Conflitti, dadaismi, resistenze

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Un tris di novità discografiche della Setola. La musica proposta da Giust ha un gran gusto nel saper collezionare artisti che hanno una loro coerenza e scavano in una certa direzione culturale. Qui mi occupo di darvi qualche informazione sull’Istant Duo (Cristofolini-Plaickner), su I Paesani pugliesi con Gunter “Baby” Sommer e sul trio Valencia-Pascolo-Giust.

Spesso mi sono chiesto se nell’improvvisazione esista una filosofia dell’azione, ossia la produzione di note e gesti in grado di andare in circolo senza un collegamento celebrale. E’ qualcosa che ha a che vedere con gli istinti, con la corporalità senza assunzioni. La storia insegna che una teoria intuitiva di un fare filosofico-pratico, elevato a sistema, veniva per esempio rivendicata da Gandhi nelle pieghe di un piano di moralità dalla difficile gestazione degli esiti; un’altro, poderoso esempio, arriva da tutto l’attivismo politico di oltre un secolo, istintivo e spesso conflittuale, come aveva intuito Marx tanto tempo fa, conscio delle trasformazioni e dell’impossibilità di tenere equilibri sui fattori della produzione economica se non ricorrendo in ultima analisi alla ribellione. Negli anni della maggior pressione esercitata dal comunismo in Italia, l’istinto politico prese vigore anche nella cultura cinematografica con registi militanti come Ugo Gregoretti, Bernardo Bertolucci, il pool di registi di L’Italia con Togliatti (tra essi Maselli, i fratelli Taviani, Zavattini), Ettore Scola e altri ancora, dove le documentazioni filmiche venivano accompagnate da musiche che potessero esprimere altrettanta lontananza dagli stereotipi o standard musicali: fu anche il caso di Apollon, Una Fabbrica Occupata, il cui accompagnamento sonoro venne dato al trio Schiano-Melis-Cristofolini.
Il lungo preambolo sull’istinto musicale e politico è una giustificazione informativa che è necessaria per ben affrontare la pubblicazione di un Lp dove riappare proprio Marco Cristofolini, batterista e polistrumentista conosciuto anche per essere parte fondamentale del quartetto NADMA, esperienza sperimentale totalmente dimenticata dalla storia, che registrò un leggendario album dal titolo Uno zingaro di Atlante con un fiore a New York nel 1973. Sembra che Cristofolini fosse un tipo molto stravagante, che se ne andava in giro con un camioncino colorato e una gabbia di galline sulla cappotta, ma allo stesso tempo era anche un ottimo musicista, capace di suonare qualunque percussione, sana o deteriorata che fosse. La direzione musicale di Cristofolini è quella di uno sperimentatore che ha davanti a sé un’ottima materia prima, un incredibile ventaglio di tamburi e piatti su cui agire con la massima libertà d’azione. Si diceva di un nuovo Lp, che è il risultato di una seduta improvvisativa con suo figlio, il pianista Julian Plaickner, musicista e fisico a Berlino, che recentemente ha formato un bel live act con il sassofonista Thomas Pertzel: l’Istant Duo, ossia la nomenclatura specifica data a questo duo padre-figlio, segue le linee di un free jazz sui generis, con una valenza sonora che appartiene a cose di un periodo che già cinquanta anni fa si considerava alternativo agli standard, in poche parole ciò che era avanguardia.
In Centro Distopici Permanente si avverte l’autonomia degli interventi, si paventano con molta difficoltà modelli (forse qualcosa discerne dal Coltrane cosmico e da Sun Ra) e lo svolgimento della musica segue le direttive di una free form che ha la capacità di comunicare, è empatica ed autentica. Le configurazioni sonore sono invenzioni che mirano ad una politica della fragranza dell’oggetto sonoro ma non disdegnano talvolta esigenze ritmiche e timbriche del momento e in questo disegno astratto e rivolgente, di cui si vuole dar conto allo stesso modo con cui Rishi Narada dovette prendere atto della mancata conquista dell’arte, ognuno dei due musicisti porta contributi aggiuntivi sugli strumenti, con Cristofolini che usa il flauto in Sintomi di moderata follia e il violino in L’arrivo di mia zia, mentre Plaickner usa il rhodes in Il decimo pianeta e Viaggio verso Nibiru. In Nitruro di gallio e indio c’è la fusione dei mezzi, con un tam tam opportunamente opacizzato dall’amplificazione che si confonde con i tocchi sulle corde interne e la scocca del piano, mentre una mano lancia accordi dalla tastiera con l’effetto di risonanza del pedale. C’è un suono precipuo qui: percussioni evolutive come impianti in funzionamento, pianoforti con una scordatura lieve e la sensazione di essere in piena sintonia con l’arte.

