Una quintina di lavori per il più produttivo Perelman d’annata che io conosca. Tra essi, l’apertura di un ciclo di Duologues che partorisce i suoi primi 2 spazi d’ascolto.
Per Ephemeral Shapes, Perelman si unisce al pianista Aruán Ortiz e al batterista Ramón López, per una sessione improvvisativa registrata a Barcellona nel maggio scorso e pubblicata per Fundacja Słuchaj. Le note ci avvertono che il trio è entrato nei concerti dell’agenzia Akamu, il che significa che ci sono molte probabilità di rivedere nei prossimi mesi Ivo e i suoi partners in Europa e magari in Italia, e questa è una bella speranza!
La titolazione del lavoro del trio non tradisce le aspettative di una musica astratta che può essere interpretata come sviluppo di ‘forme’ fugaci, in linea con una concezione dove spirito e materia espressiva non collidono ma si nutrono nello stesso tempo. Nelle sue otto ‘forme’ (7 + title track) il trio pone in essere tutta una serie di corrispondenze formali che lavorano sotto l’istinto di sovrapposizioni brevi o imitazioni, viaggi di cui non si conosce a priori il destino e che dispongono della sensibilità dei musicisti all’interplay. Di Ortiz abbiamo compreso il suo stile pianistico, che oserei dire stile che procede con ‘circospezione’, fatto di piccoli o grandi tocchi, grappoli estemporanei di note, accordi risonanti ma senza risoluzione, uno sviluppo proliferante e in continuo mutamento, mentre di López abbiamo in mente uno stile pieno di intelligenti e coese poliritmie su pelli e metalli: questi elementi convergono nei percorsi improvvisativi di Ephemeral Shapes sottoforma di soluzioni efficaci che lasciano una piena autonomia espressiva a Perelman, che dimostra il suo grande valore con evoluzioni al tenore che rilevano l’incredibile percezione real time della forma improvvisata. Perelman si muove con un’energia (senti la traccia 6 per esempio), con sensibilità free jazz (senti la traccia 3) e qualche grado di ‘nostalgia’ jazz (senti la traccia 7), tutti elementi che cesellano un unicum musicale, qualcosa che solo per un tempo breve può verificarsi in una memoria recondita ed inesplorata dell’immaginazione.
Penso che sarà molto difficile rinunciare al rapporto musicale che Perelman ha con il pianista Matthew Shipp. Di questo, naturalmente, siamo contenti, perciò siamo anche contenti di accogliere su supporto una loro nuova performance, registrata dai due ad Aprile scorso nel solito studio di Park West. Shipp usa pochissime parole di commento preventivo:
“This record is a major major statement in jazz history. It is the height of the work I’ve done with Ivo and the height of what can be done in a duo setting with piano“.
Shipp sembra sottintendere un capolavoro, un punto di arrivo della loro collaborazione non procrastinabile nel tempo. Posto che la discussione su cosa può considerarsi ‘capolavoro’ è parecchio difficile e complessa, per valorizzare Magical Incantation non è opportuno nemmeno sottovalutare la dichiarazione di Shipp e questo ci costringe cercare le ragioni di una qualità eccelsa della musica. Al riguardo non ho dubbi che Shipp si riferisse ad una logica espressiva e non ad interventi tecnici, qualcosa che sembra poter essere amplificata dall’assetto spirituale ricavato dalla titolazione che non mente sul fatto che le tracce seguono un cammino di ricerca che inizia con la preghiera, si inoltra nel rituale e nella cernita dei valori sacri, e poi termina nell’incarnazione, nell’essenza vibrazionale e appunto nel magico incanto. Posto che in Magical Incantation si ritrovano i fondamenti stilistici dei due musicisti, l’impressione è che stavolta l’espressività delle conversazioni dei due musicisti sia diventata unica pietra angolare, nel concreto ritagli di creatività che vengono fuori probabilmente da precedenti discussioni, sul come arrivare musicalmente a certi risultati; in tal modo si intuisce che per assolvere questo scopo fossero necessarie delle modifiche nella direzione dell’improvvisazione, così il piano di Shipp è un pò meno classico e un pò più jazz, mentre le note e le linee di sax di Perelman seguono una dinamicità meno esplosiva e un pò più riflessiva. In definitiva si configura un passaggio ascensionale che enfatizza una certa visione dei musicisti sui poteri del jazz e sul carisma dei flussi mobili creati nel potenziamento della sintassi improvvisativa: Perelman e Shipp ci vogliono rendere consapevoli di quanto la lezione di Coltrane sia ancora attuale oggi e non ci sia bisogno di essere troppo trasgressivi. Tuttavia io faccio fatica a mettere in secondo piano rispetto a Magical Incantation, lavori come Saturn, Efflorescence, i Live in Brussels e in Nuremberg e naturalmente lo Special Edition Box 2020.
Eclatanti novità si ascoltano in Vox Populi Vox Dei, registrazione del 2017 che vede Ivo suonare in trio con Iva Bittová a violino/voce e Michael Bisio al contrabbasso. Perelman ha usato raramente servirsi di collaborazioni in voce in tutto il suo percorso artistico: è successo agli esordi della sua carriera quando il sassofonista ebbe modo di collaborare con Flora Plurim e poi in occasione della residenza di Strings & Voices Project nel 2020 quando chiamò in causa Jean-Michel Van Schouwburg e Phil Minton.
