Improvvisazione come semantica d’arte

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Sestetto Internazionale, MuKu Artacts, 2022 © Dawid Laskowski

Uno dei motivi principali per cui si riscuote sempre un enorme ricompensa dalla musica dei musicisti dell’Amirani Records è la specificità dell’espressione estetica. Quasi sempre vicina ai concetti della libera improvvisazione, l’etichetta di Gianni Mimmo garantisce un linguaggio soggettivo, direzionale e riverso semanticamente nell’appoggio di un certo tipo di arte, compresa quella dai messaggi più istintivi e astratti.

Per il nuovo CD del Sestetto Internazionale (Mimmo con Sjostrom, Kaufmann, Kujala, Wachsmann, Schick) contenente una loro gigantesca esibizione del 2022 al MUG@Einstein Kultur di Monaco, mi permetto di accordarmi alla situazione dell’arte astratta nel ventunesimo secolo. La libera espressione del sestetto solleva in quantità industriali la simbiosi di un astrattismo che può essere ricercato a tutti i livelli dell’arte (pittorico, letterario, etc.) e che molti giudicano vintage e vincolato ad un periodo storico concludente e passato; abdicando immediatamente a favore di una visione matura delle arti che vuole che un movimento artistico resti comunque nel tempo sapendo interpretare gli aggiornamenti che propone, c’è da sottolineare come l’astrattismo abbia proliferato e costruito le dinamiche attualizzate di tanti artisti nel mondo. Peter Frank, uno dei critici d’arte più apprezzati per i suoi trascorsi vicini al Fluxus e all’espressionismo astratto ha perfettamente sentenziato che “…Abstract art endures because artists still make it – still devote their lives to it, still investigate its problems and possibilities, still answer to the challenges posed by other artists, contemporaries and predecessors alike, and still establish visual vocabularies based on elements at once laid bare and intricately combined…”: esiste un numero considerevole di astrattisti che ha sviluppato i concetti di Pollock portandoli in una sfera meno drammatica, sempre instintiva ma persino educativa; per esempio, pensate ai dipinti di Julie Mehretu, la pittrice etiope che ha sdoganato l’astrattismo per portarlo nelle realtà urbane ed evidenziare gli effetti del turbinio sociale che le attanaglia.
Per la musica del sestetto è d’obbligo evidenziare che anche Mutabile (questo il titolo del loro terzo CD appena pubblicato diviso in due lunghe jam improvvisative) ha con sé tutti i crismi di un astrattismo istintivo, di un caos che non fa nessun male ma che anzi si ricompone davanti ad una musica avventurosa, altamente creativa e non desiderosa di nessun impianto drammaturgico; tutti i musicisti del sestetto hanno un’esperienza tale da rendere innovativa qualsiasi nuova soluzione trovata sul loro cammino: alcuni timbri di strumenti differenti si avvicinano, la legatura casuale degli interventi è perfetta e la simbiosi estetica con un’arte apparentemente indecifrabile, piena di dettagli sonori incrociati e di impulsi è situazione tangibile in ogni momento d’ascolto; nella sua spontaneità la musica di Mutabile è folta di passaggi imprevisti, di morfologie sonore invitanti ed è musica perfettamente inserita in un concetto di vera arte moderna, lontanissima dalle grossolane svendite di significatività che sistematicamente prescrive l’arte più “consumata” sulla Terra. Anche i musicisti del sestetto hanno consapevolmente accresciuto le loro prospettive rispetto all’improvvisazione che gestivano in piena gioventù e suonano sempre meglio e va sottolineato che come nell’astrattismo pittorico la rosa delle nuove tecniche di composizione alternative al dripping si è ampliata a dismisura (pensate ai materiali usati come sabbia o le vernici di produzione industriale), anche nel sestetto il gesto strumentale ha trovato nuova linfa, con espedienti timbrico-sonori figli della tecnica estensiva, delle smerigliature microtonali e dell’elettronica serviente.
Mutabile colpisce allora per il suo “ritmo” avventuroso che per uno come me che ha amato le fiabe sin da bambino, è dirottamento mentale verso i racconti impensabili di Rudolf Erich Raspe e del suo Barone di Munchausen, nell’energia impulsiva delle sue vicende, stando però attenti a non andare oltre quella storia e non accogliere repliche estetiche fondate su un carattere di acuta finzione, quella che oggi va tanto di moda ma che non si trova nell’improvvisazione del sestetto.

