Qui di seguito, senza nessun ordine di preferenza, qualche parola sulle ultime novità di Setola di Maiale:
YOKO MIURA / GIANNI MIMMO –Zanshou Glance at the Tide–
Questo CD accoglie un live all’Auditorium Fondazione di Piacenza e Vigevano della pianista Yoko Miura e il sassofonista soprano Gianni Mimmo, nel novembre del 2022. I due musicisti si sono già incontrati altre volte per sessioni improvvisative, mostrando un’intesa che sa di sfida se pensiamo agli stili, ossia l’imperturbabilità della pianista giapponese e l’effervescenza del sassofonista di Pavia; tuttavia il terreno di confronto è qualcosa su cui i due possono contare, un terreno spesso idealmente e preventivamente articolato in linea di principio, come è successo in questa esibizione che si sviluppa su direttive che sono decifrabili con semplicità. Si tratta di tre brani lunghi (tutti e tre di 17 minuti circa – una durata che sembra profetica e senz’altro non voluta), il primo suonato solo al piano e melodica da Miura, il secondo una sorta di lungo medley deferito a Mimmo e il terzo che costituisce un finale comune:
1) Afterglow, il solo di Miura, é uno strano omaggio a Teppo Hauta-aho, accordi e note stantie, fuori dagli schemi logici, che invitano ad un ripensamento sull’ironia che il contrabbassista finlandese espresse con Kadenza, il suo pezzo più famoso; quel brano invitava a dimenticare le normali regole dell’armonia e delle cadenze per concentrarsi su un tono scuro, lirico e piuttosto marcato in drammaticità, lo stesso che Miura cerca di distribuire nei minuti della sua esibizione.
2) Turning Page Medley, solo di Mimmo che si impegna in uno spazio ben congegnato di riorganizzazione di stimoli e impulsi nati nella storia del jazz: senza difficoltà estreme, l’appassionato troverà dei rimandi chiarissimi al The Peacocks di Rawles (grazie al riconoscimento delle “smorzature” della melodia del pezzo), alle Reflections di Monk (espansioni di soprano che Lacy portò a compimento nel suo repertorio) e tracce del The black saint and the sinner lady di Mingus.
3) Further Towards the Light è il connubio tra i due musicisti che li vede partire dal Round Midnight di Monk per altri lidi: mentre Miura si conferma minimale nelle sue sortite pianistiche, Mimmo aumenta le intensità e le elasticità, apre squarci di luminosità; nella parte finale, poi, Miura tira inaspettatamente fuori un tris di accordi che mi ricorda una sequenza accordale di Free Man in Paris di Mitchell, mentre Mimmo lavora in grazia sul soprano dopo aver ‘ampliato’ gli spazi acustici con gli armonici.
Non è sbagliato dire che Mimmo e Miura sono opposti stilistici di un sistema binario, ma ciò che è necessario dire è che il loro contatto apre ad un insieme musicale particolare ed accattivante, dei sentieri di cui valutiamo in qualsiasi momento una positività incondizionata.
LUCA PEDEFERRI CONTEMPORARY PROJECT (Pier Panzeri, Lionello Colombo, Enrico Fagnoni, Mauro Gnecchi, Marco Menaballi, Luca Pedeferri, Fausto Tagliabue) – A7OM1
Come si giudica la modernità di una musica? E’ possibile affrontare con rispetto e intelligenza la musica del passato? Sono interrogativi che si aprono dopo aver ascoltato questo A70M1 che rientra nella progettualità di un gruppo di musicisti riuniti da Luca Pedeferri. L’idea è quella di una revisione personale di un classico dei Pink Floyd, il famoso Atom Heart Mother nella sua versione discografica del 1971, evitando le pastoie di una sterile riproposizione da cover grazie soprattutto all’innesto quasi generalizzato della libera improvvisazione; in verità qui sono presentate due versioni, con la seconda che è pesantemente invischiata nelle culture dub tramite due disk-jockeys, ossia dj Mena e Rwrk.