Tra il 2013 e il 2017 ho avuto la fortuna di conoscere Noci e Ruvo, cittadine della provincia di Bari in cui si celebrava l’improvvisazione libera in Puglia. Quel periodo fu testimonianza di una nuova congiunzione tra vecchie e nuove generazioni di musicisti, forse anche ignare di una saldatura tra visuali differenti perché la old generation dell’improvvisazione pugliese era cresciuta con il jazz e le esperienze radicali europee ed era più resistente alle assimilazioni del rock, del pop o della world music: le sessioni bellissime di Noci furono comunque incontri integerrimi di improvvisazione libera che invitavano ad una convergenza erga omnes di scopi ed intenti musicali e non guardavano certamente ai modelli di riferimento di ciascuno dei musicisti. In quelle serate conobbi molti artisti, tra cui la quasi totalità del gruppo di I Paesani, composti da Vittorino Curci, dai fratelli Gianni e Donato Console, da Pierpaolo Martino, Valerio Fusillo e Loredana Savino, tutti avidi e qualificati ascoltatori di musica con specificità singole, pronti ad aprirsi a qualsiasi tipo di nuova esperienza interattiva (Curci era un poeta, Gianni Console era innamorato del parossismo del sax mentre suo fratello Donato lo era forse del prog flautistico, Martino era invece un bravissimo, eclettico contrabbassista); va detto che recentemente i Console avevano intercettato il compianto Brotzmann suonando insieme a lui, con una documentazione su CD sempre per Setola, mentre lo scorso anno l’ospite di turno fu Gunter “Baby” Sommer.
Non so se ci poteva essere un modo migliore per elaborare una collaborazione con il batterista tedesco, ma sta di fatto che I Paesani hanno scelto di attrare le qualità percussive di Sommer nella rete di un prodotto ideologicamente dadaista negli intenti: Braastabrà è un CD che contiene questa collaborazione inedita, 9 pezzi registrati in uno studio di Noci a maggio scorso che inducono ad una divaricazione dell’idea di un’improvvisazione intinta nelle fauci radicali; è una sorta di dadaismo musicale pugliese, che coniuga elementi ritmici, sensori di festa di piazza (le feste patronali in Puglia sono un unicuum sonoro, anche se nell’improvvisazione libera uno stimolo forte e antecedente che ricordo bene è stato quello delle marcette delle bande inglesi di Lol Coxhill), ilarità sottili a sfondo politico e sociale, sprazzi di astratta ed energica improvvisazione libera.
Ben poco si può rimproverare a pezzi come Karawane, Fratmatosma o Braastabrà, che sorgono in quel pozzetto di conoscenze riferibili a Victor Hugo e alla proclamazione ufficiale della mancanza di senso della parola ma è qualcosa che ha una relazione intensa tipologicamente popolare: l’intento è di formare un groove specifico, anche memorizzabile, un patchwork sonoro che abbia rispetto per i concetti antropologici di Tim Hodgkinson allorché afferma che tutta la musica contemporanea e tutti i modi di suonare sono elementi etnici. Nelle indicazioni di Braastabrà è d’obbligo pensare che la partecipazione sia inserita in un contesto vibrante, non codificato, con flussi musicali trasversali ma riconoscibili (provate a decifrare i riferimenti che trovate negli interludi di Makuma, Un piccolo rinfresco o Fail): questo “abracadabra” che apre ad una nuova etimologia è in grado di portare virtù e benessere!

L’improvvisazione libera è incontro, crocevia di sensazioni latenti, spesso anche dominio di mondi surreali. Un bell’incontro è avvenuto nell’ottobre del 2022 al Misskappa di Udine per ospitare un concerto che ha visto Paolo Pascolo e Stefano Giust suonare assieme alla sassofonista/clarinettista colombiana Maria ‘Mange’ Valencia. Dato per scontato che esiste un ampio sottobosco di improvvisatori in tutta l’America Latina, va detto che Valencia è attivissima anche fuori dai confini del suo paese e ha una visione eclettica della musica che non perde di vista nessun genere; in circa vent’anni di attività è stata presente in molte formazioni che cercano nuove espressioni e che navigano tra musica tradizionale, rock, jazz, urban music e improvvisazione libera, sempre alla ricerca di linguaggi musicali che abbiano un “volto” nuovo. Recentemente si è persino fatta portavoce di una ricerca sulla composizione contemporanea colombiana, presentando un bel lotto di compositrici tutte da scoprire. Naturalmente non mancano le sessioni improvvisative, che sono un pò il fulcro dei suoi interessi e l’esibizione di Udine, confluita in Politácito (immaginaria contrazione di Poli e Tacit), è un buon modo per saggiare capacità e ostinazione politica. Il set è molto attraente perché si muove in una velata e non verificata asincronia delle menti dove rintracciare le essenze di una condizione musicale, trattamenti che arrivano sulla base dell’intuito ma che lavorano su un senso recondito: Valencia pone le basi per una free improvisation che funziona a mò di itinerario, con arpeggi, piccole vibrazioni, strozzature o singhiozzature che sono la materia prima di un quadro astratto; Pascolo in Resonancias Orientales e El Nacimiento De Los Orangutanes ti porta nella sensazione “villaggio” e in maniera involontaria contribuisce con un soffio vellutato a stabilire un contatto immaginario con la tradizione andina (gli indigeni colombiani facevano largo uso di flauti); Giust offre il suo free drumming, una tela di azioni a ripetizione sul suo set, realizzazioni a sistema con sticks, spazzole ed evoluzioni su percussioni metalliche che costruiscono scenari con un tono nerboso e supponente, ideale sfondo per un’interazione a più riprese nell’ottica della distribuzione sonora.
La valenza politica del trio sta nella sottotitolazione di Politácito, quando si fa riferimento ai Ricordi del Tardigrado. Il tardigrado è uno degli animali più resistenti della Terra, un piccolissimo invertebrato capace di vivere senza acqua per decenni, di sopportare temperature elevatissime, le radiazioni e le alte pressioni marine, di essere tollerante persino alla mancanza di gravità, tant’è che gli scienziati li pongono in prima linea per futuri esperimenti di sopravvivenza nello spazio. Bene, questa spiegazione è utile per rivendicare un genere e una fedeltà culturale, perchè l’improvvisazione del trio Valencia-Pascolo-Giust ha tutta l’aria di voler aderire a quell’idea di resistenza contro l’aggressione di una musica che oggi ha una forte perdita d’identità.

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.