Some thoughts on Peter Brötzmann

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Peter Brötzmann in concert with Steve Swell and Paal Nilssen-Love at Club W71, Weikersheim, in 2016, Source Own work Author Schorle, Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

Difficile formulare una sintesi brevissima su un musicista così importante nella storia del suo genere e della musica in generale. Peter Brötzmann è passato a nuova vita con coerenza e una purezza del pensiero proverbiale. Su queste pagine il suo nome è stato oggetto di numerose citazioni perché il sassofonista tedesco il suo stile lo aveva ritagliato così bene che era quasi impossibile imputarlo ad altri. Peter ha suonato tantissimo, è venuto molte volte in Italia, legato ad amici e fans e, come dimostra Markus Muller nel suo libro Free Music Production: The Living Music, è stato per molto tempo l’artefice dell’artwork dei propri dischi e di una subcultura del secondo novecento. Con una chiarissima visione politica e del sociale, Brötzmann ha rappresentato un’aspra e nobile configurazione dei modelli di diffusione musicale, incarnando precocemente un sentimento adulto di ribellione; riprendo quanto affermai in un passaggio di un articolo che si concentrava sulla sua produzione totale in duetti, allorché dicevo che:
“…a differenza dei grandi rappresentanti del sax (Roscoe Mitchell, Anthony Braxton, Evan Parker, etc.) Brotzmann non è andato a procurarsi nessuna teoria contemporanea, quantomeno in via diretta, ma ha sempre effettuato un percorso teso alla proliferazione degli effetti sonori di contrasto, dipinti espressionisti che cercano di sfidare chi li guarda, tramite pose o abbinamenti di campo non consueti: in tal modo Brotzmann ha reso il sassofono uno strumento per vagare sulla coscienza, fondare una ribellione controllata, mostrare le apocalissi dell’interiore in tutte le sue sfaccettature, compreso quella sessuale…” (da Trame contro timbri: Brotzmann, Leigh e l’improvvisazione in duo).

Nella sterminata discografia di questo straordinario interprete del jazz e della free improvisation ci sono una decina di solo (quasi tutti imperdibili), tantissimi duetti (una delle modalità migliori per capire bene il tedesco), ancora trii, quartetti e numerose aggregazioni che vanno dal sestetto ai gruppi di dieci elementi (con dischi storici come per esempio il sestetto di Nipples o l’ottetto di Machine Gun, talora convincenti anche sotto il profilo della forza fisica dei collettivi come successo nella sponda del Chicago Tentet). L’espressionismo di Brötzmann lascia un’ampia eredità, una modalità rough tutta da interpretare che ha già avuto molti sviluppi (pensate alla musica di Gustaffson o Stetson) e che ha costituito sin dall’inizio un coraggioso “estremo” della libera improvvisazione verso l’innalzamento dei livelli di energia da conferire alla musica. Con Machine Gun del 1968 si può senz’altro affermare che lì si trova il primo album di jazz che parlava la lingua europea, con uno scontro ideologico con le equivalenti libere espressioni inglesi ritenute da Brötzmann troppo tenere e weberniane (la chiamava English disease), così come solo recentemente si stanno rivalutando le credenziali di Schwarzwaldfahrt, la prima registrazione che intercetta il field recording nell’improvvisazione libera.
Frenetico, radicale, frammentato e saturo, la fisionomia musicale di Brötzmann ha colpito persino il campo classico, perché è indubbio che il saturazionismo dei francesi Cendo, Bedrossian o Robin, ossia uno dei più affascinanti flussi concettuali della musica contemporanea degli ultimi vent’anni, abbia un debito con lui.
Le pulsioni di Brötzmann sono le rughe del nostro tempo, le abbiamo davanti a noi, tutti i giorni!

RIP Peter Brötzmann

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.