I duetti tra Gianni Mimmo e Harri Sjostrom inducono invece ad una logica improvvisativa contrappuntiva. Ma non è del normale contrappunto che si parla, piuttosto di contrappunto di due lavorazioni espressive che cineticamente si muovono nella mente dei due sopranisti. In Wells, CD che si configura come il loro secondo incontro in duo, si potrebbe parlare di apoteosi del contrappunto, qualcosa che ha la massima libertà di portarci nell’ascolto a percezioni contrastive anche sconfiggendo l’idea che la creazione di un contrappunto deve essere fatta di note o fraseggi dotati di una certa proporzione; invero qui si sposa un’idea di relazione che è elasticità e memoria di un risveglio solerte, come succede nella splendida Pas de Duex per esempio, dove i due sassofonisti si affacciano e si riprendono negli sviluppi dell’improvvisazione dimostrando che esiste una vena intraprendente dei registri acuti; così come si trova un equilibrio conclusivo insperato nel gettito di Signaling, dove i due musicisti raggiungono un climax attraverso un incrocio sulla tecnica (da una parte uno scarico di soprano che timbricamente prende le sonorità di una cornetta, dall’altra un graffiato che raggiunge le sembianze di un growling al sax). Dal punto di vista estetico in Wells Mimmo e Sjostrom sembrano voler inviare un messaggio implicito e ben diverso da quello che si ascoltava da loro quando una decina d’anni fa hanno stretto con vigore la loro collaborazione; non c’è più la volonta di imprimere una forza speculare e decuplicare l’espressione come succedeva nel Live at Bauchhund, oggi c’è la sensazione di un viaggio costruito con tutti i crismi del caso, “uccelli” espressivi che volano dinamici, operosi e comunicativi. Sono “scintille” di astrazione differenti dai morsi dell’espressionismo astratto, è qualcosa più vicina al surrealismo e al desiderio di “avvertire” di un dominio senza limiti, uno svuotamento alla Breton o, per me, anche l’immagine di Bird e di Pindaro uniti per fare rivelazioni sotto l’effetto di geometrie prive di linearità.
Ha avuto un’ottima intuizione Evan Parker quando dopo aver ascoltato il lavoro di Mimmo e Sjostrom si è inventato dei versi dove le iniziali delle parole usate tracciavano i nomi dei due musicisti (evidenziate in grassetto):
Heart-felt And RigoRous Improvisation – Sometimes
Jazzy”, Often Striving To Rearrange Our Minds,
Great Intonation And No Nonsense Is My Impression.
Music Made Once!

Per cadenza del crepuscolo l'”avvertimento” arriva dalla sostanza armonica. Il quartetto di Peer Schlechta al pipe organ, Ove Volquartz a clarinetto basso e contrabbasso, John Hughes al contrabbasso e Mimmo al soprano, deve rappresentare un oscuro e abrasivo mondo della rappresentazione che sembra aver preso ispirazione dalla mitologia greca e da un senso generale dello smarrimento. Sulla base di questa premessa tutto l’impianto musicale si adegua con note e suoni che si estendono nello spazio: gli strumenti si coordinano per profusioni dronistiche o svolgimenti melodici atmosferici che propongono uno stato di offuscamento che prelude però a qualcosa di importante.
In Disvelamento del tenebroso Orione appare una narrazione complicata fatta di frammentazioni e di armonici pronunciati che ci proiettano in un post-moderno dell’arte; siamo perciò lontani dalle presentazioni di Orione in cerca del sole del pittore Poussin e molto più vicini all’improvvisazione di Zorn (penso soprattutto al tipo di evoluzioni all’organo di Schlechta). Le pulsazioni corali di Triste Andromeda sono un piccolo retaggio di minimalismo trasferito completamente in una struttura improvvisativa con una seconda parte di soprano jazz dal tenore arcano (Mimmo in mezzo ad un clima di smorzamento sonoro), mentre lo stravolgimento umorale di Il tempo dell’abbandono accoglie l’enfasi camerale nel sentimento complessivo del lavoro (Hughes con strati d’arco e Volquartz con giri circolari di clarinetto basso).
Le istruzioni di cadenza del crepuscolo optano per un’alterazione e un cambiamento di stato che si spera sia in positivo. Se è vero che per genesi e risultati la musica costruisce un idioma legato al disorientamento, è anche vero che essa lascia spazio ad una riflessione: nell’Odissea Orione è felice e va a caccia, Andromeda viene liberata e diventa una costellazione, la fine del crepuscolo è propedeutica ad un rivolgimento in chiaro della vita.

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Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.