subito in evidenza la capacità di fornire dei dettagliati quadretti espressivi: nel Chapter One si compone una situazione d’attesa grazie ad un suo ostinato che poi sfocia in una sorta di siparietto espressionista, quasi come assistere ad un Brecht che viene fatto fluire in una libera improvvisazione. Molta alimentazione pianistica arriva da ruminativi, oppure da passaggi realizzati sotto forma di cristalli sonori, tonfi o variazioni aritmiche, mentre Perelman impone la giusta legatura, svetta con il suo sax, mantenendo una costante dinamica espressiva.

4) Aaron Parks –  dinamiche del pensiero
Su Parks c’è un’inevitabile classicità delle forme da tenere in considerazione, che realizza indirettamente un filosofico e catodico approccio alla tastiera: nel Chapter One c’è un impianto melodico parecchio impastato di classico dove il sax di Perelman risulta tenero e desolato. Si propongono chiaroscuri, dinamiche del pensiero, con Perelman in grado di salire incredibilmente sulle note e di mostrare i progressi timbrici ottenuti da imboccature personali del sassofono: è microtonalità ottenuta in maniera naturale, con note volutamente non intonate alle convenzioni.

5) Sylvie Courvoisier –  moti caleidoscopici
Sul tenore la pianista svizzera residente negli Stati Uniti ha avuto modo di misurarsi in registrazioni con Ellery Eskelin (Every so often nel 2009) ed Evan Parker (Either Or And nel 2014), tuttavia sono convinto che la prestazione con Perelman abbia nettamente superato in fascino le precedenti menzioni. La Courvoisier è un incredibile stimolatrice sonora, che usa benissimo le tecniche estensive, dai tasti ribattuti agli attacchi che nascono dentro il pianoforte, dai giochi ritmici alle trame a due livelli (effettuate dentro e fuori il pianoforte); dal canto suo Perelman è eccezionale nel tenere i tempi veloci, tirando fuori dal suo strumento forme differenziate di rappresentazione. Il Chapter Five è fenomenale e i clusters, i concatenamenti, le pause selettive create in tutte le tracce, realizzano davvero un movimento caleidoscopico.

6) Agustí Fernández  –  modulazioni e muscolature
Il percorso artistico del grande pianista spagnolo è costellato di molti incontri con sassofonisti e i più importanti sono sicuramente quelli con i tenoristi. Lo scorso anno la Fundacja Sluchaj, la label condotta da Maciej Karlowski, ha ristampato uno degli “oggetti” più interessanti di Fernandez e della free improvisation di tutti i tempi (Tempranillo con Evan Parker) ma non vanno assolutamente dimenticate le collaborazioni con Mats Gustaffson (in Critical Mass nel 2005 e Burning the Lab! nel 2015). L’incontro di Fernandez con Perelman è arrivato nel 2017 ed è un antagonista dei lavori appena menzionati: mentre quelli possono essere considerati quasi degli esperimenti di laboratorio, il lavoro tra lo spagnolo e il brasiliano ha un inviluppo muscolare che si crogiola di tante sincopi.
Nel Chapter Three, Perelman è furioso e segue senza mostrare un benché minimo segnale di cedimento un flusso pianistico costante od orientato verso fraseggi che, nel loro insieme, sembrano voler accendere luci su una drammaturgia d’opera (sul tema Perelman ha già dato un saggio delle sue idee e capacità con Shipp – ricordate Callas?); nel Chapter Five, Fernandez scava nella cordiera interna del piano producendo stridori, veicoli timbrici perfetti da replicare per Perelman, che mostra una facilità impressionante sulle segmentazioni melodiche; nel Chapter Six sembra che Thelonious Monk si ribalti e Perelman agisce in velocità, quasi come nell’azione di un rapido insetto nell’aria, ma non c’è nulla di animalesco in queste sincopi espresse attraverso note addomesticate dopo ore ed ore di esercizio. L’ultima parte dell’improvvisazione procede con un tono più rilassato ma con i due musicisti che impongono personalissime modulazioni dei loro strumenti.

7) Craig Taborn  –   ebollizione
Una delle principali qualità di Taborn è quella di saper condurre l’improvvisazione in stadi di “accanimento” fisico: è capace di tenere in vita uno schema musicale muovendosi in ripetizioni ostinate, con una tensione che resta altissima in volumi e sensazioni; con Perelman questa circostanza la si ottiene immediatamente in Chapter One, al principio una sorta di esercito che si muove rapidamente in blocco; questo esercito prima si svilisce in un clima da test di laboratorio e poi, intorno al 20′, diventa espressione di furioso flusso musicale con accompagnamento vocale onomatopeico. Le atmosfere di Chapter Two sono incessanti e senza respiro, mentre in Chapter Three si intuisce una melodia jazz incastonata nel vibrato, con Taborn che offre una sponda a Perelman muovendosi su due accordi scuri; un eccezionale Perelman si ascolta sulle stratificazioni al sax, al 5’30” della Chapter Four, mentre nella Chapter Five a fronte di un’espansione del piano (quante mani ha Craig?), Perelman tira fuori stupefacenti acuti e dà vita a successive forme di contrasto.

8) Angelica Sanchez –  fantasie soggiacenti
Date le caratteristiche del pianismo della Sanchez, qui Perelman vive realmente una relazione musicale speciale poiché la sua performance si coordina su determinate prospettive: la Sanchez è capace di farci immaginare il piano come una circonvallazione, oppure il suo astrattismo è ricco di direzioni, a volte persino con una punta di magia (vedi quanto succede nella Chapter Four); Perelman esibisce a volte un graffiato unito a vibrato e a volte mostra splendide compensazioni della minor forza d’urto profusa dalla pianista. Nel Chapter Five Perelman si inventa quasi un lamento, lavorando sulle frequenze con calma e decisione, un esercizio tremendo ottenuto con tanta esperienza e conoscenza del suo strumento.

9) Vijay Iyer –  equilibrio ed accentuazione
Il pianismo di Iyer è noto per il tocco vellutato e per le strane turbolenze. E’ qualcosa che lo ha spesso portato ai limiti di una trasfigurazione jazzistica, con arpeggi e arricchimenti pianistici che sono polvere di stelle nutrici di un mistero (forse anche un mantra!). Perelman si muove in queste maglie come uno splendido equilibrista, con dilatazioni, accentuazioni, melodie sbiascicate e tratte al momento: nel Chapter One e Chapter Four i due musicisti si proiettano nella dimensione musicale allo stesso modo di due uomini che fanno una corsa su una scalinata, sono capaci di simulare le rispettive azioni, di lavorare sui batti e ribatti dei clusters, sul graffio ventilato dal sax e su molte altre estemporanee escursioni degli strumenti. Vere e proprie prelibatezze tecniche.

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.