Per quanto concerne la prima versione, Improvisation Freely Insipired By Atom Heart Mother (Pink Floyd) As Performed In 1971, il gruppo ha seguito un istinto musicale, ossia ha cercato di trasporre il dna del brano pinkfloydiano nel jazz e nella free improvisation. Quali erano gli elementi del dna di Atom Heart Mother? Certamente alcuni attacchi, le propulsioni di basso (propedeutiche e di sviluppo), le ‘sospensioni’ dovute alla produzione (le esalazioni percussive, la gestione delle pause, etc.), anche alcuni climax che versano nell’alterazione; questa versione, perciò, ne riprende le sensazioni senza far ricorso a elettronica o a congegni post produttivi e quindi ci fa ascoltare le strane vibrazioni di fisarmonica (Pedeferri), gli impulsi non regolari del basso elettrico (Fagnoni), una fluorescenza di istinti jazz e improvvisativi dei fiati (Colombo ai sax e Tagliabue agli ottoni), dei percorsi empatici delle percussioni (soprattutto dei wood blocks e del timpani), nonché una consistenza mista con il rock per la chitarra (Panzeri), che si offrono alla godibilità dell’ascolto interagendo (saltuariamente) con alcune riprese del motivo di base pinkfloydiano. La seconda immersione, Atom Earth Fader, è impossibilitata ad assorbire gli elementi del rock, perciò risulta quasi estranea alla materia pinkfloydiana. Anche qui, vale il discorso del dna catapultato in una realtà dub.
La risposta alle due domande fatte all’inizio è complicata ma non impossibile. L’operazione del Pedeferri Group esalta i poteri della creazione istantanea, gli stessi che hanno sorretto gran parte del miglior progressive dei settanta: anche in quei casi era chiaro ed utile soffermarsi sulle parti improvvisate. Se pensiamo all’ultimo Melhdau, per esempio, otteniamo una conferma eclatante che si può costruire un prodotto magnifico di risulta, coniugando il progressive e un’idiomaticità che risente dei propri ‘polimeri’ organici; la performance del Pedeferri Group si avvicina ad un concetto di rielaborazione della musica che può funzionare lasciando che i generi calcati diventino magneti di nuova bontà musicale.
MIA ZABELKA (Mia Zabelka, Alain Joule, Tracy Lisk) – Duos
Ho già spiegato in passato come la violinista Mia Zabelka occupi un posto di rilievo nell’ambito della musica contemporanea, uno spazio che sta tra composizione, improvvisazione, sound art e musica sperimentale. In termini di visuali sulla musica, mezzi impiegati per comporre o improvvisare, nonché per metodi utilizzati per ottenere informazioni nuove sul violino, Zabelka può già vantare un curriculum di musica e iniziative che sono solo a lei ascrivibili.
Nel campo dell’improvvisazione Zabelka presenta un inconsueto modello sonico che ruota intorno ad una libertà codificata in un principio, ossia ricavare un automatismo, un flusso continuo nel quale riconoscere i semi di un’attualità dei tempi, di un modo scomposto e ‘antipatico’ del comporre. I duetti con Alain Joule da una parte e con Tracy Lisk dall’altra, sono dei drivers potenti di pluralità concettuali anche se a prima vista si svolgono in una veste che richiama la più classica delle convenzioni improvvisative: con Joule al violoncello Zabelka ha impiantato i semi di una paradossale tesi della ‘telepoetry’, improvvisazioni libere in grado di collegare semanticamente la poesia alla musica, vertigini poetico-musicali che si confondono nell’esibizione dando vita a quel flusso di cui si accennava prima; in quanto ascoltiamo nel CD per Setola grazie ad una performance di 27 minuti denominata The Poetics of Sharing, si capisce che gli stili qui si mettono al servizio degli intenti speculativi così come fanno le tecniche estensive (Joule suona irregolarissimo, anche tra corpo dello strumento e tastiera e ogni tanto rigurgita il lato poetico, mentre Zabelka usa dei rafforzativi espressivi durante la fitta determinazione della performance). Lo stesso dicasi per i duetti con Lisk, che vedono la batterista prodursi in un prolungato addensamento di poliritmi che si affianca alla ‘rete’ comunicativa di Zabelka: in questo caso si parla di Contrapuntal Empathy (26 minuti).