In uno dei suoi giorni più ispirati Perelman ha trovato il conforto di una eguale prestazione nella musicista della Repubblica Ceca che accanto alle usuali ‘psicosi’ improvvisative trovate sul suo violino unisce reminiscenze di canzoni tradizionali, estensioni sui registri alti della voce, una propensione allo scat e alla simulazione del tono del ‘parlato’. Le ‘rivelazioni’ della Bittová arrivano a sorpresa, pescano sia dalla melodia brasiliana che da quella ceca (pur non avendo elementi di definizione al riguardo, il mio intuito mi guida da quelle parti) e si affiancano ad uno sviluppo umorale e non convenzionale della vocalità. Bisio sostiene le strutture, sia con l’arco che senza, e garantisce un inaspettato collante della musica che date le caratteristiche con cui si presenta farebbe tremare i polsi a qualsiasi musicista compresente, una circostanza che il contrabbassista americano sfata con successo (senza essere smentito, si può affermare che Bisio è tra i migliori contrabbassisti degli ultimi 20/30 anni di storia della musica improvvisata afro-americana).
Che dire! Album ricchissimo di spunti e qualità! Tra i migliori di sempre di Perelman.
Inutile ribadire come il duo sia uno dei desideri famelici di Perelman, basti per esempio pensare all’eclatante produzione con i pianisti. E’ un’esigenza che nasce però da un intento opposto a quello di molti musicisti di jazz che ritengono che quando si suona in duo si deve mettere la propria musica a disposizione dell’altro e bisogna essere affiatati. Niente di più sbagliato perché non si tratta di porre in essere egocentrismo o ‘vetrine’ di musica propria su cui basare le reazioni dell’altro, ma di farle confluire in un flusso virtuoso dove tutto si confonde, dalle gerarchie personali alle suggestioni. La libertà d’azione e di pensiero regna sovrana ovunque e un duo è in fin dei conti un’attestazione di apertura mentale: Perelman ha cominciato così una nuova serie di duetti chiamata Duologues, contrazione di ‘dialoghi in duo’, invitando nuovi amici musicisti a suonare con lui. I primi due ‘numeri’ della serie sono dedicati al batterista Tom Rainey e alla violinista Gabby Fluke-Mogul.
Duologues 1 – Turning Point, con Tom Rainey, è veramente un ottimo inizio della serie, con Perelman e Rainey impegnati in piccoli ‘rituali’ dell’improvvisazione che esplicitano molte delle loro qualità. Rainey ha un drumming asciutto, basato su linee ritmiche che in maniera continuativa propongono una leggera accelerazione nella parte finale della battuta; talvolta si produce in un approccio molto personale grazie ad una poliritmia su tom-toms e grancassa che rimanda alla tribalità (vedi traccia 3 o 6), mentre altre volte è decisiva l’usanza di portare le bacchette sul bordo dello snare drum. Perelman, dal canto suo, è molto motivato, viaggia su ampie linee melodiche, anche con reminiscenze di saxophone jazz degli anni quaranta, comunque con fasi alterne calibrate su assoli che schizzano all’improvviso verso i registri alti, colti spesso con incredibili glissando; poi, l’imboccatura speciale consente di ottenere dei sovracuti ‘elastici’ e un effetto minimo di granulazione, che implicano una grande quantità di fiato.
Sessione riuscitissima!
Gabby Fluke-Mogul è una giovanissima violinista-improvvisatrice di New York. Nella biografia del suo sito viene descritta come artista “embodied, visceral and virtuosic” mentre la sua musica è considerata da alcuni “the most striking sound in improvised music in years”; già impegnata nell’organizzazione di workshops e nelle programmazioni del settore, Fluke-Mogul si è fatta notare prima con threshold, un solo improv al violino nell’estate del 2020, poi nel 2022 è venuta alla ribalta con Oracle, un duo con la violista Joanna Mattrey che ha riscosso moltissimi apprezzamenti della critica, impostazioni e lodi confermate in Likht, lavoro di improvvisazione suonato con la percussionista Nava Dunkelman. Nonostante la giovane età (1991 è l’anno di nascita) Fluke-Mogul sembra già essere molto matura, in possesso di un’incredibile dialettica della libera improvvisazione che può solo portare buoni frutti.
In Duologues 2 – Joy, l’interazione con Ivo è straordinaria, creatività allo stato puro: la sessione musicale parte di slancio, con un incontro simulatorio dei due strumenti su alcuni registri alti (sembrano singhiozzi di gioia, forse uccelli in festa?), poi pian piano incanala un senso di godimento che è il risultato delle ‘attività’ di Perelman e Fluke-Mogul: Ivo è puntuale nei suoi interventi, è inventivo, il suo sax partecipa ad un atto di giubilo, sebbene tutto si svolga nei contorni espressivi di un dialogo musicale; dal canto suo, Fluke-Mogul varia moltissimo i suoi interventi, qualche linea melodica, a volte classica a volte attinta dal mondo delle atonalità, un pò di pizzicato suonato in posizione per chitarra, flussi armonici o irrigidimenti con l’arco (traccia 3 e 4), torsioni (traccia 6). C’è tanto di Leroy Jenkins nel suo stile.
Naturalmente Duologues 2 – Joy non è il primo disco di Perelman con violinisti, musicisti con cui ha sempre dimostrato molte affinità: se torniamo indietro nel tempo la mente si riporta a Rosie Hertlein, a Jason Hwang e Mark Feldman, ai violinisti del Sirius Quartet (Huebner e Fung Chern Hwei), a Phil Wachsmann, tutte esperienze in trio o quartetto; un duo sax-violino in sala di registrazione non c’era ancora stato, perciò il duologue con Fluke-Mogul non ha antecedenti diretti e allo stesso tempo rivela anche la volontà recente di provare nuovi contesti e nuove forme di espressività, come dimostra anche la splendida collaborazione con Iva Bittová prima richiamata.