Secondo Miles Davis, Wayne Shorter raccontava storie splendide con i suoi sassofoni, mentre Courtney Pine affermava che si sarebbe dovuto inviare la musica di Shorter nello spazio con una sonda Voyager, come rappresentazione del suono del sassofono sulla Terra. Certo è che nel jazz, Shorter ha rappresentato una delle principali correnti formative del novecento, dopo Sidney Bechet e John Coltrane e pochissimo prima dell’avvento di Steve Lacy. Con lui c’è stata la sublimazione del melos, del “tone poem” nel jazz e dell’economia perfetta degli assoli. Tuttavia ho sempre pensato che fosse necessaria anche una revisione più seria della sua discografia complessiva, in virtù di progetti eccellenti purtroppo dimenticati e sottovalutati a favore di quelli più commestibili per l’audiance. Lo scrissi nel 2013, in occasione della pubblicazione di Without a net, una celebrazione del suo quartetto acustico inserito nel nuovo secolo, in un momento in cui si tiravano già le somme di una vita artistica. Per me non c’è mai stata storia tra un The all seeing eye e un Night Dreamer, tra un Odissey of Iska e un Juju. Se avete voglia di leggerlo, con quello che ho consigliato, potete andare a questo link: https://www.percorsimusicali.eu/…/wayne-shorter…/
RIP Wayne Shorter