L’unico problema di questa musica è avere la pazienza di superare l’empasse iniziale e attendere che le complessità svolgano il loro compito estetico. Questa è improvvisazione che funziona come conduzione di energia, ha una deriva elettronica latente pur non facendo parte di un esperimento in tal senso.
JEFF PLATZ / JOE MORRIS / STEPHEN HAYNES / MATT CRANE –Sun Spells–
Jeff Platz è una presenza molto ben voluta per gli ammiratori della musica di Setola. E’ sempre capace di fornire una formula improvvisativa agile, ben calibrata con i suoi partners nell’interplay e molto godibile in fin dei conti. E’ musica che gira intorno alla sua chitarra elettrica, che cerca continuamente di creare immagini in perenne variabilità, e la cui riuscita sta nei piccoli dettagli che ognuno dei musicisti porta in dote nello sviluppo improvvisativo, idiomatico o non idiomatico che sia.
Il quartetto di Sun Spells è uno dei più importanti di Platz, in termini di qualità e blasone dei musicisti che vi partecipano, poiché raccoglie Joe Morris al contrabbasso (uno strumento che ha certamente usato molto meno rispetto alla chitarra, ma sempre con ottimi frutti), il batterista Matt Crane (un musicista con un gran senso della distribuzione della sostanza poliritmica) e Stephen Haynes (un eccellente discepolo di Dixon che in Sun Spells si limita alla cornetta). La performance del quartetto è impostata su una positività dell’esposizione, nell’intento di catturare energia e mantenerla intatta per tutta la performance: l’improvvisazione offre molti spunti per adeguarsi a questo obiettivo e ognuno dei musicisti si impegna con professionalità e bontà nella scelta delle soluzioni. Platz fa molte cose con la sua chitarra, sfuma le melodie con il riverbero, si inserisce con molte punteggiature abnormi, spesso fa uso della pedaliera con effetti azzeccati; Haynes tiene il discorso musicale vivo, con estrazioni sonore fluidicanti e improvvise, fluttuazioni sfuggevoli che partono dalla sua cornetta; Morris è attivo, costante con il sostegno ritmico e rinforza il ‘linguaggio’ improvvisativo; Haynes raggiunge con profitto l’espressione percussiva, è perfettamente coordinato in ogni momento e procura molto beneficio all’ascolto nelle fasi alternative dove si applicano le “esalazioni” dei piatti.
C’è poco da criticare per Sun Spells. I primi pezzi (la title track e Absolute Magnetite) sono già in grado di alzare il valore di quanto ascoltiamo ma tutto il CD va sentito senza remore, un modo necessario di apprezzare una musica la cui copertura innovativa non sta in chissà quali fardelli, ma è nelle pulsioni e risoluzioni create dai musicisti.
