Ivo Perelman: profezie e sussurri

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A differenza dell’Europa, la letteratura moderna anglosassone offre parecchi esempi di predizione incorporata nella poesia o nei racconti. Si può certamente dire che è una divaricazione degli orientamenti dei popoli occidentali che non esisteva al tempo dei Greci, ma cosa significa fare una profezia? Ci può interessare davvero? Oppure ne dobbiamo solo prelevare i caratteri estetici? Non sono domande di poco conto perché dietro queste domande ci potrebbe essere un epilogo mistico: lo diceva anche Frost allorché scrisse The Prophets Really Prophesy as Mystics the Commentators Merely by Statistics; tuttavia nell’arte è anche importante fornire elementi di comprensione, capire l’azione e il carattere dell’espressione e in definitiva raccogliere informazioni.
Forse è su queste basi che si sviluppa la Prophecy di Ivo Perelman in trio con il pianista Aruán Ortiz e il giovane violoncellista Lester St. Louis. Si tratta di due lunghe jams di circa 37 e 17 minuti, che vivono di una psicosi espressiva che ben si ritrova nei connubi casuali creati dai musicisti, un polimorfismo acustico che tende all’affresco e all’illusione cognitiva. In ciò che probabilmente si sostanzia come una delle sue più belle performances improvvisative, Ortiz cerca di svelare volti sonori nascosti del pianoforte, ossia quelli che derivano dagli ultimi registri della tastiera, dai brevi e rapidi intermezzi di note o accordi sistemati a mò di ornamenti, o anche da manovre estensive effettuate all’interno di zone specifiche del pianoforte (percuote punti delle corde interne cercando delle particolari risonanze che vadano bene nell’insieme); St. Louis pizzica e lavora con fede sul violoncello, offrendo parti in cui veloci ruminazioni vengono ottenute tramite la frenesia dell’arco, oppure facendo diventare il violoncello uno strumento ritmico iterativo; Ivo, a differenza del solito, non spinge per situazioni parossistiche sul sax, ma va meravigliosamente a parare sulle geografie dei suoni, cercando di dargli delle configurazioni adeguate a quel tema che evidentemente serpeggia inconsciamente nel cervello: introspezione, magnetismo, mistero, rivelazioni ribelli, un pizzico di noir e vagheggiamento jazz, tutte qualità della “profezia” che vengono ottenute con una serie di evoluzioni sonore e tecniche non convenzionali. Andate a sentire che cosa succede intorno al 14′ e al 19′ minuto di One, per esempio, dove l’improvvisazione si accende in confluenze sonore particolarmente riuscite (ognuna posta con un senso invidiabile del tema) oppure nel finale del brano quando il lavoro dei musicisti è quello di farci capire cosa c’è oramai dietro la porta, la realizzazione ultima di un fenomeno performativo. Sono decisamente più scettico sul riconoscimento cognitivo di elementi della musica brasiliana, come tali accennati nelle note informative dai musicisti: un segno nell’ascolto non immediatamente probatorio potrebbe essere quello dell’uso di campanelli, ma è troppo diluito.
Prophecy ha uno spirito contemporaneo, free jazz che si mette quasi a disposizione dei congegni dell’attuale classica, un’area di evoluzione che Perelman aveva già guardato con favore in alcuni suoi lavori precedenti, ma che comporta per lui anche una costipazione relativa del suo spirito espressionista. Grazie anche all’ispirato e spontaneo lavoro di Ortiz e St. Louis, Prophecy va comunque ad highpoint nelle pubblicazioni discografiche globali di Perelman.

Dal momento che per Prophecy si è invocata la letteratura, per The Whisperers, duetto di Perelman con James Emery alla chitarra acustica, si potrebbe fare lo stesso. Si tratta di occuparsi del “bisbiglio” o del “sussurro”, un atto umano che è all’apparenza semplice ma che nel concreto nasconde invece grandi profondità di significato. Bisbigliare concetti verso un’altra persona spesso introduce a verità che vengono presentate in forma riservata perché l’unica possibile e sono dal punto di vista della creatività umana un affascinante affievolimento di un dialogo. In The Whisperers, però, dev’essere colto lo spirito di questo principio e non prendere alla lettera l’abbassamento fisico dei toni…che non c’è! E’ sul confidenziale e sulla rappresentazione genuina della conversazione musicale che si fonda lo scambio improvvisativo di Perelman ed Emery, quest’ultimo chitarrista storico del jazz e dell’improvvisazione americana, passato attraverso alcuni dischi di Braxton, Smith, Jenkins e Threadgill, nonché parte attiva dello String Trio di New York con Lindberg e Bang, quando i tre musicisti erano giunti al culmine della loro popolarità.
L’improvvisazione è piena di aperture musicali coordinate in un progetto espressivo che pilota molteplicità di interventi ai propri strumenti: sono “attriti” che vengono messi in fase attraverso linee melodiche vivaci e disallineate oppure con verosimiglianze timbriche che si formano lungo il percorso improvvisativo; Emery sfodera il suo stile, attento, scattante, con vari idiomi caratterizzanti, dallo strimpellamento alle articolazioni armoniche, mentre Perelman con il suo sax si stende metaforicamente come un ponte sopra un fiume, elasticizzazioni e irrequietezze di un dialogo che spesso si ha la sensazione che sia proprio lui a propinare. Cosa si sussurrano i due musicisti? Potrebbero essere tante cose, le questioni del mondo, l’iridescenza di un segreto, l’intensità di un ricordo, anche ironico: in Nine, per esempio, puoi avvertire un forte senso della complicità, così come in Seven sembra esserci un raccordo inarmonico tra Round Midnight e le propensioni di un chitarrista classico, ma ad ogni modo ciò che non manca proprio in The Whisperers è il fascino musicale.

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.