Bisogna aspettare il 1997 per ottenere una monografia del compositore Friedrich Cerha, passato oggi a nuova vita (1926-2023). Eppure l’austriaco era già molto conosciuto sotto diversi profili, partendo dalla figura di liceale opposto alla resistenza tedesca fino ad arrivare ad eccellente direttore d’orchestra nei paraggi di Darmstadt e Donaueschingen. La monografia conteneva tutti i numeri di Spiegel, una serie di opere per grande orchestra o orchestra d’archi cesellata nel 1961, dal merito artistico e dalla capacità di mettere in evidenza l’unità del suo linguaggio. Di Cerha ci sarebbero da sottolineare tante cose: la sua provenienza di violinista, la laurea in filosofia, la partecipazione ai gruppi d’avanguardia culturale assieme a pittori e scrittori negli anni cinquanta, il suo impegno nel pontificare la scuola viennese di Schoenberg, Webern e Berg secondo però criteri aggiornati (assieme ad altri compositori viennesi, diventò un’impeccabile evoluzione che si meritò l’area critica della “terza scuola”). Sarebbe sbagliato anche che ci concentrassimo solo sulla parte orchestrale di Cerha o quella strettamente imparentata con il completamento di Lulu di Berg, poiché un approfondimento del compositore austriaco dimostra la sua competenza in materie come i quartetti d’archi, i cori, l’elettronica e alcune selezioni di chamber music; ciò che più resta impresso dell’austriaco è aver messo le mani su un tipo di serialità in cerca della “risonanza” e su una ricerca teorica del continuum sonoro, un’interesse che era anche condiviso da Ligeti. Cerha credeva nella “neutralizzazione” dei parametri seriali in favore di nuove densità e libertà da scovare nella stessa sostanza serialista. E non sono naturalmente mancati intrecci lirici mutuati dalle drammaturgie di Wagner che sono entrati in quel patrimonio rivalutativo della serie.
Imprescindibile opera del Novecento, gli Spiegel sono una conseguenza del pensiero di Norbert Wiener, matematico dall’apertura artistica, dove gli elementi vanno a sistema, si influenzano e si disturbano a vicenda, funzionano come specchi divergenti: direi che è proprio con Cerha che si cominciano a prendere seriamente in considerazione nella musica contemporanea i concetti della simultaneità e delle interazioni dei processi compositivi. L’immagine mentale è il veicolo dell’ispirazione, l’osservazione che diventa suono. Cerha era un compositore senza pregiudizi e dal libero pensiero.
Oltre gli Spiegel e in un’ottica di prima scoperta, consiglio di tornare sui quartetti d’archi nell’interpretazione degli Arditti e sulle stampe monografiche che la Kairos gli ha dedicato dal 2010 in poi e che in un paio di occasioni ho tentato di recensire cercando anche di fondare una ricostruzione estetica dell’artista (leggi qui e qui).
Un lutto importante che rimbalzava sulla veridicità della notizia già da qualche giorno sui social.
RIP