ANGELO PETRAGLIA / GIUSEPPE SARDINA -half-asleep-
Uno dei ricatti più invisibili della storia della musica è stato quello di erigere un muro di fronte alla parola “emotività”. La pullulante materia che si trova nell’analisi musicale e nei tanti scritti di coloro che se ne sono occupati, ha deviato i significanti musicali verso un concetto fisico dell’emozione, un’elevazione a rilievo spontanea che ha tenuto lontano qualsiasi tentativo di fornire un rinnovo estetico e necessario del termine. Tutti coloro che oggi propongono di ascoltare musica d’arte secondo dei criteri meno superficiali devono tener conto comunque dello stimolo celebrale, devono far riferimento al suono, alle sue caratterizzazioni plurime, compreso quelle che devono fornire una cognizione. E’ musica di cognizione anche quella del duo Angelo Petraglia/Giuseppe Sardina di half-asleep, che tra pianoforti reali, pianoforti preparati, percussioni e salterio suonati con un’enfasi moderna, va verso l’aspirazione di cambiare la fisionomia dei nostri ascolti e scoprire i veri segreti dei suoni. La titolazione è un’ammissione surrealista e in particolare è un subsistema di quella tendenza che insinua l’ipnagogico, uno stato di dormiveglia in grado di svegliare le ‘emozioni’ più intime, quelle frastagliate e poco coscienti immagini che si formano nella fase immediatamente precedente al sonno. E’ una transizione che attira molto i musicisti che si impegnano in half-asleep a darne una rappresentazione musicale: i suoni sono più o meno delle diapositive, espansioni fugaci o allentate che possono consistere in brevi, endemiche riscoperte del valore delle combinazioni sonore sia convenzionali che non convenzionali, quest’ultime costruite sul materiale delle corde di pianoforte o del salterio o sul metallo delle percussioni. Non penso ci sia un progetto logico di sviluppo nei 16 brani che compongono half-asleep, tutto potrebbe essere ascoltato anche in un ordine differente senza perdere in sostanza, ma ciò che si impone è in definitiva una sensazione uditiva che sa tanto di Novecento profondo, quasi una rarità nel panorama italiano dell’improvvisazione, soprattutto dal lato pianistico.
I PAESANI FEAT. MICHEL GODARD (Donato Console, Vittorino Curci, Gianni Console, Valerio Fusillo, Adolfo La Volpe, Pierpaolo Martino, Walter Forestiere, Michel Godard)
-We remember Gianni-
Dedicato al compianto Gianni Lenoci. I Paesani si incontrano con Michel Godard. Prima di esprimere un parere su questa registrazione avvenuta a Noci nel febbraio del 2023, voglio ringraziare Giust e gli amici pugliesi per aver citato un passo estetico di Gianni sulla condizione del jazz, affermazioni che ebbero spazio immediatamente su questa rivista quando inspiegabilmente all’epoca pochissime testate giornalistiche sembravano curarsi di lui (le dichiarazioni di Gianni venivano da Jazz from Italy). Oggi, a distanza di 13 anni, quelle parole di avversione e di ammonimento sono sempre più vere e non ci sono referendum o festivals che possono bastare di fronte ad un imperioso degrado (come diceva Gianni, un degrado consumato nella ricerca strumentale e relazionale, nonché nelle responsabilità sociali dell’artista).
Godard non ha bisogno di presentazioni, è un solista di tuba eccellente, spesso dalle visuali trasversali (musica classica, jazz, musica improvvisata, opere imparentate con il prog rock, danza, etc.) e con l’area barese della Puglia ha un feeling particolare, qualcosa che ha avuto modo di materializzarsi musicalmente già nel 1998 con una residenza a Castel del Monte, famoso castello fatto costruire da Federico II di Svevia in epoca medievale e la cui funzione è ancora oggi un grande mistero. Stavolta l’approccio musicale è differente e sbilanciato sull’improvvisazione, con I Paesani che offrono una ‘navigazione’ a vista, oscillando in quell’area cangiante/comunicante che sistema vicini tendenze avant-progressive e improvvisazione libera: Finale, con il dna nascosto di Gianni Console, è per esempio un validissimo interlocutore della prima specie, mentre Via con la pubblicità! o Un Prisma Triangolare Rifrangente, con lo stantuffo e l’abrasione armonica di Godard, è materia pregiata della seconda specie.
Sulla bravura e coesione del gruppo non c’è discussione, la musica di We Remember Gianni scivola via benissimo con gli interventi dei musicisti che propongono una brillante esposizione degli stimoli musicali, qualcosa che è frutto di una discussione preventiva all’esecuzione e che incredibilmente, in dosi ampie, tiene dentro quell’esoterismo richiesto da Lenoci.